Qualche sera fa ero a cena dalla mia nonna, che dopo dieci anni ha accettato il mio essere vegetariana. Sia chiaro, è ancora una scelta che non condivide, ma per cui non ha nemmeno più voglia di combattere. Sa che non cambierò idea e se lo fa andar bene, un po’ come quando la mattina entra in posta e vede altre cinque persone davanti a sé. Ha persino imparato a non chiedermi più “Ma nemmeno il tonno?” e che sì, anche le alici sono pesci, non è che sono nate in versione pasta nel tubetto. Eppure l’altra sera è riuscita a farmi una domanda nuova, mi ha chiesto: “Però al tuo compagno ce la prepari la carne? Perché lui ne ha bisogno, eh!”
Tralasciamo l’idea per cui sia ovvio che cucinare debba essere una mia prerogativa: nonna appartiene a un’altra generazione, una generazione che ha fatto più che abbastanza. È un po’ come gli Aristogatti, bisognerebbe stamparle sul maglione il disclaimer Disney: Questo programma include rappresentazioni negative e/o inappropriate di persone o culture.
No, della domanda di mia nonna ciò che mi ha fatto pensare “Okay, questo commento nasconde qualcosa di interessante” è stato quel lui rimarcato con tanto di inclinazione di voce. Perché lui dovrebbe avere più bisogno di me della carne? Quando da ragazzina asfissiavo i miei genitori affinché mi permettessero di diventare vegetariana, mi veniva spesso detto che non era il caso, visto che avevo le mestruazioni ancora molto irregolari. Allora perché il mio compagno, che non ha e mai ha avuto un ciclo mestruale, dovrebbe avere più bisogno di carne? La carne è un cibo da maschi?
Sono entrata in libreria e ho dato un’occhiata ai libri di cucina. È vero che in effetti in tutti questi volumi le sezioni dedicate al barbecue sono rivolte per la maggior parte agli uomini. Addirittura in Sunset Menu Cook Book (1) si legge che per la Festa del Papà si raccomanda carne alla griglia perché “una cena a base di bistecche riscuote un infallibile successo tra i papà”. Il New McCall’s Cookbook suggerisce che a quanto pare la cena preferita da un uomo è il manzo arrosto e che un “pranzo per signore” dovrebbe invece prevedere piatti di formaggi e verdure, ma niente carne. Anche nelle pubblicità si gioca molto con questo stereotipo: un post di Burger King Italia dice: “Se hai una fame da King, c’è una King offerta per cena”, con tanto di disegno di un ragazzo con addosso l’iconica corona a sottolineare il potere che conferisce all’uomo mangiare un hamburger. Parallelamente in un post di Flower Burger – catena famosa per i suoi hamburger vegetariani – non troviamo una donna con una corona in testa o ritratta in un attimo di raptus ingordigio mentre azzanna il suo panino. La pubblicità ci propone una ragazza con lo sguardo basso che con camicetta rosa e sorriso smagliante mangia un hamburger con forchetta e coltello.
Cavalcando uno stereotipo vecchio quanto mia nonna, queste pubblicità sottolineano come la carne sia un simbolo del potere maschile.
È tradizionalmente riconosciuto che l’uomo che lavora ha bisogno di carne per ripristinare le energie. Nonostante vari atleti e sollevatori di peso vegetariani e vegani abbiano dimostrato che questa equazione è ingannevole, il mito rimane: gli uomini hanno bisogno di essere forti, perciò gli uomini hanno bisogno di mangiare carne. In questo modo la carne è classificata come cibo potente e insostituibile, mentre le verdure vengono declassate come alimento di serie b, che non possono valere in quanto pasto completo, nonostante forniscano il doppio delle vitamine e dei minerali della carne.
Di conseguenza, siccome il nostro è un mondo dominato dal maschio mangiatore di carne e le donne sono pensate come individui non autosufficienti, ma solo complementari, le verdure hanno cominciato a essere associate alle donne. Questo binomio ha permeato anche il nostro vocabolario: se da un lato abbiamo il verbo inglese beef up per dire rafforzare, dall’altro vegetale viene usato come aggettivo per indicare una persona piatta, passiva, monotona. In effetti vegetare si avvicina molto al senso che viene attribuito al tradizionale comportati da femmina: stai tranquilla, passiva, mansueta.
Ne consegue che gli uomini che decidono di non mangiare carne sono ritenuti effeminati, come se la mascolinità di una persona avesse bisogno di essere confermata dal cibo che assume. Marty Feldman sostiene che questo «ha a che fare con la funzione del maschio nella nostra società. I giocatori di football bevono birra perché è una bevanda maschile, mangiano bistecche perché è un alimento maschile. L’enfasi è sulle “porzioni da uomo” sul panino “da eroe”, l’intera terminologia del mangiar carne riflette questo pregiudizio». (2)
Ma cosa rende la carne un simbolo e una celebrazione del dominio maschile? Per la maggior parte delle culture la carne era procurata esclusivamente dagli uomini e, dato il suo valore economico, coloro che la controllavano acquisivano potere. Se gli uomini erano cacciatori, allora il controllo di questa risorsa economica era nelle loro mani. Per citare Alice Walker: “gli uomini erano cacciatori migliori delle donne, ma solo perché le donne avevano scoperto che potevano vivere discretamente anche con cibi diversi dalla carne” (3). Peggy Sanday – professoressa di antropologia alla University of Pennsylvania – ha raccolto informazioni su oltre cento culture non tecnologiche e ha trovato una correlazione tra le economie basate sugli animali e il potere degli uomini. Scrive Sanday: “Nelle società dipendenti dagli animali, le donne raramente sono descritte come la fondamentale fonte di potere creativo” e che “quando si caccia un grande numero di animali i padri sono lontani, cioè non sono in costante o regolare contatto con i figli”(4). Ne consegue che in società sviluppate secondo questo genere di economia la responsabilità della cura dei figli è a carico delle donne.
Il ruolo maschile di cacciatore e distributore di carne si è oggi trasformato nel ruolo maschile di mangiatore di carne come emblema del potere patriarcale. Gli uomini che maltrattano le donne hanno spesso usato la mancanza di carne come pretesto per la violenza. Riferisce ad esempio una donna: “Cominciava che lui si arrabbiava per piccole cose banali, come aver messo il formaggio nel panino anziché la carne” (5). Un’altra donna riporta ancora: “Un mese fa mi ha rovesciato addosso dell’acqua bollente lasciandomi una cicatrice sul braccio destro, solo perché a cena gli avevo servito una torta di patate e verdure anziché carne fresca” (6).
In effetti la violenza sessuale e il mangiare carne sono due forme di oppressione con molti aspetti in comune. Penso ad esempio all’oggettivazione della vittima che permette all’oppressore di vedere un altro essere vivente alla stregua di un oggetto e di trattarlo in quanto tale. Con lo stupro si nega alla donna la libertà di dire no, con la macellazione si trasformano gli animali da esseri viventi a cadaveri consumabili. Questo processo trova il suo compimento nel linguaggio. Quando un animale viene macellato, le sue parti smembrate vengono rinominate. Dopo la morte le mucche diventano arrosto, bistecche, hamburger; i maiali diventano salami, pancetta, salsicce. E dal momento che gli oggetti sono proprietà e non hanno proprietà, si usa dire “ala di pollo” e non “l’ala di quel pollo”; “coscia d’agnello” e non “la coscia di quell’agnello” (7). Il referente animale sparisce, rimane solo “carne” che smette di essere un vocabolo intrinsecamente significante e diventa solo un veicolo di vari significati. Le stesse donne sono spesso paragonate a “pezzi di carne” e in effetti noi tutti e tutte consumiamo continuamente immagini visive di donne. Scrive Annette Kunhn: “quanto appare nell’immagine diventa oggetto di consumo, consumo visivo e consumo vero e proprio al momento dell’acquisto. Non è una coincidenza, quindi, che in fotografie molto diffuse (e associate a grandi profitti) la presenza delle donne sia predominante” (8). Tra l’altro, per restare in tema di fotografia pubblicitaria, sono moltissimi gli esempi di rappresentazione in cui pezzi di carne e corpi femminili vengono associati in modo da sottolineare il loro desiderio di voler essere avvicinati e consumati. (9)
E mentre guardo questa foto non posso non pensare che forse sia vero, che mia nonna avesse ragione: i maschi hanno bisogno di mangiare carne. Ma sicuramente non per questioni biologiche.
1 Sunset Menu Cook Book, Lane Magazine and Book Co.,pp. 139
2 Citato in Rynn Berry Jr., The Vegetarians, Autumn Press, 1979, p.32
3 Alice Walker, The Temple of My Familiar, Harcourt Brace Jovanovich, 1989, p.50
4 Peggy Sanday, Female power and male dominance: on the origin of sexual inequality, Cambridge University Press, 1981, p.65-66
5 R. Emersin Dobash e Russell Dobash, Violence against wives: a case against the patriarchy, The Free Press, 1979, p.100
6 Erin Pizzey, Scream quietly or neighbours will hear, Penguin Books, 1974, p.35.
7 Carol J. Adams, Carne da macello, Vanda Edizioni, 2020, p.93
8 Annette Kunhn, The power of image: essays on representation and sexuality, Routledge & Kegan Paul, 1985, p.19
9 In foto, manifesto pubblicitario di Centro carni Marchiante affisso a Legnano (VA) nel dicembre 2017