Risale al 1405 il libro La città delle dame di Christine de Pizan, nel quale l’autrice costruisce una città immaginaria in cui le donne possano difendersi dalle accuse sessiste mosse dagli uomini. Risulta particolarmente suggestiva l’immagine metaforica della costruzione di una “città sicura” perché, ancora oggi, la città è il luogo dove le donne non si sentono al sicuro.
Non solo le donne, in realtà. Nel libro La città femminista, la lotta per lo spazio in un mondo disegnato da uomini di Leslie Kern l’autrice mette in luce come le città contemporanee siano progettate per le esigenze di uomini etero cis abili con un reddito medio-alto. Sulla base della vita di queste persone vengono costruiti spazi che nella quotidianità sono abitati da molte tipologie di persone diverse. Da questa discrepanza intrinseca agli spazi che abitiamo, nasce il disagio che porta alcune persone a vivere lo spazio con timore, se non con vera e propria paura, come nel caso delle donne quando si tratta di spostamenti notturni. Una città femminista però non è solo progettata per le donne, ma per andare incontro alle esigenze di molte fasce di popolazione finora ignorate dalla progettazione urbana: persone LGBTQIA+, migranti, anzianɜ, bambinɜ, disabili. Una città femminista prende in considerazione le esigenze di ogni fascia di popolazione, creando un ambiente equo e accessibile.
Uno dei testi più interessanti riguardo l’esperienza di genere nello spazio pubblico è il libro Invisibili. Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano. della giornalista e attivista Caroline Criado Perez. L’esempio più intuitivo sollevato da Criado Perez di quanto il mondo sia forgiato a forma di uomo è la presenza e la conformazione dei servizi igienici. L’assenza di servizi igienici ha conseguenze concrete sulla vita quotidiana delle donne e sulla loro salute: ad esempio in India, dove per vergogna le donne espletano i loro bisogni solo prima dell’alba e dopo il tramonto, con il rischio di contrarre infezioni e altri problemi di salute. Oltretutto, le donne che non dispongono di bagni – pubblici o privati – hanno il doppio delle probabilità di essere aggredite sessualmente. Anche nelle aree urbane, dotate di bagni pubblici, i problemi non scompaiono. Benché le donne necessitino di tempi fisiologicamente più lunghi per usufruire del bagno, il numero di toilette per gli uomini e per le donne rimane invariato. Per questo le code fuori dai bagni femminili sono sempre molto più lunghe. La progettazione dei bagni pubblici non tiene tantomeno conto di tutte le persone che non si identificano in uno dei due generi binari, creando disagio e confusione. Per non parlare dell’inaccessibilità alle persone disabili e della scarsa presenza di fasciatoi (ad oggi ancora esclusivamente nei bagni femminili).
Anche il modo in cui ci spostiamo in città varia in base al genere? A quanto pare sì. Numerosi studi mostrano come le donne facciano maggiore uso della bicicletta e dei mezzi pubblici, mentre gli uomini delle automobili. Anche gli spostamenti percorsi all’interno della città sono diversi. Esistono pochi dati in merito, ma uno studio commissionato dal Parlamento Europeo dimostra che “le distanze percorse sono mediamente più brevi rispetto alle percorrenze maschili, la propensione all’utilizzo dei mezzi pubblici è maggiore, così come la frequenza di spostamenti per motivi diversi dal lavoro e al di fuori delle ore di punta; inoltre le donne tendono ad effettuare più spostamenti multi-stop.”. I mezzi pubblici però sono ad oggi impostati con frequenze e percorsi che agevolano gli spostamenti di coloro che si muovono tra casa e ufficio. Tutte queste differenze negli spostamenti sono dovute alla moltitudine di attività di cura, come gestione della casa e assistenza dei familiari, svolte esclusivamente dalle donne che per adempiere a tutti i compiti effettuano tanti spostamenti frammentati in orari non di punta.
Nonostante le donne siano le principali passeggere dei mezzi pubblici la paura che provano al loro interno viene sempre sminuita, tanto da provocare la quasi totale scomparsa della popolazione femminile sui mezzi notturni. Molestie fisiche e verbali sono all’ordine del giorno delle donne sui mezzi pubblici, come sottolinea Caroline Criado Perez nel suo libro e come emerso dalle testimonianze raccolte da Carolina Capria durante la campagna social #yesallwomen. I mezzi pubblici non rappresentano un pericolo solo per le donne, ma anche per persone razzializzate e membri della comunità LGBTQIA+. Soprattutto le fermate dei mezzi rappresentano un luogo dove si prova un senso di insicurezza e paura, perché spesso sono deserte. Esistono alcune soluzioni di comprovata efficacia, fa notare Criado Pereze, come rendere le banchine più illuminate e trasparenti o permettere fermate intermedie; ma non vengono prese in considerazione.
Gli scarsi collegamenti tra centri urbani e periferie poi, penalizzano le fasce di popolazioni più povere e, spesso, razzializzate. Che si parli dell’Italia o degli USA è un dato di fatto che le amministrazioni locali facciano di tutto per isolare le zone periferiche, considerate di solito “malfamate”. In un lungo articolo pubblicato da Christof Spieler della Rice University in Houston vengono illustrate le strategie razziste messe in pratica dai progettisti del trasporto pubblico americano: le autostrade che passavano per i quartieri neri vengono demolite per aumentare la segregazione dei sobborghi, il codice della strada usato come pretesto per fermare e perquisire le persone nere, i progetti gentrificanti e molto altro.
In Italia le aree periferiche sono spesso rurali, quindi sede di sfruttamento dei migranti per la produzione di generi alimentari. A tal proposito è interessante il progetto Nuova Agrocittà ideato dall’artista Amelie Aranguren sulla città di Roma. Il progetto vuole creare un ponte tra l’area urbana e quella rurale, restituendo attraverso una mappatura un’idea chiara di tutte le realtà che producono cibo nel rispetto dell’ambiente e della biodiversità. Secondo l’artista, poiché “l’agro romano si sostiene grazie al lavoro degli immigrati. Quando mangiamo frutta, verdura o formaggio dobbiamo essere consapevoli delle condizioni dei lavoratori che li producono.”. In queste aree isolate e abbandonate a loro stesse avvengono pesanti casi di sfruttamenti, che in Italia confluiscono nel fenomeno del caporalato.
Per terminare lo sfruttamento delle persone e della natura secondo Leslie Kern sarà necessario abbattere la distinzione città-natura e trovare una sinergia nuova tra umanità e natura, che rispetti e tuteli entrambe le forme di vita. In questo senso l’ecofemminismo può fornire contributi utili, in quanto molte comunità di donne sono legate alla vita rurale e attorno ad essa hanno organizzato movimenti di rivendicazione. Una città femminista è dunque una città che prende in considerazione le esigenze di tutti gli esseri viventi che la abitano, umani e non.
Per concludere, è palese che lo spazio pubblico sia vissuto in modo diverso dalle diverse soggettività che lo abitano. Le difficoltà logistiche o la paura impediscono ogni giorno ad alcune di esse di fruire liberamente degli spazi cittadini, relegando intere categorie, come le donne, alla dimensione domestica o allo spazio ristretto di un quartiere dal quale è difficile allontanarsi.
Alla base delle problematiche affrontate c’è l’assenza di dati di genere e la progettazione – che per secoli è stata assoluta – degli spazi da parte di soggetti privilegiati, che non vanno incontro a problemi quando fanno esperienza degli spazi cittadini. Solo un’analisi più attenta dei problemi e delle richieste della popolazione potrà portare al miglioramento delle strutture urbane.