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MAW, ovvero di quella volta che le donne si sono vendicate

MAW, ovvero di quella volta che le donne si sono vendicate

Jude Ellison Sady Doyle è tornato. E stavolta lo ha fatto esordendo come autore di un graphic novel, con le illustrazioni di A.L. Kaplan e Fabiana Mascolo.
L’atmosfera è cupa, i colori sono intrisi di nero come i capelli della protagonista, la penna è fredda e tagliente come una notte d’inverno.
MAW è l’acronimo del nome Marion Angela Weber ma è anche il nome di un riscatto, di una pulsione animalesca, di una rabbia che non conosce freni.

L’incipit della narrazione prende forma da un ritrovo per donne vittime di violenza; un luogo isolato in cui ristorare mente e corpo e nel quale riallacciare i fili spezzati del proprio vissuto.
Marion è una donna schiva, cinica e diffidente che è stata vittima di abusi: è una survivor. La sua è una rabbia che inizia a serpeggiare lentamente ma che poi si ingigantisce ad ogni “Non ti credo”, “È stata colpa tua”, “Te la sei cercata”.
La rabbia si tramuta in una fame insaziabile, che divora Marion da dentro e che è assetata di vendetta. L’anima di Marion trasmigra in quella di MAW: un’entità mostruosa, dai denti affilati e le fattezze di uno zombie. Un’entità che decide di equilibrare il troppo spesso sbilanciato sistema giudiziario.
MAW è il coacervo dei dolori delle donne. MAW è lo scheletro dissotterrato delle donne che non ce l’hanno fatta. MAW è la vendetta che le donne non hanno ottenuto. Il mostro creato da Doyle è il sintomo di una malattia più grande, di un malessere più insidioso e complesso.

Attraverso una narrazione che si srotola tra flashback e flashforward, le vicende di Marion si susseguono con una cadenzata crudeltà, come se non ci fosse spazio di redenzione o di espiazione per quello che le accade. Marion è vittima del suo destino.
A contorno di questi disperati avvenimenti, una comunità di donne di matrice femminista si riunisce per ricucire le ferite che la società patriarcale ha provocato loro. La comunità si supporta e si nutre del mutuo aiuto che ogni donna può donare a se stessa e alle altre in un circolo catartico di verbalizzazione del dolore, condivisione collettiva e superamento. La “Grande Madre” è la divinità femminile e generatrice a cui la comunità fa riferimento per oltrepassare e liberarsi dai traumi subiti.

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MAW è un graphic novel quasi interamente interpretato da persone socializzate come donne. Gli uomini sono quasi assenti, e se ci sono, commettono efferatezze, abusi e soprusi.
La lente interpretativa di Doyle si dipana su un preciso asse: quello di una narrazione al femminile, del femminile e per il femminile. Ripercorrendo alcuni degli archetipi più prototipici, MAW mostra la donna ferita, la donna vendicativa, la donna madre e la donna mostro.
MAW si rivolge disperatamente alle donne non perché non ci sia più speranza per la loro infelice condizione, ma perché ogni donna sa cosa significa vivere senza speranze. Senza essere creduta, ascoltata, compresa.
Questa comunione d’intenti, oltre che di spirito, delinea l’immagine di un mostro che, per quanto ripugnante esso sia, è verosimile. Si tratta di una verosimiglianza che affonda le radici nella rabbia, spesso sentita e quasi sempre repressa, che le donne sperimentano quando la dittatura patriarcale impone loro il silenzio o la sottomissione. In questo senso, il patriarcato crea mostri. Mostri che sono figli illegittimi dei suoi aberranti codici costrittivi. Mostri che sono la risposta violenta ai suoi meccanismi violenti. Mostri che sono la giustificazione alle sue ingiustizie.
Allora MAW è una storia ingiusta, nel senso che è scandita da una violenza che non conosce freni, limiti o inibizioni. Ma è anche una storia legittima, nel senso che la sua patina cruenta trova giustificazione nelle sfortunate circostanze che affliggono la/le protagonista/e.
Scrivere di violenza (sessuale, psicologica o fisica che sia) significa toccare una ferita scoperta e molto spesso indolenzita. Doyle sembra conoscere a fondo questa ferita e per questo ne individua i contorni, ne intercetta la gravità e ne predice fatalmente l’esito.

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