Rita Mae Brown diceva che
“La classe è molto di più di ciò che Marx definisce in rapporto con i mezzi di produzione. (…) include il tuo comportamento, i tuoi presupposti di base, come ti insegnano a comportarti, che cosa ti aspetti da te stessa e dagli altri, la tua idea di futuro, in che modo interpreti i problemi e li risolvi, come pensi, senti, agisci”.
In sostanza, ciò che emerge da questa asserzione è che non esiste una condizione esistenziale di base, non una visione omogenea e universalista di persona: la società è stratificata come lo è, e lo vuole, il sistema.
Uscire fuori da una visione universalista
Alla base della nostra coscienza critica, pare fortemente introiettato il concetto che la condizione della donna nella società sia sempre stata di svantaggio, che se dividessimo la popolazione mondiale nelle categorie di donna e di uomo, quest’ultimo sarebbe sempre un passo avanti rispetto alla donna.
Diversamente, quello che invece non sembra per niente processato è che non possiamo parlare di donne e di uomini come se fossero elementi universali, statici e non caratterizzati.
È certamente necessario, oltreché molto più semplice, utilizzare questa dicotomia; tuttavia, non dobbiamo scordarci che questo binarismo di genere ha una funzione solo ausiliare e indicativa: ci serve riassumere una materia inesauribile – come quella umana – per sommi capi; è il nostro punto di partenza. Ciononostante, avere l’illusione di contenere in quei due sommi capi l’umanità nella sua interezza, mi sembra un atto di pura tracotanza.
Genere, razza e classe
Possiamo rendere giustizia all’enormità del reale, iniziando a parlare di donne e di uomini contestualizzatə in una particolare condizione sociale e culturale; ma oggi parleremo di donne.
Nel 1981 Angela Davis, femminista statunitense afroamericana, con “Donne, razza e classe” mette in luce i portati di quegli avvenimenti storico-culturali che hanno dato origine ad alcune delle principali forme di discriminazione e marginalizzazione, contro le quali si pone la lotta femminista; tali fenomeni sono imperniati sui concetti di genere, razza e classe. Davis gettò le basi per quello che oggi definiamo un approccio femminista intersezionale: la volontà stessa di declinare l’ideale di liberazione a questioni che non sono esclusivamente legate alla classe dominante suprematista bianca.
È su quest’ultima che è stato plasmato un disegno sociale confacente a quello che il sistema ha pensato come modello “universale” di essere umano, sul quale basa leggi e servizi; va da sé che tuttə coloro che smarginano dai tratti di questo bozzetto, vengono tagliatə fuori: ad essə non vengono garantiti i diritti minimi e la tutela necessari per condurre anche solo una vita dignitosa, in quanto, sognarne una soddisfacente parrebbe pretenzioso – rischiare la vita ogni giorno per la mera ragione di esistere la dice lunga!
Allora Davis, fa della sua penna un bisturi e, con una maestria eccelsa, viviseziona la materia umana; sotto il comune denominatore di persona, Davis intreccia i tratti determinanti che esulano da un modello sociale presuntivamente universale, e abbracciano una visione più inclusiva e meno iniqua di persona. All’interno di un quadro che promuove un femminismo visionario, si parla di lotta di classe, movimento antirazzista, di supremazia bianca, di decolonizzare il pensiero e la pratica femminista, di fratture all’interno dello stesso movimento femminista che molto spesso propone una sorellanza ideale, che però, come diceva bell hooks, per essere potente deve essere reale.
La sorellanza reale e non ideale: l’importanza di andare oltre alle barriere di razza e di classe
«La sorellanza è potente» ma sarebbe più efficace se in quella che prima ho indicativamente definito come macrocategoria, le donne che ne costituiscono la sostanza si riconoscessero sì svantaggiate – perché non appartenenti alla classe dominante maschile sulla quale è catalizzata l’attenzione del sistema patriarcale -, ma non in maniera eguale, omogenea e universale: ammettere che le stesse donne possano essere in grado di dominarsi tra loro, per i motivi sopra riportati, è urgente e necessario.
Perché
«La sorellanza femminista si radica nell’impegno condiviso a lottare contro l’ingiustizia patriarcale, non importa quale forma essa assuma. (…) Finché le donne usano il loro potere di classe o di razza per dominare altre donne, la sorellanza femminista non può realizzarsi appieno»
e bell hooks ce lo spiega bene.
Il capitalismo strizza l’occhio al patriarcato
Parlando di Davis e hooks, ho accennato al femminismo visionario. Molto brevemente, esso propone strategie di emancipazione che riguardano indistintamente le donne di ogni razza e classe, col fine di favorire l’autodeterminazione, il comunalismo e una democrazia sociale.
Ricollegandomi al concetto di sorellanza, ma soprattutto di interdipendenza e compartecipazione a una lotta politica che ha per obiettivo il raggiungimento di una condizione esistenziale degna di tale nome, affermiamo che la questione economica non prescinde dalla lotta femminista; sistema economico e condizione umana sono strettamente legati fra loro.
Il nostro sistema è capitalista e non è concessa in questa società altra forma di autoaffermazione che non passi per l’acquisizione di ricchezze: senza il sostentamento che garantisce il capitale, non c’è crescita, sopravvivenza e prima ancora vita.
In una società in cui il capitale cresce solo sfruttando il lavoro salariato, con cui ə lavortorə si appropria del minimo necessario per tenersi in vita, va da sé che quello che Marx definiva “lavoro vivo” si traduce in unico mezzo di accrescimento del capitale, che non è di tuttə – proprietà comune -, né per tuttə – proprietà privata. In poche parole, si estorce forza lavoro in cambio della sopravvivenza deə lavoratorə che non vedono altro mezzo di sostentamento minimo che non preveda il loro stesso sfruttamento.
Raggiungere una condizione di benessere collettivo, comporta eradicare un sistema che, come quello capitalista, alimenta il precariato e l’assoggettamento della persona per perpetuare il privilegio di pochə. Della redistribuzione della ricchezza o di un reddito universale che incoraggi un’ideale di vita agevole per tuttə non abbiamo nessuna traccia.
È per questo che pensarci liberə non basta. Per questi stessi motivi non possiamo eludere dalla narrazione patriarcale la presenza pervasiva del capitalismo, né tantomeno pensare a un mondo libero senza la sovversione di un sistema e patriarcale e capitalista. Capitalismo e patriarcato condividono il valore di schiacciamento deə più, per il favoreggiamento di pochə, inneggiano al privilegio e fanno di tutto per conservarlo, a qualsiasi costo – anche a quello della vita umana.
Concludo dicendo che portare una questione privata al grande pubblico, e spacciarla per universale, ignorando tutte le diverse implicazioni di genere, razza e classe, vuol dire rendere più profonde le crepe di un sistema già disfunzionale, e rendere la strada che porta alla liberazione e al benessere collettivo, ancora più dissestata; analogamente, conoscere e ammettere il proprio privilegio, investendo le proprie risorse in una lotta di tuttə e per tuttə, è un gesto significativo con portata rivoluzionaria.