In un pomeriggio di marzo, con un accenno di sole e quasi primavera, ho avuto l’onore di intervistare Luisa Impastato, attivista antimafia e presidente di “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato” a Cinisi, nonché nipote di due figure immense quali Felicia e Peppino Impastato.
Per chi stesse leggendo questo articolo ignarə dei nomi appena citati, Giuseppe Impastato, detto Peppino, è stato un giornalista, attivista italiano membro del PCI ribellatosi alla mafia, assassinato nella notte del 9 maggio 1978 a Cinisi; Felicia Bartolotta Impastato, sua madre, scomparsa nel 2004, è stata colei che ha reso pubblica e immortale la storia del figlio, trasformandola in un bene comune da restituire alla comunità, permettendoci di non dimenticare mai il potere della condivisione, ma, soprattutto, qual è il vero senso di fare “memoria”.
Il nostro incontro virtuale avviene al fine di perseguire e dare forma a un bisogno, quello di conoscere ma soprattutto comprendere, grazie a una donna attiva in prima linea nella lotta sociale, in che modo femminismo e lotta antimafia si intersecano fra di loro soprattutto all’interno di quella che è la storia delle sue radici, la sua famiglia e la loro battaglia collettiva. Questa esigenza nasce con l’esigenza di “piantare un seme” a cavallo tra quello che è l’8 marzo appena passato, ovvero la Giornata internazionale per i diritti delle donne, e in vista di quello che è invece il 21 marzo, che “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” promuove come Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, con la speranza di far sbocciare e fiorire una coscienza antimafia nel cuore di tutte le persone che ancora non conoscono le loro storie, e la loro storia comune. Soprattutto alla luce dei fatti di cronaca degli ultimi giorni riguardanti un liceo italiano che considera una figura come Peppino Impastato “divisiva”, ora più che mai è necessario dare voce a persone come Luisa Impastato, che risuonino come un eco dentro le vite e le coscienze di tutti gli italiani, e non solo.
Luisa innanzitutto ti chiedo, in quanto persona impegnata a livello sociale e in quanto donna, hai mai avuto paura di ripercussioni per via del tuo lavoro, essendo nipote di due figure del calibro di Felicia e Peppino Impastato? Cosa ti spinge invece ad andare avanti con la tua tenacia e la forza che trasmetti soprattutto attraverso i vari canali comunicativi che utilizzi (proprio come faceva Peppino ad esempio attraverso “Radio Aut”), condividendo tutto il tuo lavoro e impegno, e a perseguire questa strada senza fermarti?
Per me essere la nipote di Peppino e Felicia è sempre stato un grande motivo di orgoglio, fin da piccola, nonostante io non abbia mai vissuto la storia di Peppino personalmente, perché mio zio è morto nove anni prima che io nascessi. Mia nonna mi ha trasmesso questo orgoglio e nonostante la vicenda stessa io l’avessi subita senza viverla questa ha condizionato le mie scelte. Ho sempre provato un grande senso di fierezza e non ho mai percepito una sensazione di minaccia perché quando io ho iniziato il mio impegno raccogliendo questo testimone, la storia di Peppino aveva iniziato a essere collettiva. Il grande merito che mia nonna ha in relazione a questa storia è, secondo me, infatti, quello di averla resa una storia collettiva e condivisa e questo è stato senza dubbio un fatto di sostegno, poiché la solidarietà che sentiamo nei nostri confronti è un grande abbraccio collettivo che ci fa sentire più protetti, non soli. Io ho voluto dare continuità a questo percorso inaugurato da mia nonna e che ha seguito anche mio padre, Giovanni, dedicando la sua vita al fratello, che ancora oggi porta avanti questo impegno in tutta Italia. Ciò che ha mosso e muove ancora i miei passi è proprio questa consapevolezza, il fatto che questo lavoro dopo così tanto tempo abbia dato dei frutti straordinari. Se oggi, che sono passati quasi 46 anni dall’assassinio di Peppino, la sua voce non solo non ha mai smesso di farsi sentire ma si è amplificata e moltiplicata, lo si deve a chi in tutti questi anni ha continuato a raccontare la sua storia e a difendere e diffondere la sua memoria. Questa memoria oggi si traduce in impegno da parte di tanti che si fanno trascinare o si ispirano alle idee di Peppino per portare avanti le proprie pratiche di cambiamento e impegno sociale. È vero che questa storia è stata così grande che ha reso Peppino un vero e proprio ideale, per me è una responsabilità che sento e che a volte è pesante, non è sicuramente semplice essere la nipote di Peppino Impastato, soprattutto per quello che rappresenta, però indubbiamente è una bella eredità. Questa storia è il mezzo, per me, per provare a dare un contributo, diffondere e sviluppare una coscienza antimafia collettiva. È vero anche che per me quando ero più giovane il termine di paragone con Peppino è stato difficile da sostenere, ho dovuto farci un po’ i conti fin quando ho accettato che io non ero e non sono Peppino, e ho accettato la mia persona, poiché non siamo la stessa. Io mi ispiro alla sua storia per portare avanti il mio impegno, questo è il senso della memoria, dare continuità alla storia e alla lotta e alle idee di Peppino stesso.
Fa sorridere pensare quanto lontano sembri questo tempo che racconti e invece parliamo di appena cinquant’anni fa… Comunque, nonostante la fascinazione da parte di Felicia per tuo nonno (di cui poi scoprirà il background mafioso), lei il seme di giustizia e rivoluzionario di cui tu stessa parlavi lo ha sicuramente trasmesso a tuo zio Peppino così come a Giovanni, tuo padre, sia in maniera volontaria che involontaria. Ciò fa pensare che lei fosse già uno spirito ribelle che in qualche modo doveva solo trovare occasione di emergere, con i suoi tempi?
Beh, sì, per esempio mio nonno a un certo punto della loro storia la tradisce, mia nonna scopre tutto e con i bimbi piccoli, mio padre e mio zio, prepara le valigie, lascia il marito e va via di casa per stare da sua madre, con la convinzione di non tornare più indietro. Sarà Cesare Manzella, suo cognato e capo mafia a convincerla poi a tornare indietro, poiché troppo scandaloso che una donna lasciasse il marito, lei si trova costretta a tornare. Nel libro intitolato “La mafia in casa mia” mia nonna scrive riguardo questo episodio “…però il sangue restò sporco, e lo stomaco malato…”, lei resta sì al suo posto a causa di quel contesto e dei tempi che ha vissuto, ma consapevole che la sua scelta sarebbe stata un’altra. Nella mia vita c’è stato questo esempio di mia nonna perché io di fatto mio zio non l’ho conosciuto personalmente, ma ho avuto la fortuna di crescere a fianco a mia nonna che è morta quando io avevo 17 anni e quindi ho tratto da lei altri esempi rispetto all’aspetto femminile di questa storia. Per quanto nella mia vita sicuramente gli esempi al femminile non sono mai mancati, l’esperienza del collettivo femminista che nasce all’interno dell’esperienza di Musica e Cultura negli anni 70 è stato dirompente ed è una eredità che “Casa memoria” cerca di portare avanti. Tra l’altro “Casa memoria” ha proprio un direttivo composto solo da donne, e mi piace che questa sia quasi una continuità con quello che è stato il collettivo femminista e con l’eredità lasciata da Felicia, mia nonna. Così come mia madre è stata ed è ancora un grande esempio, senza dubbio. Mia nonna, però, non era una femminista perché comunque lei era una donna del popolo, una donna semplice che non era supportata da una ideologia come invece lo era Peppino, ad esempio. Era comunque una donna di quegli anni, legata a quel contesto culturale patriarcale e subalterno tipico dei contesti mafiosi, perché sappiamo che in qualche modo patriarcato e cultura mafiosa si sovrappongono. Lei opera delle piccole ribellioni nella sua vita, anche prima della presa di coscienza del figlio e della lotta dello stesso, lei è anche un esempio di femminismo nei limiti del suo tempo.
Unendo tra loro i concetti a cui mi rimandi con le tue parole insomma potremmo dire che Felicia per il suo tempo non era una femminista, ma era, è e sarà un esempio di femminismo
In qualche modo sì, lei comunque resta al suo posto di moglie e donna di quegli anni, poiché legata a quella condizione, ma ci sono dei piccoli episodi che mostrano proprio il seme della ribellione: ad esempio lei rompe un fidanzamento combinato perché non conosceva il futuro sposo una settimana prima del fidanzamento stesso minacciando i familiari, perché chiunque le avesse toccato o torto un capello lo avrebbe denunciato all’istante, ovviamente oltre al fatto che fosse scandaloso rompere un fidanzamento da quelle parti vi era anche la pratica della “fuitina” in Sicilia, abbastanza comune, e lei mette le mani avanti. Lei sposa poi mio nonno per amore, era affascinata da questa persona che lei scientemente sceglie e ama. Una volta sposata il matrimonio era praticamente più o meno indissolubile e lei si ritrova in un contesto che lei sconosceva poiché mia nonna non veniva da una famiglia mafiosa e si ritrova in un mondo che fa fatica da accettare. Cresce i figli non rispettando il codice comportamentale mafioso del marito ad esempio, e il suo dramma nascerà poi con le attività politiche di Peppino contro il marito e quel mondo, perché lei si troverà tra due fuochi. Sta dalla parte del figlio, tentando così di mettere il marito dalla parte di Peppino stesso, ma deve stare al suo posto, cerca così di imporsi con delle piccole azioni. Ad esempio, quando mio nonno caccia Peppino di casa perché aveva già iniziato le sue attività sociali contro il mondo del padre e i suoi amici, mia nonna vieta al marito di far entrare a casa sua i suoi compagni e amici mafiosi, se qualcuno avesse dovuto parlare con mio nonno sarebbe stato costretto a farlo fuori dall’abitazione, e per quel tempo e quel contesto era un’imposizione non da poco, quasi una rivoluzione. Il vero riscatto di Felicia però avviene dopo la morte di Peppino, perché in qualche modo riscattò il figlio ma anche se stessa, scegliendo e mettendo a disposizione la sua voce, il suo corpo, il suo dolore privato in questa pratica del racconto che diventa azione politica e pratica antimafia, dando continuità alla rivoluzione non violenta di Peppino, inconsapevolmente. Mia nonna non credo fosse consapevole di portare avanti questo tipo di lotta, credo sia stata mossa da questa voglia di rivalsa e da quello che era fondamentalmente l’amore materno.
Attraverso il tuo lavoro incontri giovani di ogni età e provenienza ogni giorno. A delle giovani donne, ragazze, che si stanno approcciando all’antimafia così come al femminismo, cosa diresti se ti chiedessero in che modo secondo te queste due si intrecciano, pensando anche a una figura come tua nonna?
Storicamente patriarcato e cultura mafiosa si sovrappongono, sicuramente la mafia si basa su un codice comportamentale fortemente maschilista e monosessuale, è vero infatti che tutte le donne che nel corso degli anni hanno preso il potere, soprattutto negli ultimi tempi, e hanno ricoperto ruoli di potere, lo hanno fatto non autodeterminandosi ma imitando l’uomo nei suoi aspetti peggiori: l’efferatezza, la violenza, la prepotenza… Da questo punto di vista la mafia è un sistema che schiaccia la donna, le persone, qualsiasi diritto e rivendicazione. Per cui penso semplicemente che le lotte femministe siano le stesse lotte, anche nell’accezione intersezionale perché io penso che anche la lotta alla mafia è una lotta che riguarda più tematiche, è una lotta che deve riguardare più istanze, abbracciare qualsiasi lotta per qualsiasi rivendicazione a difesa dei diritti: vanno nella stessa direzione. Come punto di riferimento riguardo questo ho proprio la storia di Peppino, perché la storia di Peppino Impastato non è solo una storia di antimafia, la sua è stata una battaglia sociale che abbracciava più aspetti, è stata una lotta: antifascista, ambientalista, per la difesa dei lavoratori, dei diritti umani, contro lo sfruttamento degli oppressi; quindi, ecco è stata una lotta femminista la sua. La definisco “antimafia sociale”, poiché nessuna lotta può e potrà mai escludere le altre.
“Con le idee e con il coraggio di Peppino, noi continuiamo.”
Un ringraziamento speciale a Luisa Impastato, per la sua disponibilità e gentilezza durante questo mese così significativo per chi si batte in prima linea nell’antimafia.