Magistər è la rubrica che fa luce su contributi accademici di donne, scienziate, professoresse e ricercatrici illuminate. Spesso nell’accademia le donne sono invisibilizzate, il loro contenuto viene scorporato dalla loro identità, e in questo processo la ricerca diventa maschile.
Oggi approfondiremo la storia di Joan Acker: ricercatrice, professoressa e studiosa dei sistemi di disuguaglianza dentro alle organizzazioni di lavoro.
Era il 14 agosto del 1993 e la stanza che ospitava la cerimonia di premiazione dell’ASA, l’Associazione dei Sociologi Americani, era intrisa delle menti deə sociologə più brillanti del Nord America, volatə a Miami per nutrire la loro sempre costante ricerca di risposte. L’evento di premiazione si aprì con le parole del presidente dell’associazione, Seymour Martin Lipset: un’ora di illustre discorso sui requisiti sociali della democrazia. Un uomo distinto, elegante, in piedi sul palcoscenico, di fronte ad una platea silente ed avida delle sue parole. Finito il suo discorso, Lipset, professore della Columbia e di Berkeley fra le altre, prese il suo posto in quella stessa platea per dare inizio alla cerimonia di premiazione: il primo nome chiamato sul palco fu quello di Joan Acker.
La professoressa Joan Acker, ricevuto il riconoscimento alla carriera di studiosə illustri si avvicinò al microfono. Le sue prime parole, lapidarie, furono:
“Sapremo che stiamo veramente facendo progressi quando uomini eminenti che parlano di democrazia terranno conto delle donne nei propri discorsi”.
Il professor Lipset, infatti, non aveva menzionato le donne (o il genere) nemmeno una volta nella sua ora di discorso presidenziale.
Joan Acker non è stata solamente una delle più importanti studiose dell’ineguaglianza di genere nei percorsi di carriera
ma, come donna, tali disuguaglianze si sono spesso riflesse nella sua vita. Dopo essersi laureata cum laude nel 1946 aveva, infatti, abbandonato la carriera accademica. Lei stessa disse:
“Non mi consideravo un’intellettuale. Era una cosa per gli uomini dei miei gruppi di amici radicali. Ora riconosco che il rifiuto di vedermi come una pensatrice era una tecnica per proteggermi. Non volevo competere con loro sul campo e rischiare di risultare né stupida né più competente di loro. In ogni caso, avrei potuto essere rifiutata”.
Proprio questa è una delle caratteristiche che rendono il lavoro di Acker un’opera senza precedenti: ha vissuto i regimi che descriveva e le sue conseguenze. Solo vent’anni dopo il termine dei suoi studi universitari, infatti, Acker si è riconosciuta come intellettuale e ha conseguito un dottorato di ricerca, iniziando uno dei percorsi che hanno inciso di più sulla comprensione delle ineguaglianze lavorative che originano da genere e intersezionalità. Oggi, 99 anni dopo la sua nascita, Magistǝr ricorda le idee che le ricerche di Joan Acker ci hanno lasciato. Orme enormi da riempire, impresse prima ancora che la stessa ricerca fosse pienamente pronta a recepirle.
La teoria principe del lavoro di Acker è sicuramente quella dei regimi di ineguaglianza: un’analisi di come le relazioni di genere influiscono sulla disparità nei luoghi di lavoro. La sua idea di svantaggio di genere è multilivello. Da emiliana, potrei dire che è come una lasagna: per comprenderne la natura (o la ricetta) bisogna inciderla verticalmente ed analizzare di cosa è composta. Proprio come quelle mattonelle a sette strati che mia nonna amava mettere, fumanti sui piatti del suo servizio buono, la domenica a mezzogiorno in punto. Non so se Acker sarebbe contenta di sentire questo paragone, ma sono certa che avrei attirato l’attenzione di mia nonna.
Ogni bolognese lo sa: molto dipende dalla pasta
Mentre immagino mani sapienti che impastano secoli di storia emiliana rifletto sul come, siano esse gialle o verdi, le strisce di sfoglia rappresentino la base da cui partire. Allo stesso modo le basi della disuguaglianza sorreggono tutto il regime di disparità. Sono i pregiudizi, le credenze, gli stereotipi e i bias a permettere la creazione ed il mantenimento della struttura di ineguaglianza che abita ed è costitutiva delle strutture delle imprese.
Le strisce vanno tirate, al mattarello, più velocemente possibile, con uno spessore costante, vanno tagliate in modo regolare e sbollentate, per dare forma al risultato finale. Con un mattarello in mano, le guance sporche di farina e un caffè che si raffredda sul tavolo, lə chef della domenica si dovrà chiedere: “quanti strati sono abbastanza strati?” Non posso rispondere a questa domanda senza scatenare più di un acceso dibattito e dunque mi limiterò a dire che è una scelta personale. Allo stesso modo, sostiene Acker, della disuguaglianza dobbiamo studiare il grado e la forma: la ripidità della gerarchia organizzativa, la dimensione dell’impresa per cui si lavora, la segregazione di genere e di razza nei posti di lavoro. Sono tutti elementi che possono rafforzare oppure sfidare il mantenimento di questi regimi. E, come un’organizzazione piatta potrebbe facilitare la carriera delle donne, una lasagna piatta potrebbe mettere alla prova il fatto che io mi svegli presto la domenica per andare a pranzo con il resto della famiglia.
Le ultime preparazioni necessarie per assicurare la buona riuscita della ricetta sono ragù e besciamella: che siano essi vegetali o animali, il livello di sapidità e la loro consistenza possono fare la differenza. Una besciamella troppo liquida non potrà essere salvata nemmeno dalla pasta più assorbente, un ragù insipido ti lascerà insoddisfatto, non importa quanto parmigiano cospargerai sul piatto.
Un effetto simile fanno i processi organizzativi, che creano e ricreano le disuguaglianze.
Il lavoro, e quindi i suoi processi, sono strutturati sull’immagine di un uomo cisgender, bianco, abile ed eterosessuale, che si dedica totalmente al lavoro e che non ha responsabilità al di fuori di esso. La struttura della giornata lavorativa, la creazione dei titoli delle posizioni di lavoro, i processi di assunzione e di valutazione della prestazione lavorativa (persino quelli costruiti per essere gender neutrali) possono generare risultati differenti su benessere e performance di lavoratorǝ appartenenti a diverse intersezioni, inasprendo il trattamento di quellǝ appartenenti a una o più minoranze. Questi risultati non sono facilmente percepibili, soprattutto per coloro che ne vivono il privilegio:
“One privilege of the privileged is not to see their privilege”
e questo è un altro elemento di costruzione dei regimi di ineguaglianza. Quando alla disuguaglianza non si dà voce, essa sparisce.
Ragù, besciamella, parmigiano, pasta… ragù, besciamella, parmigiano pasta. Ci sei quasi, hai finito le preparazioni e le hai alternate per creare una prelibatezza; fondamentale è preriscaldare il forno prima di iniziare a costruire la lasagna, affinché sia accolta dal calore artificiale e continui naturalmente la cottura. Le condizioni di contesto sono fondamentali nel favorire sia la cottura della lasagna che l’esistenza dei regimi di ineguaglianza. Governi a indirizzi diversi, movimenti sociali popolarmente acclamati, cambiamenti nella cultura hanno un ruolo fondamentale nel mantenimento o nel disfacimento delle disparità. Similarmente, i controlli di conformità dei comportamenti deə lavoratorə al sistema, in quanto essi attingono al potere derivato dalle relazioni gerarchiche, ostacolano i cambiamenti nei regimi di disuguaglianza.
Suona il forno. Sforni la lasagna.
Vorrei che potessi godertela senza pensare ai regimi d’ineguaglianza ma la verità è che, anche se tu forse puoi, c’è chi non può mangiare senza pensare a cosa quel piatto contiene, a quanto è costato, a cosa quella lasagna significa. La prossima volta che ne prepari una però, pensa a Joan Acker, e a come abbiamo perso collettivamente 20 anni della sua eminente carriera, perché essere un’intellettuale
“era una cosa per gli uomini dei suoi gruppi di amici radicali”.
Grazie professoressa Acker.