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Il presente ed il futuro di Andrea Poggio: l’intervista in occasione del nuovo disco
Dark Light

Il presente ed il futuro di Andrea Poggio: l’intervista in occasione del nuovo disco

Dopo tre dischi pubblicati con i Green Like July, Andrea Poggio nel 2017 ha pubblicato per La Tempesta “Controluce”, il suo primo album solista, registrato tra Milano e New York da Eli Crews, produttore statunitense già al lavoro con Yoko Ono, Why? e Deerhoof.

Dopo essere stato inserito nella cinquina del Premio Tenco ed un tour che lo ha portato a condividere palchi con artisti italiani ed internazionali quali Baustelle, Brunori Sas, Erlend Oye e Jonathan Wilson, e la composizione della colonna sonora del film “Onoda” del regista francese Arthur Harari assieme ad Enrico Gabrielli, Sebastiano De Gennaro, Gak Sato ed Olivier Marguerit, nell’ottobre del 2021 ha iniziato a registrare le registrazioni del disco nuovo intitolato “Il futuro”, uscito il 5 maggio scorso.

Del disco, realizzato tra Milano e Bristol, ed alle cui registrazione hanno partecipato Adele Altro (Any Other), Luca Galizia (Generic Animal), Galea, Angelo Trabace, Francesco Fugazza, Caterina Sforza (Nicaragua), Lorenzo Pisoni (Tropea, Marco Castello), oltre a membri di Esecutori di Metallo su Carta (Enrico Gabrielli, Sebastiano De Gennaro e Damiano Afrifa) abbiamo parlato con lui.

Andrea, dai Green Like July al tuo progetto solista: quali sono i tre ricordi piu belli di questo percorso artistico? E i tre meno belli?

Tra i ricordi più belli ci metterei la prima volta che sono entrato in un vero studio di registrazione, in occasione delle registrazioni del secondo disco dei Green Like July ad Omaha, Nebraska negli studi di AJ e Mike Mogis. Forse anche complice il fatto che ero poco più che un ragazzo, mi ricordo tutto, il mare infinito di possibilità, le cicale la sera, fin anche gli odori di quello studio. Mi ricordo anche la sensazione di libertà che ho provato le prime volte che ho suonato fuori dall’Italia e il terzo non saprei, forse è più una generale sensazione di gratitudine derivante dall’aver avuto la possibilità nel corso degli anni di suonare con musiciste e musicisti incredibili. Tra quelli meno belli riesco a dirtene uno. Quando è uscito Controluce, la prima data avrebbe dovuto essere a Torino al Teatro Colosseo, prima di Franco Battiato. Quel concerto non si è mai tenuto perché Battiato, a inizio novembre del 2017, è caduto e si è rotto il femore. Mi capita spesso di ripensare sia all’occasione persa, che, forse ancor di più, al fatto che da quei giorni Battiato non si sia più visto, ritirandosi per sempre nella sua casa di Milo.

Il futuro è il titolo del tuo disco uscito il mese scorso: potendo usare tre aggettivi per descriverlo quali sceglieresti? Qual è il brano che più ami dell’album?

I tre aggettivi dico sintetico, elettrico e romantico. Il brano “Argentina”.

Come e cosa vedi nel tuo futuro? O perlomeno, cosa vorresti che ci fosse?

A volte la mia visione è più pessimista, altre è meno remissiva e più speranzosa. Forse è vero quello che diceva il filosofo e cioè che il male è un’inclinazione innata dell’essere umano, ma una parte di me è illusa e crede ancora nel progresso.

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Musicalmente, a quali artiste/i ti senti vicino e da cui ti lasci ispirare? A quali ti piacerebbe essere associato?

Fonti di ispirazione, ti dico le prime tre che mi vengono in mente, visto che il tre è un numero a te caro. Kate Bush, Prince e Joanna Newsom. Mi piacerebbe essere percepito come un qualcosa a metà strada tra Klaus Nomi e Rudy Vallée.

Hai lavorato alla colonna sonora di Onoda, presentato nel 2021 al Festival di Cannes: come cambia la scrittura rispetto a quando si scrive un disco?

Lavorare a una colonna sonora è molto diverso rispetto al comporre un disco a nome proprio. Ben presto ti rendi conto di essere un ingranaggio di una macchina molto complessa, con dinamiche e equilibri delicati, dove la visione del regista è o, quantomeno, dovrebbe essere il punto di partenza ed il fine del processo creativo. La sfida sta proprio nel riuscire a far convergere la propria visione con quella del regista. Noi siamo stati molto fortunati a lavorare con Arthur Harari, che è un regista musicalmente molto colto, attento e sensibile. E poi il film è molto bello e questa cosa in fin dei conti la si scopre soltanto quando si vede il film al cinema, il che rende il tutto ancor più aleatorio.

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