Dopo la lettera della Ministra delle Pari Opportunità che esortava le comunità autonome a chiudere le case chiuse, è ricominciato un aspro dibattito. È ancora possibile stabilire un dialogo e costruire ponti da diversi punti di vista sulla prostituzione all’interno del movimento femminista?
A metà agosto, una serie di notizie di persone risultate positive al virus in alcuni club notturni ha cominciato a riempire la cronaca quotidiana del contagio. Ad Alcázar de San Juan a Castilla la Mancha, o a Cox (Alicante), l’epidemia nelle case chiuse ha portato l’attenzione su spazi tradizionalmente inosservati che, con la fine dello stato di emergenza, avevano ripreso l’attività senza essere disturbati da restrizioni e chiusure mirate al settore della vita notturna. All’emergenza è seguita la chiusura delle case chiuse di Castilla la Mancha e, poco dopo, la Ministra per le Pari Opportunità, Irene Montero, ha scritto una lettera alle comunità autonome per continuare su questa linea, sottolineando la necessità di prevenire il contagio.
Sia la decisione del Ministero che il modo in cui è stata giustificata hanno generato una nuova ondata di rifiuto in un argomento controverso all’interno del femminismo. Da un lato [la ministra] viene accusata di mettere i criteri sanitari al di sopra della situazione di sfruttamento vissuta nelle case chiuse e, dall’altro, si discutono le implicazioni di una decisione che lascerà le donne che lavorano in questi club in una situazione di abbandono e vulnerabilità. Il dibattito non solo rivela due diversi punti di vista sulla prostituzione, ma esplicita anche le tensioni tra i membri del Governo su questo argomento.
“Le dispute femministe sulla prostituzione risalgono a molto tempo fa, le lotte politiche sono più recenti”, spiega Rocio Medina, docente di filosofia del diritto all’Università Autonoma di Barcellona e attivista femminista. Medina pone l’attenzione su una dinamica in crescita: “L’intensificarsi del dibattito sulla prostituzione all’interno del governo di coalizione e in generale negli spazi considerati di sinistra”.
Secondo Medina, è necessaria “una seria riflessione su come la situazione di un gruppo specifico e la sua mancanza di diritti viene usata nelle lotte interne della sinistra. Non solo del Partito Socialista Operaio con Podemos, ma di quelle che storicamente sono state le diverse famiglie di Podemos”. Una strumentalizzazione dei collettivi di prostitute e delle loro richieste, avverte, che trascinerebbe il dibattito nel vortice delle guerre interne della sinistra.
Maria José Barrera, membro del Collettivo delle Prostitute di Siviglia, spiega il suo punto di vista senza giri di parole: “Nel movimento femminista non c’è un dibattito, o almeno a Podemos si è già concluso, perché Irene Montero ha già preso posizione, ecco cosa c’è: abolizionismo”, afferma categoricamente. Barrera lo inquadra come un passo verso un orizzonte prossimo in cui verrà imposto l’abolizionismo: “Poi arriverà una proposta di legge contro la prostituzione e la chiusura definitiva dei club e alle colleghe non verrà data un’alternativa”, dice, prima di esprimere il suo disappunto verso “le stesse femministe di quella sinistra politica con cui qualche anno fa siamo partite dall’Andalusia chiedendo pane, un tetto e dignità e che oggi ci lasciano senza pane e senza un tetto, perché di dignità ne abbiamo da vendere”.
Secondo Barrera, le esigenze delle prostitute “a cui nessuno ha chiesto niente” sono state sepolte sotto due scusanti: da un lato l’emergenza sanitaria, indicando queste donne come fonte di contagio. Dall’altro, il tiro alla fune politico: “Ci hanno vendute per una manciata di voti”, dice.
Alcune femministe abolizioniste si dissociano dalle strategie e dai discorsi che nell’ultimo anno sono stati introdotti in nome dell’abolizionismo. “Mi identifico con la posizione abolizionista in una prospettiva a lungo termine perché vedo la prostituzione permeata dal capitalismo e dal patriarcato. Per me è un’istituzione che dovrebbe scomparire, cessare di esistere, in quanto è infettata dal dominio maschile sul corpo delle donne”, afferma chiaramente Mamen Romero. Tuttavia Romero, psicologa specializzata in tematiche di genere, è a disagio con le forme e le modalità che un certo abolizionismo assume per portare avanti la sua idea. “Alcuni mezzi sono diventati fini a se stessi, il gesto simbolico della chiusura dei club mi sembra pieno di questioni ideologiche e politiche che non sempre sono l’obiettivo a lungo termine dell’abolizione della prostituzione”, afferma.
Secondo l’avvocata femminista Nerea Garcia Llorente, “parte della difficoltà del dibattito dipende da dove mettiamo l’accento, sul breve termine e le esigenze delle donne, o sul lungo termine e le conseguenze sulla società e la costruzione della mascolinità. Secondo Garcia Llorente, la creazione di una società più equa, in cui esistano alternative alla prostituzione per molte donne, avviene perché c’è la volontà politica, ma anche, fondamentalmente, le risorse economiche.
García Llorente identifica un futuro senza la prostituzione, perché “esiste un rapporto essenziale e preoccupante tra il consumo della prostituzione femminile e la costruzione della sessualità maschile eterosessuale”, una sessualità, dice, basata sul dominio. Tuttavia ritiene che si possa lottare politicamente per la fine della prostituzione e al contempo non giudicare o dire alle donne “cosa fare della loro sessualità o come guadagnarsi da vivere”.
Spostare lo sguardo e il giudizio dalle donne e concentrare gli sforzi critici sugli uomini consumatori della prostituzione è un altro modo per evitare certe dinamiche. Beatriz Ranea, che ha studiato il profilo della prostituta, conosce bene questo tema. “Si è verificata una tendenza a rendere invisibili i consumatori della prostituzione. Portare l’attenzione su di loro non solo contribuisce a rendere visibile il privilegio che gli uomini ottengono pagando l’accesso al corpo delle donne che non li desiderano, ma credo sia utile anche per aprire un necessario percorso di riflessione sulla mascolinità che si produce negli spazi della prostituzione, che è marcatamente patriarcale, razzista e classista”, sostiene Ranea.
Mettendo l’accento sulla figura della prostituta, Ranea conclude che, essendo la prostituzione “un privilegio della mascolinità che si basa sulla reificazione e la disumanizzazione delle donne”, essa non si inserisce in un orizzonte femminista. Mentre prosegue con la sua ricerca, Ranea preferisce non farsi coinvolgere nel dibattito mediatico: “La situazione attuale mi causa molta tristezza e cerco di non cadere nelle dinamiche patriarcali di segnalazione e di confronto così virulento tra posizioni diverse”, afferma.
Le donne dietro il dibattito
“Qualcuno ha chiesto alle ragazze cosa vogliono fare loro? Se vogliono smettere di lavorare nei club? Nessuno ha chiesto nulla, loro non hanno avuto alternative, punto, non c’è stata una negoziazione”, si indigna Barrera, chiedendosi perché non ci sia stato un approccio corretto verso queste donne, un ascolto delle loro esigenze anche prima dell’arrivo del Covid-19 e durante la pandemia stessa, “se avessero bisogno o meno di risorse di base oppure no, in quali condizioni si trovassero, se lavorassero o meno, se avessero alternative per smettere”.
Garcia Llorente è critica nei confronti della stigmatizzazione derivata dal modo in cui è stata presentata questa misura. “Le ragioni ‘sanitarie’ portano ancora una volta il messaggio che ‘queste donne sono contagiose, sono colpevoli’, e lo trovo preoccupante. Non posso valutarla come misura necessaria o utile perché non ho sufficienti informazioni a livello epidemiologico”. Ritiene che, se queste misure venissero adottate, sia essenziale accompagnarle con le risorse necessarie.
Romero conosce bene la scarsità strutturale di queste risorse e, avendo lavorato con associazioni che intervengono in assistenza a queste donne, definisce gli strumenti a disposizione per sostenerle “limitatissimi”. “Per la maggior parte sono donne straniere senza documenti e non hanno accesso a nulla. Nel nostro Paese l’accesso ai diritti è dato da un censimento, un NIE (codice per l’identificazione fiscale degli stranieri in Spagna), ma loro non hanno nulla di tutto ciò.”
Romero si rammarica che con queste chiusure improvvise “i pochi soggetti che entrano nei locali per portare loro qualcosa, già trovano un accesso limitato, le finestre che queste donne hanno verso l’esterno sono chiuse e loro rimangono bloccate dentro”. È complicato perché non possono uscire durante la notte e rimanere lì senza reddito spesso significa aumentare il proprio debito.
“Non abbiamo il diritto, come lavoratrici sessuali, di percepire un ERTE (misura finanziaria di sostegno in Spagna durante la pandemia), ma i datori di lavoro possono chiudere e poi chiederlo per i propri dipendenti, così l’ERTE viene richiesto per camerieri, guardie di sicurezza, tutti quelli che lavorano lì, tranne noi”, conclude indignata Barrera.
Contro le case chiuse
Opporsi all’imminente chiusura delle case chiuse non implica l’approvazione della loro esistenza, né per chi prende una posizione abolizionista, né per chi difende i diritti del lavoro delle prostitute – posizioni che non sono incompatibili, come spiegano gli intervistati. In realtà, la critica a questi spazi è comune, anche se da prospettive diverse.
“Il modello della prostituzione è cambiato a beneficio dei datori di lavoro”, dice Barrera, che cita come, con la regolarizzazione dei locali notturni per volontà di Felipe González nel 1985, i proprietari dei locali sono stati costretti a iscrivere i loro dipendenti al sistema di previdenza sociale. “Dato che a loro non conveniva, perché avrebbero dovuto registrarne molti, hanno chiuso i locali e aperto gli alberghi”, così le donne sono diventate ospiti, che hanno pagato e continuano a pagare somme considerevoli per l’affitto delle stanze, e “ora ci sono anche club dove fanno pagare una percentuale, club che non hanno la licenza di alloggio e ci permettono di pernottare, la polizia non si è mai preoccupata se dormiamo in uno spazio sicuro, si preoccupano solo che abbiamo i documenti”, spiega.
Il Collettivo delle Prostitute di Siviglia non ama il lavoro per conto terzi per tutti questi motivi, perché ritiene che, nell’ambito della legalità, i datori di lavoro e lo Stato ne traggano vantaggio. Tuttavia, dice Barrera, lavorare per conto terzi è la realtà per molte delle sue colleghe. “Chiediamo che i nostri diritti fondamentali non vengano violati mentre lottiamo per ottenere i nostri diritti sul lavoro, perché sono gli unici che faranno riconoscere i nostri diritti sociali e sanitari”, afferma prima di commentare: “Quello che ci stanno facendo è vergognoso”.
Per Ranea, “le case chiuse sono gli spazi più simbolici della prostituzione, perché sono costituiti come ‘club per gentiluomini’, scenari di socialità maschile dove i clienti trovano donne disponibili a pagamento”. In questo contesto, spiega la ricercatrice, le donne sono percepite come corpi-oggetto a disposizione degli uomini. Questa rappresentazione non deriva solo dal servizio sessuale, ma dal modo in cui le donne devono mostrarsi e comportarsi per essere scelte. In breve, secondo Ranea, “la casa chiusa è un palcoscenico per la rappresentazione della mascolinità egemonica”.
Ranea ritiene che i bordelli dovrebbero essere chiusi, ma non senza offrire risorse o alternative alle lavoratrici. Crede che questa chiusura ridurrebbe “il potere dell’industria dello sfruttamento sessuale in Spagna”.
Ponti?
Dunque è possibile stabilire alleanze che coesistano con il dibattito sulla prostituzione? Nonostante, come García Llorente o Ranea, Romero continui a vedere questa istituzione come un sistema patriarcale da combattere, ritiene che ci siano obiettivi più immediati, e osserva con frustrazione le dinamiche del dibattito su questo argomento. “Penso che vincere questa battaglia sia da tempo una cosa fine a se stessa, da entrambe le parti, anche se secondo me l’abolizionismo, con tutto il mio rammarico, ha perso la strada in più di un’occasione, come è successo nell’8M”, ricorda.
“Stiamo venendo sfrattate da un femminismo abolizionista, senza diritto al cibo o a un tetto“, spiega Barrera. Tuttavia, crede che sia possibile lavorare insieme, e critica l’esclusione del collettivo dalle decisioni che lo riguardano: “È incredibile che non partecipiamo a nessuno spazio in cui si parla di noi. Parlano senza di noi di politiche pubbliche che ci riguardano, senza di noi gestiscono il dibattito all’interno del movimento femminista”. L’attivista propone di iniziare a discutere su questioni che considera centrali: “La salvaguardia delle vittime della tratta è qualcosa su cui dovremmo collaborare, comunque la si pensi sulla prostituzione, anche se fossimo più interessate alla vittoria delle donne che ai nostri ideali, che è quello che sta succedendo ora”. La collaborazione, secondo Barrera, si concluderebbe sulle “alternative reali per chi vuole lasciare la prostituzione, e i diritti del lavoro per chi vuole esercitarla. Perché non ce ne sono.”, afferma.
Garcia Llorente si collega a questa linea, puntualizzando: “Penso che sia importante separare la critica all’istituzione della prostituzione dall’esperienza o dalla pratica del sex work. Mi piacerebbe pensare a un modo per combinare una critica agli sfruttatori e ai consumatori della prostituzione con il sostegno alle donne che praticano il lavoro sessuale”.
“Per me, il ponte ideologico ed etico fondamentale sta nel femminismo, nel capire che il femminismo parte dalla realtà quotidiana dei corpi e dei collettivi, e in questo senso, se partiamo dai bisogni reali al di là delle interpretazioni che facciamo del perché certe persone siano venute in certi luoghi e per quali ragioni di fondo, se partiamo dal garantire diritti nel concreto e nel quotidiano, per me questa è la scommessa del femminismo”, sostiene Rocio Medina.
Secondo Medina è importante chiarire subito che si sta parlando dei diritti delle donne e non dei diritti dei datori di lavoro. Da questa prospettiva, Medina pensa che si possa costruire un ponte con alcune aree dell’abolizionismo. “Speriamo che i punti di collegamento vadano in quella direzione, attraverso un discorso che non parta da una morale zeppa di preconcetti, ma da una realtà concreta di esigenze e richieste di garanzia dei diritti, per affrontare i problemi sociali”.
Secondo Ranea, l’incontro parte anche dall’evitare determinate modalità sterili di confronto: “Preferisco cercare spazi sicuri in cui discutere e riflettere sugli incontri e gli scontri che possiamo avere, e non perdere di vista i nemici comuni, che sono ancora il patriarcato, il capitalismo e il razzismo”, conclude.
Fonte
Magazine: El Salto
Articolo: El cierre de los clubs reaviva el debate sobre prostitución
Scritto da: Sarah Babiker
Data: 28 agosto 2020
Traduzione a cura di: Michela Perversi