Il libro di Marie-Cécile Naves, politologa e ricercatrice all’IRIS (Istituto di Relazioni Internazionali e Strategiche), pubblicato da Calmann-Lévy nell’ottobre 2020, propone di considerare il femminismo come una nuova modalità di governare. Un libro innovativo e volutamente ottimista che ripensa la democrazia attraverso il prisma delle questioni di genere.
Potere predatorio
Marie-Cécile Naves esordisce ricordando che il patriarcato è una delle strutture di dominio e disuguaglianza più diffuse e resistenti al mondo. L’autrice si serve della definizione di Carol Gilligan e Naomi Snider: è un “sistema di regole e valori, codici e leggi concepiti per specificare come uomini e donne dovrebbero comportarsi ed esprimersi nel mondo” (Pourquoi le patriarcat?, Paris, Climates, 2019, p.15). Nel sistema patriarcale, agli uomini spetta il potere, alle donne la sottomissione. In nome di una biologia sacralizzata (la complementarità naturale dei sessi), le donne sono escluse dalla legge, dalla sfera pubblica, dall’allocazione delle risorse. Mentre la moderna società industriale e capitalista è costruita sulla base di un principio di “predazione” degli altri e della natura, il femminismo potrebbe rappresentare un modo per disegnare i contorni di un nuovo momento di emancipazione e per promuovere il progetto politico di un mondo sostenibile. La lotta contro la disuguaglianza di genere è vista come una risorsa per una contestazione più ampia, un’articolazione di tutte le indignazioni, di tutte le disobbedienze.
L’autrice delinea i contorni del potere predatorio. Rifacendosi all’analisi di Eric Fassin, che definisce il periodo attuale come un “momento neofascista del neoliberalismo”, analizza diversi leader (in particolare Trump, Bolsonaro e Orban) e il loro uso della retorica della virilità, la difesa di uno “stile di vita”, le numerose restrizioni dei diritti di donne, lesbiche, gay, transgender e la criminalizzazione degli immigrati, mostrando che la predazione si annida sia nella politica che nei discorsi. Questa predazione è anche caratterizzata da attacchi alla scienza, alla ricerca e soprattutto alla difesa dell’ambiente. Mettere in pericolo se stessi e gli altri è visto come un segno di virilità, lo sfruttamento delle risorse come il segno distintivo di una nazione combattiva, capace di domare vasti spazi, mentre la difesa dell’ambiente e la presa in considerazione della sofferenza degli animali sono associati ad approcci “femminili”, come dimostra l’esempio di Greta Thunberg, che viene derisa per la sua inesperienza, la sua “isteria” e il suo aspetto fisico (spesso a scapito di un dibattito concreto). Infine, i poteri predatori condividono l’ossessione “anti-gender”: la difesa dei valori tradizionali (il matrimonio eterosessuale, la famiglia tradizionale), la paura irrazionale che ognuno possa scegliere il proprio genere. Ne consegue una politica che va contro i diritti delle persone transgender. Si condanna quella che viene chiamata la “teoria gender”.
Come si può definire il potere femminista?
In contrasto con questo potere predatorio, esiste un progetto politico emancipatore, quello del femminismo. La sua storia è lunga: la lotta per il diritto di voto, poi per la libertà sessuale e il controllo sul proprio corpo, seguita dalla messa in discussione del genere (in particolare grazie al lavoro di Judith Butler), l’intersezionalità, grazie ai contributi del Black Feminism, e infine il movimento #MeToo, definito come una quarta ondata, che “finisce per mettere in discussione il principio del contratto sessuale implicito tra donne e uomini, ovvero il potere sessuale e non reciproco degli uomini sulle donne” (pp.73-74). La complessità e la ricchezza dei dibattiti all’interno del movimento femminista sono una garanzia del principio di democrazia: la controversia è l’essenza della democrazia.
L’intersezionalità introduce una novità epistemologica. Non è un concetto astratto, ma uno strumento costruito su esperienze individuali e collettive, che sono segnate da complessi rapporti di potere. Le femministe hanno dimostrato che è importante formulare le problematiche affidandosi alle competenze di intellettuali, ma anche di attivistə e della popolazione. Per esempio, i concetti di “carico mentale” e “femminicidio” sono espressioni nate dal basso. Il Black Feminism degli Stati Uniti ha dimostrato che le donne nere si sono in parte emancipate dal patriarcato prima delle donne bianche perché hanno iniziato a lavorare prima e grazie alla loro consolidata tradizione di partecipazione nelle loro comunità.
L’intersezionalità tiene maggiormente conto delle disuguaglianze socio-economiche e delle discriminazioni basate sull’origine e sul colore della pelle. Si tratta di un femminismo più inclusivo in termini di approcci, soggetti e attori, capace di congiungersi con altri tipi di rivendicazioni per la trasformazione politica e sociale. Un femminismo che valorizza l’importanza dell’intersezione di diversi tipi di dominazione e disuguaglianza.
La definizione di “diplomazia femminista” non è fissa. Si tratta da un lato di concentrare parte della politica estera di un Paese sui diritti delle donne, ma anche di analizzare e prendere in considerazione la dimensione di genere e intersezionale delle questioni in agenda: giustizia sociale, lotta contro le disuguaglianze e tutte le forme di violenza, protezione dell’ambiente. La “diplomazia rispettosa delle questioni di genere” può essere vista come un laboratorio sociale di cambiamento: un cambio di paradigma per le politiche pubbliche che infrangono le gerarchie gestite, la promozione di una crescita inclusiva e sostenibile per tuttə, il coinvolgimento delle popolazioni e degli organismi intermediari. È fondamentale affermare la necessità di una visione che tenga in considerazione le questioni di genere, perché quando le politiche si dicono neutrali, in realtà favoriscono il genere maschile in senso tradizionale, come dimostra l’esempio delle patologie sotto-diagnosticate nelle donne a causa degli stereotipi di genere (Catherine Vidal, Muriel Salle, Femmes et santé, encore une affaire d’hommes?, 2017).
L’autrice constata la difficoltà di allargare il dibattito anche alle voci e alle donne femministe. La dominazione patriarcale è caratterizzata dal controllo del discorso, dal rifiuto di condivisione dello spazio pubblico, da un potere esercitato con l’ingiunzione al silenzio e l’interiorizzazione di questa ingiunzione da parte delle vittime del sistema oppressivo; “Essere privatə di una voce equivale a sentirsi dire che non si appartiene più al mondo comune, che non si è più riconosciutə come unə dei suoi membri” (p. 104)
Rifacendosi alla definizione di Habermas dello spazio pubblico come condizione di possibilità di esercizio della vita democratica moderna (Lo spazio pubblico, 1988), l’autrice analizza la recente proliferazione di saggi, testimonianze, romanzi, podcast, trasmissioni radiofoniche e l’uso dei social network come molteplici modalità di rivendicazione dello spazio pubblico. Questa nuova interpretazione della realtà che il discorso femminista permette di fare è anche un motore di creazione; l’esempio del female gaze (Iris Brey, Le regard féminin. Une révolution à l’écran, 2020) evidenzia il fatto che gli sguardi che si dichiarano universali sono in realtà basati su stereotipi di genere e riducono il campo delle possibilità in ambito artistico e letterario.
La presenza della violenza è uno dei criteri che definiscono la tipologia di regime politico. I regimi nazional-populisti sono caratterizzati da un eccesso di mascolinità, da una virilità teatrale. La questione nazionalista è legata alla questione di genere: la virilità dominante si combina con la difesa dell’autenticità del potere bianco. In termini retorici, questo si traduce nella presenza di insulti (spesso misogini), molestie verbali, nella negazione del dibattito e nella sfiducia nei contropoteri come la scienza e la stampa. Troviamo anche tra i leader l’aumento delle fake news e la costruzione della propria narrazione, nell’iconografia, nella messa in scena, che traducono un rifiuto del linguaggio, un’assenza di civiltà, l’impossibilità di dialogo perché la figura dell’interlocutorə legittimə è distrutta. Tutto concorre all’idea che il legame sociale debba essere basato sul meccanismo della violenza. Si presume che l’altrə possa e debba essere distruttə, e che si sia legatə a questə altrə solo in maniera negativa.
Il femminismo propone un’alternativa a questa violenza. Il progetto non è quello di affermare l’esistenza di una leadership femminile, secondo la quale le donne guiderebbero in modo diverso dagli uomini e avrebbero tutte lo stesso modo di governare, visione che sarebbe essenzialista e si baserebbe su una confusione tra le nozioni di sesso e genere. Inoltre, attorno al concetto di uno pseudo “management femminile”, basato su una biologizzazione delle donne e su una riappropriazione capitalista, si è sviluppato un mercato in cui si fa riferimento alle donne per le loro presunte qualità naturali, materne, empatiche, rinchiudendole in stereotipi di genere.
Al contrario, Marie-Cécile Naves riprende l’esempio di diverse donne del mondo politico, come Alexandria Ocasio-Cortez o Emma González, che ha organizzato scioperi nei licei contro il libero porto d’armi e ha creato il movimento non violento March for Our Lives dopo il massacro avvenuto nel suo liceo in Florida. Queste donne sono la concreta rappresentazione di uno stile politico che non è indifferente alle questioni di genere e che si discosta dagli stereotipi di genere nel modo di porsi. Queste donne segnano una rottura con la retorica della forza e del dominio, ma anche un rifiuto della docilità. Il loro stile politico è combattivo e cooperativo, determinato, ambizioso e attento a prendere in considerazione le esperienze vissute.
Il femminismo per pensare, agire, includere
La domanda allora è: come possiamo immaginare un potere inclusivo e solidale, un potere “di” e “con” qualcunə piuttosto che un potere “su” qualcunə?
In primo luogo, si tratta di invertire la definizione di potere. Opporsi al patriarcato significa rifiutare la sua violenza per costruire altre interazioni. Il femminismo ci aiuta a pensare a tutte le interazioni. Valorizza i piccoli legami quotidiani: i lavori di cura sono tradizionalmente svolti dalle donne nello spazio domestico così come nel mondo professionale, perché le donne sono invitate a rispondere ai bisogni degli altri e a trascurare i propri; invertire l’ordine dei valori significherebbe, per esempio, proporre una valorizzazione del fatto di prendersi cura degli altri e delle attività che questo comporta, significherebbe invertire un ordine sociale che pone al vertice la dominazione e la competizione.
Non è una questione di genere, di uomini o donne al potere: l’esercizio del potere da parte delle donne può essere oppressivo. È una questione di genere, “nel senso di una costruzione che tiene in considerazione (o meno) le questioni di genere in politica e da parte della politica”. Un potere costruttivo, positivo, inclusivo, inteso come sviluppo della capacità di agire, delle abilità di tuttə, e può essere invece incarnato sia dagli uomini che dalle donne.” (p.237)
È quindi necessario comprendere e gestire collettivamente le crisi, il che richiede l’apertura dello spazio pubblico a voci prima inascoltate, alle voci di coloro che ne erano esclusə. L’esistenza di “contropubblici” (Nancy Fraser) è un arricchimento e permette una visione aperta. Il femminismo ci permette di andare verso un nuovo modello democratico: la discussione democratica consiste nel convincere l’altrə attraverso l’argomentazione invece di cercare di dominarlo, di imporre il proprio punto di vista. Questo implica un ripensamento degli spazi di discussione che non sarebbero più riservati a una minoranza che coltiva il proprio io, ma a visioni plurali della realtà.
In questo modo, il femminismo, che si basa su un obiettivo universale che attinge alla pluralità delle esperienze e delle priorità, aiuta a elaborare una nuova filosofia morale: si tratta di una forza politica per ripensare il dibattito, reinventare il potere, rinnovare la politica e fare politica attraverso il genere. Il progetto portato avanti dal libro può essere riassunto come segue:
“È un progetto di società che il femminismo propone da più di un secolo: più cooperativo, più egualitario, più all’ascolto. L’obiettivo non è quello di disaggregare ma, al contrario, di consolidare i legami sociali, prendendo atto delle nostre interdipendenze, avendo cura di riconoscerci a vicenda per riconciliarci. ” (p.113)
La mobilitazione di esempi di attualità, di riferimenti critici e filosofici assicura l’efficienza dell’argomentazione. Questa pubblicazione chiara, accessibile e sintetica si rifà ai principali e fondamentali testi del pensiero femminista: Olympe de Gouge, Elsa Dorlin, bell hooks, Gloria Steinem, Judith Butler o ancora Mona Chollet. Permette di concludere l’anno offrendo un prospetto sui subbugli degli anni 2010-2020 (l’ascesa dei neofascismi, i cambiamenti climatici, il movimento #MeToo…) proponendo un’alternativa ottimista e piena di speranza per il 2021… e gli anni a venire
Fonte
Magazine: Les Ourses à plumes
Articolo:
LA DÉMOCRATIE FÉMINISTE. RÉINVENTER LE POUVOIR, DE MARIE-CÉCILE NAVES : PENSER UNE GOUVERNANCE PLUS INCLUSIVE ET SOLIDAIRE
Scritto da: Clara Joubert
Traduzione a cura di: Charlotte Puget
Immagine di copertina: Lindsey LaMont
Immagine in anteprima: Pinterest
Ciao, sapete se il libro è tradotto in italiano/inglese/spagnolo? Mi interesserebbe molto leggerlo, ma per adesso l’ho trovato solo in francese, una lingua che non conosco. Grazie.