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“Vivi e lascia vivere”. Dignità, uguaglianza e fumogeni.

“Vivi e lascia vivere”. Dignità, uguaglianza e fumogeni.

Come si è evoluta la situazione della comunità LGBTQ+ ucraina dopo la guerra del Donbass del 2014? A questa domanda rispondono ə protagonistə del documentario “Bud’mo, gay! Dialoghi sulla dignità”, diretto da Evgenij Lesnoj. Quattro di loro sono scesə in piazza durante le rivolte di Euromaidan del 2013-2014, e altrə due hanno combattuto nella guerra russo-ucraina. Il regista si sofferma in particolare sulle scene girate al fronte, presso il bacino del Donec.

Nel documentario vengono intervistatə anche famosə giornalistə, che sottolineano il graduale cambiamento che sta investendo la società ucraina, la quale sta abbandonando i preconcetti patriarcali e si appresta a diventare un Paese tollerante ed “europeo” a tutti gli effetti.

Numerose organizzazioni, tra cui l’Unione dei Militari LGBT+, sono operative non solo nella capitale, ma anche in altre città, e organizzano marce e manifestazioni a sostegno della parità e dell’uguaglianza. A differenza di quanto accade in Russia, l’omofobia non è avallata dallo Stato e non vi è alcuna legge repressiva. Una grave minaccia è rappresentata invece dai gruppi di estrema destra, uno dei quali ha sabotato la première del documentario “Bud’mo, gay!”.

La première, voluta, tra gli altri, dalla Fondazione per la democrazia dell’ambasciata degli Stati Uniti in Ucraina, si è tenuta il 27 maggio in modalità mista: in presenza presso il centro formativo Dialog Hub a Kiev e in streaming su Youtube. Nei pressi della sede si sono radunate persone dal volto coperto, che hanno cercato di disturbare la proiezione diffondendo musica ad alto volume. Non contenti, hanno poi spaccato una finestra e lanciato una bomba lacrimogena.

Il regista Evgenij Lesnoj, ex moscovita, è un operatore televisivo con esperienza ventennale. Al momento lavora per la radio pubblica ucraina, al programma “Night Watch”. In Russia ha collaborato con l’emittente NTV e con il canale Domašnij, e ha lavorato a programmi di intrattenimento che non avevano nulla a che fare con la politica. Dopo le rivolte di Euromaidan e l’annessione della Crimea, è giunto a Kiev come emigrato politico e ha ottenuto la cittadinanza ucraina.

In un’intervista rilasciata a Radio Svoboda, Lesnoj ha raccontato il suo documentario, descritto le sue visioni politiche e riferito quanto accaduto il giorno della première.

Evgenij, il titolo del suo documentario contiene un gioco di parole. Potrebbe spiegarlo a chi non parla ucraino?
L’esclamazione ucraina “Bud’mo!” potrebbe essere accostata a quella ebraica “Lehaim”. É un brindisi alla vita, al futuro, a tutto ciò che è buono. In risposta, si dice sempre “Ghei!”, che altro non è che un’esclamazione di gioia. Sarebbe stato un peccato non dare questo titolo al film.

È stato difficile trovare persone disposte a raccontarsi a una telecamera?
La maggior parte deə intervistatə sono apertamente gay, tre di loro sono attivistə per i diritti LGBTQ+. Se è stato difficile? No. Grazie a Dio, a differenza di quanto accade in Russia, in Ucraina non esiste una legge “contro la propaganda dell’omosessualità” o altre sciocchezze simili.

Uno deə intervistatə, Viktor Pilipenko, è il fondatore dell’Unione dei Militari LGBT+. Perché ha deciso di intervistarlo?
In Ucraina, i militari godono di grande stima e rispetto. La fiducia nei loro confronti era elevata già prima del conflitto russo-ucraino, e negli ultimi sette anni, in cui l’esercito ha protetto il Paese dall’occupazione, tale fiducia è divenuta quasi incondizionata. Se un militare dichiara di essere gay, ciò non si riflette negativamente sull’esercito, ma al contrario aumenta la fiducia della società nei confronti della comunità LGBT+. Durante la première, quando ha avuto luogo il sabotaggio, diversi colleghi del battaglione Donbass hanno scritto in privato a Viktor: “Dove dobbiamo andare? A chi dobbiamo insegnare ad amare l’Ucraina?”

Il tema principale del suo film è il modo in cui la “Rivoluzione della dignità” (un’altra espressione per riferirsi alle rivolte di Euromaidan, NdT) ha colpito la comunità LGBT+ ucraina. Lei come risponderebbe a questa domanda?
Questo documentario è stato per me una sorta di ricerca, un approfondimento. Ə protagonistə dicono: vogliamo vivere qui e adesso, vogliamo i nostri diritti qui e adesso, perché abbiamo difeso l’Ucraina, sia durante la Rivoluzione che durante la guerra. Adesso vogliamo essere liberə di essere noi stessə. Alla “Marcia della parità” del 2015 erano presenti 150 manifestanti, che sono statə dispersə dalla polizia a mezzo di granate stordenti, e un poliziotto per poco non ha perso la vita. All’ultima Marcia, invece, hanno partecipato diecimila persone. L’evento ha avuto una grande copertura mediatica, e i membri della Comunità hanno rilasciato interviste in cui descrivevano le loro famiglie arcobaleno.
Nella società ucraina, essere apertamente omofobə è ormai considerato sconveniente, ma allo stesso tempo ci si vergogna ancora a mostrare il proprio sostegno alla comunità LGBT+. Così, mentre i teppisti lanciano fumogeni e i reazionari pongono ostacoli, il resto della società sta semplicemente a guardare, domandandosi chi vincerà.

Ci sono stati coming out eclatanti nella politica o nello show business?
I primi in assoluto sono stati i militari, il che è ottimo. Prima di Viktor, già una dozzina di militari avevano fatto coming out. Molti di loro sono apertamente omosessuali, non si nascondono dai loro colleghi. Sfortunatamente, nessunə politicə né celebrità ha ancora fatto coming out. Speriamo che sia solo una questione di tempo.

Chi vede il documentario potrebbe farsi l’idea che ə gay ucrainə siano molto più “politicə” delle controparti russe. È davvero così? A me, personalmente, sembra che il problema sia esattamente l’opposto: a essere politicizzata è solo una piccola porzione del movimento, mentre la maggioranza non è ancora pronta a lottare per i propri diritti.
Se la comunità LGBTQ+ ucraina non avesse combattuto per i propri diritti, alla “Marcia della parità” non ci sarebbero state 10mila persone. Ciò è stato possibile, tra le altre cose, grazie al fatto che lo Stato si è impegnato a garantire tali diritti, cosa assolutamente necessaria anche alla luce del fatto che l’Ucraina si sta avvicinando all’Europa e ai suoi valori. È automatico: se una persona si sente al sicuro, riuscirà a far valere i propri diritti. Uno dei personaggi del mio film sostiene che non si debba far coincidere l’orientamento sessuale e la passione politica, poiché le due cose non sono collegate tra loro. Ə omosessuali politicamente impegnatə non sono né più né meno di tuttə ə altrə. Tuttavia, un* altrə deə intervistatə sostiene con convinzione che il motore della rivoluzione in Russia dovrebbero essere anche ə gay, proprio in quanto persone private ​​dei propri diritti.

Nel suo documentario si sottolinea la distanza fra il movimento LGBTQ+ ucraino e quello russo. Non bisognerebbe invece allearsi contro il nemico comune, ovvero l’omofobia?
Quella di sottolineare la distanza tra i due movimenti è stata una mia deliberata decisione. Ritengo che la comunità LGBTQ+ ucraina, e così tutto il Paese, abbia fatto un grande passo verso la dignità. Quando la comunità LGBTQ+ russa capirà che anche lei deve fare questo passo, a quel punto dovrà combattere con il sostegno di tutto il Paese. Non è possibile vivere in un Paese non omofobo e tiranno allo stesso tempo. La tirannia è sempre omofoba.

Ma la comunità LGBTQ+ russa, in questo momento, non può fare nulla di tutto ciò, proprio a causa della repressione.
Ne sono consapevole. Ma nel 2014-2015, quando mi trovavo ancora lì, ho sentito moltə esponenti della comunità LGBTQ+ elogiare Putin. È come se neppure la comunità LGBTQ+ russa resistesse al fascino dell’imperialismo. Stimo molto l’artista e crossdresser Vadim Kazanzev/Zaza Napoli, ma se persino lui arriva a sostenere che i gaypride in Russia non servano a un fico secco, allora di cosa stiamo parlando? Non si può essere alleatə della comunità LGBTQ+ e sostenere l’occupazione della Crimea. Non è possibile propugnare la libertà e i diritti della comunità LGBTQ+ in Russia e nel frattempo celebrare le conquiste imperialiste. Come sottolinea uno dei personaggi del mio documentario, Paša Kazarin (eterosessuale), ci troviamo di fronte a un bivio: possiamo scegliere di restare ancorati al passato, spacciando per meriti le conquiste imperialiste, oppure di guardare al futuro. Non sto dicendo che la comunità LGBTQ+ russa debba scendere in piazza ora: sarebbe estremamente difficile, nonché una battaglia persa in partenza.
Ritengo tuttavia che, nel momento in cui la gente ha iniziato a scendere in piazza, gli esponenti della comunità LGBTQ+ russa non avrebbero dovuto restarsene in disparte, ma unirsi alla protesta, che è quello che ha fatto la comunità LGBTQ+ in Ucraina: durante le rivolte di Euromaidan, non hanno manifestato in quanto omosessuali, non hanno issato la bandiera arcobaleno, ma sono scesə in piazza come cittadinə ucrainə. E in quanto tali sono andatə a combattere.

Nel 2015 si è trasferito da Mosca a Kiev. È emigrato per motivi politici?
Sì. Il 2 marzo 2014 sono sceso a manifestare in Piazza del Maneggio a Mosca, assieme a poche altre persone, non più di duemila. Portavo un piccolo manifesto che recitava: “Non voglio che sparino alla mia famiglia”. Mia madre è ucraina, e mio cugino vive a Leopoli. Ho quindi origini ucraine, anche se, non mentirò, prima di questi eventi non mi ero mai sentito ucraino. Nel 2004 ho sostenuto con convinzione la Rivoluzione Arancione, e durante la Rivoluzione della dignità restavo tutta la notte sveglio a guardare le dirette streaming, per non perdermi nulla di quanto stesse accadendo. Trovavo l’occupazione della Crimea qualcosa di inaccettabile. Sono stato arrestato e portato in uno dei distretti regionali assieme ad altre 450 persone, o giù di lì. Il giudice mi ha dato una multa di 20 mila rubli, somma che sono riuscito a raccogliere anche grazie al sostegno di “Rus’ Sidjašaja”. In seguito, ho girato di tasca mia il documentario “Chi ci ha fatto divorziare?”, al quale hanno partecipato alcuni membri della mia famiglia, sia russi che ucraini. Ho viaggiato per l’Ucraina, poi sono andato a trovare amici e parenti in Russia, e ho operato un confronto. Già nell’agosto del 2015, dopo aver capito finalmente che anche l’Ucraina era casa mia, ho fatto le valigie e sono partito, con due zaini in spalla e un cane in braccio. Non sono stato invitato da nessunə. Naturalmente, sono emigrato per motivi politici.

Si pente di averlo fatto?
Assolutamente no.

All’epoca, il presidente dell’Ucraina era Porošenko, il quale ha sostenuto, nonostante la resistenza deə conservatorə, il pride di Kiev e il movimento LGBTQ+. Il presidente Zelenskij e ə suə ministrə hanno preso una posizione netta su quest’argomento? Ə politicə più prominenti si esprimono mai su questo tema?
Purtroppo, ə politicə ucraini sono fifonə. e riguardo a questa specifica questione vivono secondo paradigmi del passato. Per qualche ragione, ritengono che, se qualcuno di loro sosterrà apertamente la comunità LGBTQ+, allora ciò sarà percepito come qualcosa di orribile.
Spesso si dice che la società ucraina sia ultra-tradizionalista. Questo non è vero, e ciò è evidente soprattutto se guardiamo alle nuove generazioni. Uno dei personaggi del documentario descrive come sua nipote, sedicenne, non riesca a comprendere perché ci si scagli così tanto contro le persone che amano qualcuno dello stesso sesso. In questo senso, la società ucraina è estremamente diversa da quella russa. “Vivi e lascia vivere” è il nostro motto. L’Unione Sovietica ha un po’ rovinato tutto questo, ma le basi non sono mai venute meno. Anche prima della Rivoluzione, in Ucraina l’omofobia era assai meno radicata che in Russia. Qui non c’è alcuna pubblica gogna, ognuno vive la propria vita.

Considerando che gli spazi informativi tendono ad intersecarsi, la propaganda omofoba russa ha avuto ripercussioni sulla società ucraina? E secondo lei, quant’è diffusa l’idea per cui “Putin è contro i gay, e noi dobbiamo fare tutto il contrario di Putin”?
Rispondendo alla prima domanda, direi che l’influenza dei media russi era decisamente più forte quando c’erano ancora i canali di Medvedčuk. A parte ciò, dal mio punto di vista, lo spazio informativo russo non esercita un’influenza particolarmente significativa su quello ucraino. Questo perché, grazie a Dio, sia Vkontakte che i canali televisivi russi sono stati chiusi tempestivamente. Si è trattato di provvedimenti di vitale importanza, che hanno, seppur in parte, liberato il cervello deə ucrainə da una propaganda inutile e dannosa.
In merito invece all’idea che “dato che Putin ostacola la comunità LGBTQ+, noi dobbiamo sostenerla”, mi sento solo di dire che le persone stanno finalmente iniziando ad accendere il cervello, e a comprendere che usare la comunità LGBTQ+ come capro espiatorio di ogni cosa è una mossa assolutamente imperialista.

Le persone che ha intervistato sostengono che entro pochi anni l’Ucraina legalizzerà le unioni tra persone dello stesso sesso. Lo pensa anche lei?
Alcunə deə intervistatə, che non appartengono alla comunità LGBTQ+, sostengono che questo accadrà tra 10-20 anni, mentre i membri della comunità LGBTQ+ vorrebbero che ciò accadesse seduta stante. Paša Kazarin parla proprio di questo, e lo fa basandosi su quanto accaduto in America. Dall’inizio dei Moti di Stonewall, quando le persone gay sono finalmente uscite allo scoperto, fino alla legalizzazione delle unioni omosessuali sono passati 40-50 anni. Adesso viviamo in tempi più dinamici, in cui ogni minuto è dieci volte più denso di informazioni rispetto a quanto lo fosse 50 anni fa. In politica stanno entrando volti nuovi, per i quali sarà a dir poco anacronistico mettere in discussione la parità.

Il movimento LGBTQ+ ha un grande nemico: gli estremisti di destra. Uno dei personaggi del suo documentario sostiene che, se prima erano solo dei “teppistelli” a dare il tormento alle persone omosessuali, adesso ci sono unità organizzate, e nel film vengono spesso mostrati filmati di attacchi e scontri. A suo avviso, questo conflitto si sta radicalizzando o, al contrario, si sta esaurendo?
Più il cane è piccolo e più forte abbaia. Un’organizzazione che si fa chiamare Solaris ha cercato di sabotare l’anteprima stampa del mio documentario. Si trattava di un gruppo di ragazzini, sicuramente minorenni, che si sono trascinati dietro un’enorme cassa e hanno iniziato a diffondere musica ad altissimo volume. Noi abbiamo proseguito con la visione del film, senza far caso a loro. Dopo circa 45 minuti, quando si sono accorti che non li calcolava nessuno, hanno iniziato a lanciare oggetti alle finestre, tra cui anche bengala e fumogeni, e a spruzzare gas.
Sì, ora gli attacchi sono più organizzati e l’ideologia gioca un ruolo fondamentale. La sorpresa più grande l’ho avuta leggendo la sezione “commenti” del documentario, in cui alcunə utenti blateravano sciocchezze sul neo marxismo. È molto semplice inculcare queste cose aə giovanissimə, in particolare a quellə che stanno cercando di sopprimere la propria omosessualità latente. Non tutto ciò che viene definito “estrema destra” è di fatto guidato da quest’ultima. È abbastanza probabile che i soldi vengano dalla Russia, perché a loro fa comodo dipingere la società ucraina come un branco di fascisti che perseguitano le persone gay.

La polizia non è intervenuta durante il sabotaggio?
Non direi che la proiezione sia stata sabotata, perché la premiere si è tenuta in modalità mista, e non è possibile sabotare uno streaming su Youtube. Hanno tentato di generare una grande quantità di dislike, ma non avevano i mezzi necessari per riuscirci. Ad essere “sabotato” è stato l’evento fisico, ovvero l’anteprima per la stampa. Finché si sono limitati a gridare slogan non abbiamo chiamato la polizia. Poi, poco dopo aver rotto le finestre e lanciato i razzi, sono corsi via. Solo in seguito sono arrivati ​​la polizia ei vigili del fuoco. Sarò cinico: le loro azioni hanno aumentato esponenzialmente le visualizzazioni del film su YouTube.

Questo è positivo, ma non posso fare a meno di notare uno spiacevole parallelo con la Russia, dove ə organizzatorə del festival Artdocfest sono statə praticamentə costrettə a rimuovere dalla programmazione il documentario “Voce fioca” (“Tikhij Golos”), avente anch’esso come tema principale la comunità LGBTQ+. Non è stata condotta nessuna indagine, non è stato fatto nulla per individuare e fermare ə sabotatorə. Questi episodi, a quanto pare, si verificano anche a Kiev.
Qui voglio spezzare una lancia a favore dell’Ucraina, di cui sono cittadino. Le nostre istanze sono state accolte, è stato aperto un procedimento penale, tutto è stato registrato. Sfortunatamente, non verrà qualificato come un crimine di matrice omofoba, ma come un comune atto di vandalismo. Tuttavia, proprio l’altro giorno il Governo ucraino ha presentato al Parlamento un disegno di legge relativo alle pene contro vari crimini d’odio, in cui figurano anche le discriminazioni sulla base dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale. Ne è nato un vero e proprio movimento.

Ho l’impressione che il target principale del suo documentario non siano i festival del cinema, ma ə politicə e ə deputatə, e che il suo vero obiettivo sia mostrare loro che è ora di modificare la legislazione.
Sì. Vorrei che questo film venisse proiettato nelle aule parlamentari e nei palazzi del Governo. Più politicə lo vedranno, meglio sarà.

Il documentario potrà essere mandato in onda in televisione? C’è qualche canale che avrebbe il coraggio di trasmetterlo?
È altamente improbabile che sia la televisione commerciale a trasmetterlo. Abbiamo però la televisione pubblica, con cui cercherò di instaurare un dialogo. Nel film si fa uso di turpiloquio, quindi ci sarà bisogno di operare qualche adattamento. In Ucraina, trasmettere un film come questo non è assolutamente un problema, ma dubito che sarà un canale commerciale a trasmetterlo, poiché questo tema non sembra avere un alto indice di gradimento. La società ucraina nasconde ancora la testa sotto la sabbia, dietro alle parole “non sono affari miei, non mi riguarda”. Invece, questa questione riguarda tuttə, nessunə esclusə.

Fonte
Magazine: Радио Свобода
Articolo: Не лезь в мою хату. Диалоги о достоинстве и дымовые шашки
Scritto da: Dmitrij Volček
Data: 5 giugno 2021
Traduzione a cura di: Paola Galluccio
Immagine di copertina: Isi Parente
Immagine in anteprima: freepik

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