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Sul perdono e sul piangere come una matta con l’ultima canzone di Kesha

Sul perdono e sul piangere come una matta con l’ultima canzone di Kesha

“Questa canzone parla del mio fare pace col fatto che non posso controllare tutto – perché cercare di farlo mi stava uccidendo. Parla della capacità di imparare e lasciare andare e realizzare che è l’universo ad avere il controllo del mio destino, non io.

“Praying” è stata scritta nel momento in cui il sole comincia a fare capolino dalle nuvole scure dopo il temporale, creando l’arcobaleno. Una volta che capisci che alla fine starai bene, vuoi condividere i sentimenti di amore e guarigione con gli altri. Se senti che qualcuno ti ha fatto del male, liberati dell’odio, perché creerà solo altra negatività”.

Per chi non sapesse la storia di Kesha, per dirla davvero in breve nel 2014 Kesha aveva chiesto a un giudice di rescindere il suo contratto con Dr. Luke, il suo produttore, sostenendo che lui l’avesse violentata, ma il giudice aveva dato ragione a Dr. Luke (ne avevamo parlato più nello specifico l’anno scorso, qui).

Ora Kesha è tornata con una canzone palesemente dedicata al suo ex producer ed io (come tanti altri) non riesco davvero ad ascoltarla senza piangere ogni volta.

Allora, mettiamo da parte per un attimo la grande domanda “chi avrà detto la verità?” e concentriamoci solo sul messaggio di questi 3 minuti e 50 secondi. Possiamo anche fare un esercizio di stile e pensare che sia un racconto inventato, vi accorgerete che la veridicità o meno del fatto non diminuisce nemmeno di una tacca la potenza e l’intensità del pezzo.
Perché questa è una canzone sul perdono e noi di perdonare (noi stessi e gli altri) ne abbiamo un gran bisogno.

Davide Rondoni dice che il perdono è un superdono, è un dono alla seconda.
Perché se donare a qualcuno che ci sta simpatico è bello, farlo con chi ci ha fatto un torto lo è meno. Sicuramente è meno facile. Quindi è un dono SUPER.

Il perdono ha 3 step.

Nel primo caso si rinuncia alla vendetta, si sceglie quindi di abbandonare l’idea di “farla pagare” a chi ci ha fatto del male. E qui ci si ferma, non c’è volontà di riprendere i rapporti con quella persona, men che meno di ridarle fiducia.

Nel secondo caso si rinuncia alla vendetta e si sceglie di tornare a stare in relazione con la persona. Fidarsi, invece, è tutta un’altra storia.

Nel terzo caso si perdona completamente, ridando piena fiducia all’altro.

Ora io non so a che step del perdono sia arrivata Kesha, quello che so è che scrivere al tuo violentatore “spero che tu sia da qualche parte a pregare e spero che la tua anima stia cambiando, ogni tanto prego per te durante la notte” è qualcosa di forte.

Siamo un mondo che spesso si fonda sulla vendetta e sul risentimento e in mezzo a tutta questa negatività una persona ha scritto una lettera di compassione al proprio carnefice.
Una donna violentata ed umiliata ha scelto di reagire avvicinandosi al perdono.
Qualcuno di voi penserà “è pazza, come si può perdonare un fatto simile?”

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Ma vedete, quando si perdona, si perdona la persona, non il fatto.

Io non perdono la violenza, io perdono l’uomo che l’ha commessa, se ci riesco. Ed è solo così che mi libero.

È un meccanismo che ci sembra lontano anni luce quando siamo lesi e che invece capiamo benissimo quando siamo rei. Quando facciamo un torto a qualcuno e questo non ci perdona, diciamo spesso “per favore, dammi un’altra possibilità, ho fatto quella cosa è vero, ma quella cosa non mi definisce totalmente, io non sono solo il mio errore, io ho commesso un errore ma sono molto altro”.
La capacità di separare la persona dai suoi atti è ciò che ci permette di restare umani.
Che non significa farsi andare bene tutto o subire qualsiasi cosa, significa avere gli strumenti per potersi regalare nuovamente la pace.

Io nel testo di Kesha ho visto tutto questo ed è questa la ragione per cui non riesco ad ascoltare questo pezzo senza piangere.
Perché parla alla parte più profonda di me, quella che sta imparando a perdonare per vivere più serena e che sta imparando a perdonarsi per volersi bene.

Ed ogni volta che sento una lacrima scendere mi sento meglio, perché mi ricordo che sono umana e che provando a perdonare sto facendo qualcosa di utile, anzitutto per me.

I’m proud of who I am
No more monsters, I can breathe again

Questo articolo è dedicato a tutte le persone che stanno soffrendo cercando un modo per superare un’esperienza negativa, una violenza, un trauma. Ringrazio Davide Rondoni per le sue parole illuminanti ed evolve per avermi permesso di ascoltarle, comprenderle e farle mie.
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  • Se si riuscisse a trovare un metodo per rendere il perdono più facile sarebbe una delle più grandi scoperte dell’umanità. I buddhisti “usano” il principio del “non attaccamento”, che però come il perdono è tutt’altro che semplice da mettere in pratica. Quindi di fatto non si sposta il problema. Tema interessante, sicuramente ci sarebbe molto altro di cui parlare.

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