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Human: un docufilm per riscoprirsi umani
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Human: un docufilm per riscoprirsi umani

Articolo di Andrea Patrizio

Quando è cominciata la mia avventura su Bossy, fin da subito ho pensato che avrei dovuto scrivere di Human, il documentario del regista francese Yann Arthus-Bertrand uscito nelle sale cinematografiche nel settembre del 2015. Credevo che se davvero Bossy – come ci piace a buon diritto ripetere – vuole essere un sito che si occupa innanzitutto di persone, allora non poteva mancare, nel suo vasto indice di contenuti, la voce Human. Quello che state leggendo, però, non è il primo articolo che scrivo per Bossy: se di grandi classici è sempre lecito parlare, scrivere di Human quasi due anni dopo la sua uscita nelle sale mi sembrava una scelta fin troppo anacronistica.

A convincermi invece che di Human si possa scrivere anche mesi dopo la sua apparizione è stato un articolo di Alessandro Baricco per Vanity Fair su cui sono recentemente rincappato, lo stesso, per altro, che la scorsa estate mi ha permesso di conoscere il documentario. Baricco scrive che “Human non sembra avere confini nel tempo: nel senso che è apparso un anno fa, ma parlarne adesso ha perfettamente senso, e fra tre anni sarà ancora lì, e teoricamente per dieci anni, o venti, sempre lì lo troveremo”. È proprio questa, allora, la ragione per cui, ancora nel 2017, su Bossy state leggendo di Human: perché è sempre attuale, e le storie che descrive appartengono senz’altro agli esseri umani di oggi, ma sono le stesse che venivano raccontate ieri, le stesse che ascolteremo domani.

Guardatelo anche voi: se amate leggere Bossy, di sicuro vi piacerà. Human dà voce a chi non l’ha mai avuta, punta i riflettori là dove i media tacciono e offre ascolto a chi non è mai stato riconosciuto. Al cinema, nella sua versione originale di circa tre ore, non lo troverete più, ma potete recuperarlo facilmente su Youtube, dove è stato liberamente distribuito nella sua versione estesa, composta di tre volumi da un’ora e mezza circa ciascuno e sottotitolata in sette lingue diverse: francese, inglese, spagnolo, italiano, portoghese, arabo e russo.

Guardatelo due volte: la prima in solitudine, così che possiate commuovervi, arrabbiarvi e sorridere in tutta libertà, e la seconda insieme a chi troppo spesso giudica senza conoscere, discrimina, ferisce. Per una volta, a rispondere, non sarete voi, ma le storie vere raccontate attraverso le centodieci interviste del documentario rivolte a persone comuni provenienti da tutto il pianeta.

Guardatelo con chi dice che gli immigrati dovrebbero tornare nel loro Paese, perché a rispondere sarà proprio uno di loro: “Dov’è il mio Paese? Io non ho un Paese! È un campo di battaglia in cui si uccide la gente, in cui si combatte!”.

Guardatelo con coloro che negano il femminicidio o minimizzano la gravità della violenza sulle donne, perché Human risponderà anche a loro: “Per me è stata dura, ho subìto violenze orribili. Mi puntava un’arma alla testa, dovevo mettermi in ginocchio e supplicarlo. E io lo facevo. Davanti ai miei figli”.

Guardatelo con chi crede che l’omosessualità sia contronatura: “E poi ho conosciuto l’amore della mia vita. Si chiama Jen. Lei ha cambiato tutto il mio mondo. Non mi importava più di nient’altro. Sapevo solo che volevo stare insieme a lei”.

Guardatelo con chi non può fare a meno di etichette: “Non mi identifico come gay. Sono un uomo innamorato, un padre, un fratello, un rompiscatole, sono adorabile, tremendo. Sono un sacco di cose. Il sesso della persona che amo non mi definisce. Il fatto che amo un uomo non dice niente di me”.

Se ancora non vi è chiaro cosa effettivamente sia Human, non preoccupatevi: nessuno lo sa. Forse un lungo film, di quelli “tratti da una storia vera”, forse un documentario o un semplice mix di interviste, poco importa: aprite Youtube, cercatelo, e fatevi accompagnare dal fiume di parole di chi, finalmente, si è sentito ascoltato. Human porta sullo schermo racconti di tutti i giorni, episodi di vita, storie di perdite e conquiste, di errori commessi e prepotenze subite, tutte con un solo denominatore comune: l’umanità. I temi affrontati nelle diverse parti del documentario sono tanti, tutti ugualmente profondi e così suddivisi:

  • nel Volume 1: l’amore, le donne, il lavoro e la povertà;
  • nel Volume 2: la guerra, il perdono, l’omosessualità, la famiglia e la vita dopo la morte;
  • nel Volume 3: la felicità, l’educazione, la disabilità, l’immigrazione, la corruzione e il senso della vita.

Sono tematiche estremamente attuali, oggi già ampiamente discusse, nulla di cui non possiamo sentire parlare accendendo la televisione o leggendo i giornali; ma ciò che rende Human un mezzo più potente rispetto ad un qualunque servizio giornalistico, ciò che davvero lo rende diverso, sono i volti delle persone: a raccontarci storie di ingiustizie subite, questa volta, sono proprio loro, siamo proprio noi, i diretti interessati, senza filtri geografici e culturali. A pensarci bene, in effetti, è proprio a questo che si riduce Human, con il suo stile volontariamente minimalista: ai volti delle persone, in primo piano su uno sfondo nero, accompagnati da sottotitoli bianchi in sovrimpressione (le lingue parlate nelle duemilaventi interviste realizzate sono ben sessantatré, mentre gli intervistati provengono da sessanta Paesi diversi).

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Come ha dichiarato il regista Yann Arthus-Bertrand in un’intervista alla rivista mensile Vita, Human “è sicuramente molto difficile, perché è lungo, è duro, e perché la vita è difficile”, ma, arrivati alla fine, vi accorgerete di come, negli occhi degli altri, non importa quanto diversi fossero o da quanto lontano provenissero, c’eravate anche voi, con le vostre storie, con le vostre paure, con la vostra umanità, che è la stessa delle altre centodieci persone dentro allo schermo.

Proprio oggi che, come prosegue il regista sulla rivista Vita, “viviamo in un’era molto difficile, è la prima volta nella storia dell’umanità in cui il futuro appare così incerto: il riscaldamento globale, la crisi dei rifugiati, il divario crescente tra ricchi e poveri, la crisi economica…”, ecco, proprio oggi Human è necessario, perché ci aiuta a ritrovare l’empatia, a riscoprirci umani.

Gli intervistati vengono da ogni parte del mondo, parlano lingue diverse, credono in religioni diverse, hanno usanze e ideali diversi, ma le loro storie si intrecciano, si assomigliano, ritornano. Sono operai, uomini e donne innamorati, persone vittime di violenza, razzismo, omofobia, guerra, fame, povertà, ma talvolta anche uomini benestanti, ricchi, alienati dalla società dei consumi.

Persone diverse, storie diverse, eppure in qualche modo simili: raccontano tutte, in fondo, che cosa significhi essere umani. L’uomo ha mille volti, ed è capace di alti ideali come delle più truci nefandezze; eppure, Human ci dimostra che, denudandoci dagli orpelli e guardandoci nella nudità dell’essere, possiamo vederci finalmente per quello che siamo: esseri umani con il naturale bisogno di essere riconosciuti.

L’intima verità che Human disvela ci stupisce e ci purifica.

È una catarsi. E disarma.

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