Jack Jaselli è una forza della natura, un artista unico in Italia, oltre che una persona favolosa.
Milanese, cantante, chitarrista, viaggiatore.
Ha suonato con artisti quali Ben Harper, Gavin Degraw, Xavier Rudd, Lee Ranaldo, Fink, Lewis Floyd Henry, The Heavy, Jack Savoretti.
Nel 2010 ha pubblicato IT’S GONNA BE RUDE, FUNKY, HARD registrato in una cantina e promosso dal vivo con più di ottanta date l’anno.
Nel 2013 ha pubblicato I Need The Sea Because It Teaches Me, mini-album acustico registrato in trio insieme a Max Elli e Nik Taccori, interamente dal vivo, in una casa scavata negli scogli a picco sul Mar Ligure. Nello stesso anno ha vinto il Cornetto Summer Of Music Tour Negramaro Contest, che gli ha dato l’opportunità di aprire i concerti della band salentina negli stadi di San Siro e dell’Olimpico, davanti a 80.000 persone.
Nel 2015 ha registrato Monster Moon ai Fonogenic Studios di Los Angeles, Jovanotti gli ha chiesto un remix acustico di L’Estate Addosso e, con lui, ha collaborato alla colonna sonora del film omonimo.
Nel 2017 ha iniziato a registrare il suo primo album in italiano, prodotto da Max Casacci e da cui è stato estratto In fondo alla notte, pubblicato a ottobre scorso.
Nonostante Tutto è il suo nuovo singolo, scritto insieme alle donne del carcere della Giudecca e sulla cui genesi è stato girato un docufilm omonimo, andato in onda su Real Time lo scorso 21 marzo.
E di Nonostante Tutto ci ha raccontato un po’, al telefono, con il sorriso e l’entusiasmo che lo caratterizzano e che si percepiscono anche dall’altro capo della cornetta.
Di cosa parla Nonostante tutto?
Come canzone parla di libertà; come progetto e come documentario parla anch’esso di libertà, ma vista da dentro un carcere. Anche nella canzone si parla di libertà da quel punto di vista, da dietro le sbarre, tra le mura di un carcere, che nella fattispecie è quello femminile della Giudecca.
Ne parlo usando le parole delle detenute, che sono trentasette più alcune che sono state accorpate, e che le donne hanno scritto su un foglio quando ho chiesto loro di scrivere la prima parola che gli venisse in mente a proposito del pensiero della libertà.
Il vincolo che mi sono dato è quello di usare tutte quelle parole per scrivere il testo.
Se tu dovessi dare un significato o dovessi associare un concetto alla parola libertà, come la definiresti?
Essere nelle condizioni di poter scegliere autonomamente ciò che è meglio per noi, e per autonomamente intendo senza condizionamenti fisici né politici né mentali.
Com’è nata l’idea del documentario?
È nato tutto in modo spontaneo e graduale, da un concerto che l’associazione Closer, che lavora col carcere, mi ha chiamato a fare a Venezia. Da lì con le ragazze è nata l’idea quasi per gioco di fare una canzone insieme, ci siam visti un po’ di volte e poi la canzone è diventata una canzone che sia io che chi lavora con me ha subito pensato fosse bella.
L’abbiamo fatta sentire a Max Casacci che ha prodotto il pezzo e sta producendo il disco, ha deciso di registrarla; poi mi son chiesto perché non provare a raccontare questa storia, raccontando cosa sarebbe successo registrando le voci delle ragazze in carcere, così ho chiesto alle detenute se poteva essere qualcosa facesse loro piacere, se fossero d’accordo, e da lì abbiamo proposto a Real Time l’idea, che è piaciuta e ne è stato fatto un documentario.
Ci sono stati dei momenti di difficoltà, a livello emozionale, musicalmente parlando?
Il lavoro musicale è stato molto stimolante, il lavoro più tecnico è stato più mio, di chi ha lavorato sul pezzo, di Max Casacci che lo ha registrato, di Nik Taccori che ha registrato le batterie.
Dal punto di vista del testo, è stato uno stimolo il dover partire a parlare di libertà in modo non libero, avendo trentasette parole-paletti fissi. Però si fa, anzi! Ci sono scrittori come Calvino e Perec che ci hanno fatto una corrente letteraria con lo scrivere sotto vincolo! È stato stimolante. Dal punto di vista emotivo, la difficoltà è stata nel trovare il corretto equilibrio per
rispettare la giusta misura in cui ero semplicemente un ospite e guadagnarmi la fiducia delle donne con le quali ho lavorato.
E ci sei riuscito?
Spero e credo di sì (ride).
Ci sarà un seguito a questo progetto?
Di sicuro appena riesco vado a trovare le ragazze e, quando suoniamo a Venezia, vorremmo portare le ragazze che possono prendersi un permesso a sentire un nostro concerto.
Di programmato non c’è nulla, ma di volontà tanta.
Il ricordo più bello che ti ha lasciato?
Il ricordo più bello di tutti è stato quando sono entrato in carcere con la canzone finita: avevo idee di testo e avevo promesso alle donne che la settimana seguente sarei rientrato in carcere con la canzone finita. E avevo abbastanza paura, ero agitato, doveva essere una canzone che le rendesse contente e in cui si potessero rispecchiare sia musicalmente che come testo. Tra l’altro era la prima volta che cantavo una canzone mia in italiano davanti a un pubblico. E quando ho finito la canzone e c’era il coro, che poi è quello che hanno registrato loro, hanno subito iniziato a cantarlo, si sono commosse ed è stato per me un momento molto emozionante.
In generale è stato bello in tutto per tutto, è stata anche la mia prima esperienza con qualcosa di diverso dalla musica, ossia il documentario. Quindi anche lo scrivere i testi è stato molto stimolante e, comunque, naturale.
Quindi sei anche autore del documentario?
Sì! La regia è stata di Tiziana Martinengo, che è stata anche per me un’importante maestra, mi ha guidato. L’autore però sono io.
Hai mollato definitivamente il cantato in inglese?
Nonostante tutto è il secondo singolo che esce in italiano. Ho iniziato quest’altro percorso, ma uno non esclude l’altro. Anche se devo dire mi sto divertendo tanto e mi sta piacendo.
Il carcere è un momento di limitazione alla libertà, ma anche una prospettiva verso il reinserimento, la rinascita. Per te, pensando alla tua carriera, al tuo percorso, quali sono stati i momenti in cui ti sei fermato, e poi hai ripreso a camminare?
Ogni passo di questo lavoro è fatto così: nessuno ti obbliga a far musica, come dice Bob Dylan, anche se domani si smettesse di scrivere canzoni, nell’umanità ce ne sarebbero già troppe, ogni volta devi ripartire. Le circostanze esterne che influiscono son tante, l’industria e il mercato musicale, i blocchi di ispirazione… ogni volta è come quando cammini, ogni passo che fai è come se ripartissi: hai la spinta del percorso fatto fino ad oggi, ma i piedi non vanno avanti da soli se non ci metti tu la forza.
Progetti per i prossimi mesi?
Continuare a scrivere e poi il tour parte a fine aprile: a spettacoli puramente musicali mischieremo qualche rassegna letteraria in cui verrà proiettato il documentario, in cui parlerò io raccontando delle cose in questa mia nuova veste di storyteller.