Il 25 ottobre la società cilena ha compiuto un passo storico, approvando il referendum che dà inizio a un processo costituzionale per uscire dalla struttura imposta dalla dittatura civile-militare di Augusto Pinochet. Si apre così un percorso di possibilità di transizione verso una struttura statale che garantisca più diritti sociali, dove si fanno strada anche le rivendicazioni femministe. Qual è l’attuale panorama costituzionale rispetto alle disuguaglianze e alla violenza di genere? Cosa bisogna modificare per eliminare gli ostacoli a questa lotta?
La settimana dal 14 al 18 ottobre 2019 segnava una svolta nella storia del Cile. Il giorno prima, il governo aveva aumentato il prezzo dei biglietti della metropolitana, provvedimento a cui si sono sommate altre modifiche che stavano facendo perdere la pazienza alla popolazione. “Chi si alza all’alba potrà godere di una tariffa più bassa”, aveva detto il ministro dell’Economia Juan Fontaine. Con i social network gli studenti delle superiori, in particolare del Liceo de Aplicación e dell’Instituto Nacional, hanno organizzato una campagna per eludere i pagamenti su vasta scala. La mobilitazione, iniziata nel centro di Santiago, si è rapidamente diffusa nelle stazioni di altre aree della città, moltiplicandosi in proteste sparse in diverse regioni del paese. “Non sono trenta pesos, sono trent’anni”, una delle frasi che sintetizzano perfettamente questa svolta degli eventi, che ha scatenato un’esplosione non solo nel paese, ma anche per la destra latinoamericana: quella tradizione neoliberista che ergeva il Cile a esempio di stabilità economica, sociale e istituzionale si era finalmente incrinata grazie alla mobilitazione del popolo.
Quella che era cominciata come una manifestazione considerata da molti media “infantile” è diventata rapidamente il primo passo per arrivare a mettere in discussione le basi stesse della disuguaglianza, perpetuatasi a partire dalla dittatura civile-militare di Augusto Pinochet. Il 15 novembre 2019, un mese dopo le prime proteste, i parlamentari dell’opposizione e del partito al potere si sono riuniti per discutere un processo costituente, in un’alleanza chiamata “Accordo per la pace sociale”, che ha prodotto la richiesta di un referendum. La destra ha concesso la modifica di regole fortemente radicate dalla Costituzione del 1980, in vista di un ritorno al comando, dopo che le immagini della brutale repressione di quelle settimane avevano fatto il giro del mondo. Gli oltre 30 morti si univano agli arresti, alle sparizioni, ai casi di tortura e abuso sessuale da parte dei carabinieri. Secondo un recente bilancio della Procura nazionale cilena, solo 75 persone sono state perseguite legalmente, delle 4.681 cause di violenza istituzionale tuttora aperte, 8.827 le persone che hanno denunciato i reati.
Volete una nuova Costituzione?
L’atteso referendum emerso da quell’accordo di quasi un anno fa si è finalmente tenuto questo 25 ottobre, dopo che la pandemia di Covid-19 ha costretto a posticipare la data, originariamente fissata per aprile. I sondaggi lo avevano già previsto, ma l’esito è stato ancora più scioccante: il 78,20% degli elettori si è espresso a favore di una riforma costituzionale. In totale, quasi il 51% dell’elettorato ha partecipato al referendum, il 4% in più rispetto alle elezioni presidenziali del 2017. Inoltre, il 79% ha votato per l’istituzione di una Convenzione Costituzionale come organo di redazione del nuovo documento, che sarà composta da 155 cittadini eletti con voto popolare e in un’ottica di parità di genere, segnando la prima volta nella Storia in cui la costituzione di un Paese verrà redatta con pari rappresentanza di donne e uomini. Invece la Convenzione congiunta, un’opzione alternativa, sarebbe stata composta per il 50% da parlamentari nominati dal Congresso, senza l’obbligo di tenere in considerazione la parità di genere.
Essendo la norma suprema che stabilisce la struttura di uno Stato e la base su cui vengono elaborate tutte le altre leggi, la riforma costituzionale è un momento storico. Nel caso del Cile, questo implica anche l’opportunità di cambiare le basi che hanno consacrato il “modello” neo-liberale della destra latinoamericana, perpetrato dalla Costituzione del 1980. Redatta durante la dittatura di Pinochet da una commissione a porte chiuse, questa aveva come principale ideologo l’avvocato di estrema destra Jaime Guzmán, che promosse i cosiddetti “catenacci”, che avrebbero limitato l’intervento politico sull’eredità della dittatura fino ad oggi. Lo aveva già anticipato in un articolo per la rivista Realidad nel 1979: “Significa che, se l’opposizione arriverà a governare, sarà costretta a seguire una linea d’azione non così diversa da quella prestabilita, perché – perdonate la metafora – il ventaglio di alternative imposte agli attori politici è abbastanza ridotto da rendere estremamente difficile il contrario.”
Uno dei modi usati per preservare il sistema stabilito da Pinochet è il cosiddetto “super quorum”. In pratica significa che le riforme su questioni chiave – istruzione, sanità, welfare, forze armate, concessioni minerarie, per citarne alcune – richiedono quorum al Congresso che vanno da una maggioranza assoluta a maggioranze speciali di 4/7 (il 57%), 3/5 e 2/3 dei voti. Ciò implica che sia praticamente impossibile applicare modifiche sostanziali, in quanto richiederebbero un sostegno significativo da parte della destra, che difende lo status quo. C’è anche la Corte Costituzionale, che ha il potere di revocare leggi che sono state emanate, e che ha agito in sintonia con i partiti conservatori respingendo norme definite “incostituzionali”, ad esempio un progetto che permetteva ai sindacati di negoziare collettivamente le modifiche al Servizio nazionale dei consumatori. A questo si aggiunge il sistema binominale del Parlamento, che contribuiva a limitare la rappresentanza, e i cui effetti sono ancora incisivi nonostante le modifiche apportate nel 2015.
Trasformare la tabella di marcia
Quali sono, quindi, gli ostacoli presenti nella Costituzione cilena riguardo alla lotta di rivendicazione dei movimenti femministi? Carmen Rodriguez, una coordinatrice di Non Una di Meno Cile, li trova alla radice della norma: “La verità è che la Costituzione attuale è, alla base, patriarcale, machista e persino misogina. La parola ‘donna’ si legge una sola volta, e questo grazie a una delle tante riforme che ha subito dalla sua promulgazione, per cui la frase “Gli uomini nascono liberi e uguali per dignità e diritti” è stata cambiata in “Le persone nascono libere e uguali per dignità e diritti”; aggiungendo una frase in cui si dice “L’uomo e la donna sono uguali davanti alla legge”. Questo è successo solo nel 1999. Parlando con La Primera Piedra, aggiunge: “Da questo capiamo come sia possibile che la nostra attuale Costituzione non ci garantisca alcun tipo di diritto, soprattutto per quanto riguarda le nostre libertà personali e civili, i nostri diritti sessuali e riproduttivi, il nostro diritto fondamentale a una vita libera dalla violenza machista, alla parità di reddito, a pensioni decenti, tra molti altri”.
La lotta dei movimenti femministi ha reso possibili notevoli progressi, portando avanti dibattiti sulla violenza di genere e la disuguaglianza nei media e nell’agenda sociale. Negli ultimi anni questo si è tradotto in risultati concreti, come l’approvazione della legge che depenalizza l’aborto in tre specifiche condizioni, la legge sulle molestie in strada, la legge Gabriela, che rafforza la criminalizzazione del femminicidio, o il disegno di legge Giustizia per Antonia, che prevede la formazione degli agenti statali su tematiche di genere, simile alla legge Micaela in Argentina. Tuttavia, c’è ancora molta strada da fare. Secondo una recente ricerca condotta da GfK Adimark, il Cile è il quinto Paese al mondo con il maggior divario di reddito tra uomini e donne. Anche le cifre relative ai casi di violenza sono in aumento: secondo la Rete cilena contro la violenza sulle donne, nel 2019 sono stati registrati 66 femminicidi, cinque in più rispetto al 2018. Le richieste dei collettivi femministi includono la prevenzione e l’eliminazione di discriminazioni e aggressioni in tutti gli ambiti, richieste che sono state replicate anche in piazza durante le proteste del 2019.
“L’attuale costituzione è piena di ostacoli alla parità”, dice Carmen. ”A nostro avviso, uno dei punti principali è che una nuova costituzione stabilisca una nuova forma di organizzazione dello Stato, molto diversa da quella che abbiamo oggi. Uno Stato che smetta di essere sussidiario, per diventare solidale, plurinazionale, effettivamente laico – perché qui la Chiesa è coinvolta in tutto – e garante dei diritti fondamentali di tutt*, ma soprattutto di coloro i cui diritti finora non sono stati tutelati: gli adolescenti e le donne. Il tentativo di rendere la legge neutrale ha portato alla messa in ombra e alla discriminazione di vari gruppi di persone che fanno parte della società e questo deve essere tenuto in considerazione nella redazione di una nuova carta fondamentale”, aggiunge. È chiaro che l’uguaglianza stabilita in quella Costituzione è solo sulla carta e che non esiste un quadro giuridico o costituzionale che permetta cambiamenti strutturali.
Come ricorda Carmen, in Cile lo Stato è sussidiario, ovvero stabilisce le libertà ma non è garante dei diritti, lasciando, per esempio, questioni come la salute, l’istruzione o la sicurezza sociale nelle mani delle imprese private, cosa che favorisce la centralizzazione della ricchezza mentre aumenta le disuguaglianze. I servizi sono forniti attraverso crediti finanziari che generano un sistema di debito permanente per i cittadini. In questo modo si produce una mercificazione della vita, con uno Stato che non svolge un ruolo sufficientemente attivo nella promozione di politiche pubbliche in materia sociale, tantomeno in ottica di parità di genere. Come spiega Bárbara Sepulveda, direttrice esecutiva dell’Associazione delle Avvocate Femministe del Cile, in un episodio del suo podcast, “lo Stato non agisce in nessuna fase perché non genera politiche o coordinamento tra i ministeri, c’è una mancanza perché il suo intervento non viene visto come un reale obbligo”. L’avvocata menziona anche che, oltretutto, i diritti sociali non sono giurisdizionali, il che è un problema in quanto non esiste un meccanismo che ne richieda l’adempimento in caso siano a rischio, né altre garanzie che ne permettano l’applicabilità per lo Stato.
Un altro punto da tenere presente in questo processo è rappresentato dai trattati internazionali sui diritti umani di cui il Cile è firmatario, che, nonostante siano in vigore, non hanno una gerarchia costituzionale, quindi non c’è l’obbligo di tenerne conto nell’elaborazione di altre leggi. “Questo costringerebbe lo Stato, per esempio, a riconoscere e applicare la Convenzione di Belém Do Pará sul diritto inalienabile a una vita senza violenza, cosa che finora non siamo riusciti a ottenere”, spiega Carmen. Stabilire questo supporto ci darebbe più strumenti per discutere di altri processi legislativi in un’ottica di parità di genere e diversità. “Siamo interessate a una nuova Costituzione che riconosca e protegga i nostri diritti. Quando parlo di violenza mi riferisco a tutte le forme di violenza che subiamo ovunque: in casa, al lavoro, per strada, quella che ha a che fare con i salari, le pensioni, la sanità, eccetera. Dovrebbe essere sancito il nostro diritto di decidere liberamente della nostra vita e dell’esercizio della nostra sessualità e della nostra riproduzione”, afferma la coordinatrice di Non Una di Meno Cile.
Il lavoro che si prospetta
C’è molta strada da fare. Secondo le linee guida, la formazione della Convenzione costituzionale sarà determinata insieme alle elezioni regionali dell’11 aprile 2021. A quel punto seguirà un periodo di tempo compreso tra i nove mesi e un anno per la redazione. A proposito delle aspettative per questo processo, Carmen risponde: “Avere ottenuto la parità nell’organo che redigerà la nuova Costituzione ci dà più aspettative di quante ne avessimo all’inizio, ma non sarà un percorso facile, avremo tanti ostacoli da superare, la maggior parte di essi nella ricerca di un modo per candidarci all’assemblea costituente”. “Le strutture sono progettate per i partiti politici e, qui in Cile, anche se ci sono molte femministe che partecipano a collettivi politici partigiani, non tutte lo fanno. Potranno partecipare se otterranno le quote dei partiti, ma quelle di noi che non sono in gruppi politici devono trovare un altro modo per averle, o semplicemente ottenere che le disposizioni legali vengano modificate al Congresso per dare alle persone indipendenti maggiori possibilità di accedere al processo”, spiega.
La parità è una conquista ma, in una società in cui il conservatorismo è fortemente radicato, è solo il punto di partenza. “Comprendiamo anche che la parità non è sinonimo di donne femministe e che dovremo entrare in conflitto con le donne che riusciranno a partecipare a questo processo per conto di forze politiche tradizionaliste. Questo è già successo, ci sono state donne in quei collettivi politici grazie alle quali è stata raggiunta la parità, con cui si è trovato un accordo, che hanno capito che era un’ingiustizia non avere parità e, quando è arrivato il momento di votare al Congresso, lo hanno fatto a favore, quindi non è nemmeno un obiettivo impossibile, soprattutto perché saranno obbligate, come lo erano allora, ad ascoltare le proposte femministe che puntano alla giustizia”, spiega Carmen. “L’intero organismo incaricato di redigere questo documento dovrà ascoltare cosa significa per noi una Costituzione femminista, ovvero cercare di ottenere una democrazia paritaria, un nuovo modo di intendere il sistema politico”, dice.
A partire dall’Assemblea Plurinazionale Femminista, diverse organizzazioni hanno lavorato perché questa nuova Costituzione abbia una prospettiva di genere, con proposte già sviluppate da anni, per generare politiche trasversali e inclusive che possono essere espresse attraverso garanzie e diritti costituzionali. Sono molte le sfide che i movimenti femministi in Cile hanno davanti a sé per affrontare le forze conservatrici, ma ora lo faranno con la certezza che la miccia accesa il 18 ottobre 2019 aprirà una finestra di trasformazione che ha il potere di seppellire l’eredità della dittatura e creare un nuovo patto sociale.
Fonte
Magazine: La Primera Piedra
Articolo: HACIA UNA CONSTITUCIÓN FEMINISTA EN CHILE: ¿CUÁLES SON LOS DESAFÍOS?
Data: 30 ottobre 2020
Scritto da: Laura Verdile
Traduzione a cura di: Michela Perversi
Immagine di copertina: Plebiscito Nacional 2020 en la comuna de La Cisterna, Yastay
Immagine in anteprima: Pinterest