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La storia dei diritti LGBTQ+ in Italia dal secondo dopoguerra a Raffaella Carrà (1970)
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La storia dei diritti LGBTQ+ in Italia dal secondo dopoguerra a Raffaella Carrà (1970)

Gran parte del secolo scorso non ha conosciuto i termini “gay” e “omosessuale”. Se proprio si doveva parlare di omosessualità – cosa che accadeva molto spesso, a dirla tutta – veniva fatto con altre parole, più variegate e con chiara connotazione negativa: invertiti, pervertiti, anormali, zie, capovolti, orgiasti, sensibili, quelli là, pederasti, terzo sesso, profughi di Sodoma, ermafroditi, anomali sessuali, omofili, gli uomini “dai rapporti innominabili”, gli “squallidi personaggi”. È sicuramente necessaria una buona dose di inventiva, non pensate? Si tratta in ogni caso di termini che per lungo tempo, dopo il Secondo conflitto mondiale, non furono soltanto di uso comune nel linguaggio parlato, ma comparivano su ogni sorta di testata giornalistica, indipendentemente dalla corrente politica. Ogni regione aveva poi le sue varianti, queste invece tipicamente di uso orale: dal noto “ricchione” napoletano al “culattone” lombardo, passando per il “frocio” romano e la “checca” toscana.

L’Italia, così come altri Paesi europei che vivevano una doppia realtà basata sull’ipocrisia del “se non lo vedo non esiste”, non conoscerà un movimento per la rivendicazione dei diritti omosessuali almeno fino agli anni Settanta. Prima di allora gli omosessuali vivevano silenziosamente a stretto contatto col mondo etero e davvero raramente facevano sentire la loro voce. Abbiamo però alcune personalità, il cui operato vedremo meglio insieme, che erano a contatto con quanto accadeva nel resto del mondo e che si esponevano nei momenti in cui era maggiormente necessario.

Questo approfondimento nasce dalla volontà di indagare e studiare l’Italia dopo l’omocausto fino al 1970, cioè quel periodo di passaggio che ancora non conosceva un chiaro movimento per i diritti omosessuali. Si tratta di un excursus che vuole rispondere a tre domande principali: dove ci riunivamo? Quali scandali abbiamo dovuto affrontare? Quali eventi hanno portato ai successivi cambiamenti ideologici, culturali e legislativi?

Gli anni Cinquanta

Nel ventennio fascista così come nel corso degli anni Cinquanta, per chi era al potere esisteva una regola non scritta – valida ancora oggi in alcuni ambienti, a dirla tutta – di cui godeva sia lo Stato sia la Chiesa: a letto ognuno faceva un po’ quello che gli pareva, a patto di non dirlo, sbandierarlo in giro o addirittura dargli un nome. A dargli nomi, quelli visti poco più su, erano solo le testate giornalistiche; a pagarne le conseguenze, chi non era al potere.

Nel 1954 Rosemary Clooney porta al successo “Mambo italiano” e nel 1955 avviene la scissione del Partito Liberale Italiano e la creazione del Partito Radicale. Un anno dopo Marilyn Monroe sbanca in Italia con “The river of no return”. Preparatevi, perché proverò a unire fatti di cronaca con iconici momenti pop del nostro Paese per rendere il tutto, per quanto possibile, ancora più gaio. Anche perché – siamo onesti – sono tantissimi oggi i ragazzi e le ragazze omo-bisessuali che vivono in maniera totalizzante la cultura e la musica pop, a dimostrazione che in fondo a cambiare sono le icone, e i queer sono sempre stati queer.

Nel 1959, contemporaneamente all’uscita del suo libro “Roma capovolta”, Maria Gioacchina Stajano recita nel primo di una piccola serie di film che include anche “La dolce vita” di Federico Fellini. Come lei stessa racconta in “’Il fico’ del regime”, Maria Gioacchina è nata due volte: la prima a Sannicola l’11 dicembre del 1931, la seconda a Casablanca, nel dicembre del 1983, l’anno in cui ha effettuato la transizione. Morta nel 2011, Maria Stajano non solo è una delle prime MtF della storia queer italiana ma è anche la nipote di Achille Starace, ex capo del Partito unico fascista, giustiziato insieme a Mussolini in Piazzale Loreto. Una storia raccontata da lei stessa vuole che da bambin* – prima di Maria il suo nome era Gioacchino per cui la si ricorda spesso come Giò Stajano – il nonno la diede in braccio a Mussolini e, in tutta risposta, gli urinò addosso. Personalità di spicco anche prima della transizione, Maria fu tra le prime a vivere la propria sessualità in modo libero e disinibito, permettendo l’apertura di un piccolo dialogo sulla vita di una comunità che sembrava essere assai ridotta.

Al tempo, Roma era un punto di riferimento fondamentale per tutti gli omosessuali italiani, ma in particolare per quelli del Sud. I giornali satirici come “Lo specchio” – il settimanale di destra diretto da Giorgio Nelson Page – e “Il Borghese” – il periodico fondato da Leo Longanesi nel 1950 – parlavano (fin troppo) spesso di personalità omosessuali come Maria Gioacchina (che prima della transizione si dichiarava apertamente gay), cercando di trarre il massimo profitto dai pettegolezzi che circondavano la vita degli “invertiti”. Proprio a Roma Maria Stajano gestirà il Sebastian Club, un locale che riuscì a sopravvivere per pochi mesi; pur non essendo un club gay nel senso moderno del termine, univa comunque clienti esplicitamente queer.

Neanche il cinema faceva passi da gigante. Dalla figura dell’omosessuale antagonista e completamente negativo del dopoguerra (per esempio in “Germania anno zero” del 1948 di Roberto Rossellini), si arrivò in breve tempo al personaggio che doveva “naturalmente” comportarsi in maniera stereotipata, grottesca ed esagerata col solo compito di far ridere il pubblico. In nessun caso la sessualità veniva chiaramente esplicitata. Fu soltanto nel 1960, con la già citata “Dolce vita” di Fellini, che le cose iniziarono lentamente a cambiare. Maria Stajano racconta:

“Fellini aveva cominciato a girare ‘La dolce vita’ nel settembre e cercava personaggi autentici che rappresentassero quell’ambiente. C’erano il principe, l’attrice, il professionista, il filosofo… e poi volle me, anche perché io ero l’unico omosessuale pubblico. Dovevo fare me stesso, il giovane artista e scrittore omosessuale”.

Scandalosi anni Sessanta

Una personalità che all’arrivo del suo spettacolo in Italia fece molto scalpore fu la francese Coccinelle, all’anagrafe originariamente Jacques Charles Dufresnoy, la quale si operò a Casablanca nel 1958 e ottenne ufficialmente il riconoscimento anagrafico del cambio di sesso nel 1962. Ma il primo vero grande scandalo che scosse l’Italia successivamente al fascismo fu quello chiamato “I Balletti verdi”, esploso nell’agosto del 1960 successivamente alla scoperta di un locale nei pressi del Lago di Garda frequentato esclusivamente da giovani e omosessuali. Ebbe così tanta risonanza poiché fu in assoluto il primo caso in cui il mondo queer appariva pubblicamente sui media nazionali. In altre parole, l’Italia si era ufficialmente accorta dell’omosessualità. A lanciare il caso fu il “Giornale di Brescia”, ma a dargli il nome ci pensò il periodico “Le Ore”: “balletti” è il modo con cui venivano identificati gli scandali in cui erano coinvolti minorenni, “verdi” faceva riferimento al garofano che Oscar Wilde portava all’occhiello (Wilde subì un processo per omosessualità nel 1895). Improvvisamente si iniziarono a scovare “balletti verdi” in tutte le maggiori città italiane. Gli indagati passarono in pochi giorni da 54 a 187. Quattro anni dopo, questa enorme montatura che aveva al centro solo e soltanto il problema che ecclesiastici, la destra e i comunisti avevano con l’omosessualità, terminerà con l’assoluzione di maggior parte degli indagati.

Sempre nel 1960 – l’anno di “Tintarella di luna” di Mina – scoppiò il caso Feile. Konstantin Feile, scultore tedesco cinquantaquattrenne al tempo dello scandalo, fu il creatore di un circolo di prostituzione minorile a Roma, dove lavorava come guida turistica. Mentre Feile fu condannato a tre anni di reclusione, l’occasione venne colta ancora una volta dai giornalisti per scagliarsi contro tutta la comunità, fomentando con lo scandalo l’odio verso gli omosessuali. I periodici non aspettavano altro. Pier Paolo Pasolini scrisse una lettera – non sappiamo con certezza a quale testata si stesse rivolgendo – datata 1961 ma mai pubblicata fino al 1999, in cui chiedeva:

Come mi spiega, caro direttore, che nel giudicare, con incivile prematurità, questo brutto fatto di cronaca, il linguaggio dei giornali di sinistra e dei giornali fascisti è quasi identico? Badi, si tratta di un fatto molto significativo: il linguaggio usato è infatti la spia dei sentimenti ‘veri’, non dei loro pretesti. […] Vuol dire che i sentimenti dei fascisti, dei democristiani e dei comunisti davanti a un fatto come questo sono gli stessi, hanno la stessa reazione.”

Contemporaneamente, tra il 1960 e il 1963, tra “Le mille bolle blu” di Mina e il “Da-da-um-pa” delle gemelle Kessler, il Movimento sociale italiano – erede del movimento fascista – e il Partito socialista democratico, fecero tre proposte di legge con l’obiettivo di rendere le relazioni omosessuali completamente illegali. Fortunatamente non arrivarono mai al dibattito parlamentare. Furono anni fondamentali per il futuro movimento dei diritti civili, gli anni in cui nacque la base su cui successivamente si costruì. Proprio in questo periodo si iniziò infatti a discutere pubblicamente di temi piuttosto scomodi sui giornali: dalla pillola anticoncezionale, legalizzata nel 1967, a quello del divorzio. L’introduzione della pillola fu a livello socioculturale un’enorme rivoluzione: nella cattolicissima Italia, per la prima volta si poteva vedere il sesso non solo a scopi riproduttivi.

La maggior parte degli omosessuali di allora non ricorda con dolore quegli anni che a noi appaiono oggi così arretrati. Questo perché per un piccolo numero di persone LGBTQ+ tormentato dalla polizia, dalla magistratura e dai giornalisti, un grande numero di individui della comunità riusciva a vivere, sebbene nell’ombra, la propria sessualità. Ma l’omofobia dilagava e un orribile caso fu quello che coinvolse il cantautore Umberto Bindi, il quale non fece mai nulla per sopprimere le voci che giravano intorno a lui, e dopo anni di successi, alcuni album e anche un Sanremo nel 1961, venne completamente emarginato dalla televisione italiana in quanto omosessuale.

Pasolini e il cinema

Costantemente preso di mira dai giornalisti, soprattutto da quelli de “Lo Specchio”, Pier Paolo Pasolini fu definito da Aldo Semerari come “uno psicopatico dell’istinto, [Pasolini] è un anomalo sessuale, un omofilo nel più assoluto senso della parola”. Dagli articoli pubblicati postumi, alle pellicole immediatamente sequestrate all’uscita, nulla gli veniva perdonato dai più sessuofobici. Come per “L’Accattone” – “Lo Specchio” annunciò la notizia con una foto di Elsa Morante e Pasolini intitolata “Elsa e l’accattone” – film che gira tutto intorno al tema della prostituzione: fu il primo caso in assoluto in Italia di una pellicola per cui furono richiesti provvedimenti eccezionali e venne immediatamente vietato ai minori di diciotto anni.

Nel 1961, lo spettacolo teatrale “L’Arialda” di Giovanni Testori – quarta parte di “I segreti di Milano”, oggi edito da Feltrinelli – metteva pubblicamente in scena l’omosessualità attraverso Eros, il fratello della protagonista Arialda, innamorato di Lino e coinvolto in un giro di prostituzione minorile nella periferia di Milano. Ciò che maggiormente provocò l’ira dei conservatori, tra cui il procuratore che fece ritirare l’opera definendo Eros “un anormale che esalta il proprio affetto degenerato”, fu proprio la totale assenza di pentimento nel personaggio per la sua sessualità (o “condizione”, come spesso veniva definita) all’interno di tutto lo spettacolo.

Nello stesso anno uscì “La commare secca” di Bernardo Bertolucci tratta da un soggetto di Pasolini. Si tratta della pellicola che per prima promosse una figura positiva di omosessuale, che aiuta la protagonista nella cattura dell’assassino. Sei anni dopo uscì addirittura uno spaghetti-western, “Se sei vivo spara” di Giulio Questi, che portò in scena un intero gruppo di cowboy omosessuali: in questo modo l’omosessualità compariva nel genere machista per antonomasia, sottintendendo addirittura un’orgia.

Altra trans, altro scandalo in Italia: all’inizio degli anni Sessanta arrivò April Ashley, una delle prime MtF a operarsi in Gran Bretagna. Solo più avanti negli anni ottenne il riconoscimento di modella, apparendo su Vogue fotografata da David Bailey. April subì anche l’outing come trans da parte del “Sunday People”.

Nel 1970 Francesco Russo scrisse un pezzo su “L’Espresso” dal titolo “Londra. Le avventure di Miss Nostromo”:

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“Lady April Ashley, l’ex marinaio, nonostante si sia operato come donna e si sia sposato nel 1963, agli occhi della legge non è una donna ma un uomo, un omosessuale e un travestito”.

Nel 1963 Pasolini girò il documentario “Comizi d’amore”, il film-inchiesta in cui visitò il Paese da nord a sud chiedendo agli italiani cosa ne pensassero di temi che ancora oggi sono per molti abbastanza controversi: dal ruolo della donna nella società alla prostituzione e sì, anche l’omosessualità. Le risposte, cliché oggi tanto quanto allora, sono comunque un importante documento audiovisivo di un’Italia arretrata, completamente incapace e impreparata ad affrontare argomenti come quello della sessualità.

Pochi anni dopo sarebbe uscito un altro film di Pasolini, “Teorema” (1968), subito sequestrato per oscenità. È stato così definito dal regista irlandese Mark Cousins: “Queerness as a crowbar, to force open the cracks in polite society. Funny, too” (“La queerness usata come un piede di porco, per forzare crepe nella società ben educata. Ed è anche divertente”). Si tratta del primo film italiano in cui appare una scena di nudo integrale maschile: Terece Stamp, che interpretò il protagonista (ve lo ricorderete probabilmente anche nel ruolo di Bernadette nell’incredibile “Priscilla” del 1994) è il perno intorno cui ruota la vicenda, colui che irrompe all’interno di una famiglia borghese, scombussolandola e andando a letto con ogni singolo membro.

Nel 1965, sempre a Roma, apriva un altro locale non apertamente queer ma che gli omosessuali amavano, il Piper, frequentato negli anni da moltissime note personalità della vita mondana. Nel 1966 Dalida cantava “Bang bang” mentre nel 1967 Patty Pravo debuttò con “Ragazzo triste”, la canzone cover di “But You’re Mine” di Sonny e Cher, e l’anno successivo conquistò il cuore di più di una generazione di omosessuali con “La bambola”.

Il 1968 sancì l’inizio degli scioperi e delle rivendicazioni operaie e studentesche ma fu anche l’anno in cui il Tribunale di Roma condannò l’ex partigiano e dirigente del Pci Aldo Braibanti per plagio, perché colpevole, citando l’articolo del codice penale originale, di aver sottoposto due giovani “al proprio potere in modo da ridurli in totale stato di soggezione”. La verità è ben diversa: Braibanti e il suo amante Giovanni Sanfratello, diciannovenne e quindi ancora minorenne per la legge dell’epoca (la maggiore età sarebbe passata ai diciotto anni solo nel 1975), vivevano insieme a Roma la loro storia d’amore. La prima a opporsi fu la famiglia cattolica e iper-conservatrice di Giovanni, che riuscì ad allontanarlo da Braibanti e successivamente a rinchiuderlo nel manicomio di Verona, dove fu sottoposto all’elettroshock. Su Braibanti venne applicato per la prima volta in assoluto l’articolo 603 del codice Rocco rimasto in vigore dopo la caduta del fascismo, la cui illegittimità costituzionale venne dichiarata solo l’8 giugno del 1981. Braibanti scontò la sua pena, nel frattempo ridotta da nove a quattro anni in quanto ex-partigiano.

Effetto Stonewall

Il 1969 fu un anno fondamentale per i diritti civili delle persone LGBTQ+ di tutto il mondo: a New York, nelle notti di venerdì 27, sabato 28 e domenica 29 giugno (e successivamente il 2 e 3 luglio) avvennero una serie di scontri fisici tra polizia e manifestanti trans e omosessuali che prendono il nome di “Moti di Stonewall”, poiché iniziate allo Stonewall Inn nel Greenwich Village. Dai moti di Stonewall nacque il Pride, celebrato in tutto il mondo nel mese di giugno.

Sfortunatamente in Italia fu l’anno di un altro cruciale fatto di cronaca che coinvolse indirettamente le persone queer. Il 31 gennaio di quell’anno scomparve, nella provincia di Viareggio, Ermanno Lavorini, un bambino di soli dodici anni, il cui cadavere venne rinvenuto due mesi dopo nella pineta di Marina di Vecchiano, luogo di ritrovo, al tempo, soprattutto di omosessuali. Non scenderò ora nei dettagli del caso di pedofilia che venne montato su e su chi furono realmente i colpevoli. Vi basti sapere che non ci fu nessun tentativo di stupro o violenza sessuale, eppure l’evento fu usato contro la comunità queer che venne, ancora una volta, ingiustamente accusata e data in pasto in pubblica piazza sui giornali. A proposito del suicidio di uno dei sospettati, bisessuale o segretamente omosessuale, Pasolini – che in merito avrebbe scritto poi “I diari del caso Lavorini” – disse: “Di questo linciaggio sono colpevoli tutti i cronisti, tutti i direttori di giornali e tutti gli inquirenti che si sono occupati di questa tragedia”.

Intanto, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, accanto alle riviste di cronaca e quelle di pettegolezzi e mentre il mondo queer diventava lentamente più visibile, iniziarono a essere vendute nelle edicole le prime riviste pornografiche. Il target principale, ovviamente, era quello dei maschi eterosessuali, ma venivano acquistate anche dagli omosessuali perché si trattava degli unici prodotti su cui comparivano nudi maschili: “Men” nacque nel 1966, “Playmen” nel 1967 e “Le ore” nel 1971. Ma per il primo pene in erezione, avremmo dovuto attendere la metà degli anni Settanta. Su “Men” venne riservato un piccolo spazio al mondo gay e vi scrisse Maria Stajano, prima grazie a un servizio sulle vacanze gay in giro per l’Italia; poi le venne affidata una rubrica di posta per lettori omosessuali, “Il salotto di Oscar Wilde”, permettendo loro per la prima volta di entrare in contatto (su un medium nazionale) con una persona che potesse capirli e dare loro consigli.

In questo clima contemporaneamente repressivo e scandaloso, si rafforzava in Italia il movimento femminista, fondamentale, insieme agli echi delle rivolte oltreoceano, per l’avvio del lento smantellamento dei ruoli di genere nei decenni successivi. L’1 dicembre 1970 fu introdotta la legge sul divorzio. Lo stesso anno debuttò nel mondo della musica Raffaella Carrà, eletta, in occasione del World Pride di Madrid nel 2017, icona gay mondiale.

Per approfondire:
– Gianni Rossi Barilli, Il movimento gay in Italia, Feltrinelli, Milano, 1999.
– Andrea Pini, Quando eravamo froci, Il Saggiatore, Milano, 2011.
– Livio Zanetti, Il peccato maschile, in L’Espresso, 2 aprile 1961.
– Mauro Giori, “Ma oggi come te movi te piano per…”. L’omosessualità nel cinema italiano degli anni Sessanta, Cinergie. Il cinema e le altre arti, 2014.
– Umberto Eco, Sotto il nome di plagio, in Umberto Eco, Alberto Moravia, Adolfo Gatti, Mario Gozzano, Cesare Musatti, Ginevra Bompiani, Sotto il nome di plagio. Studi e interventi sul caso Braibanti, Milano, Bompiani, 1969, poi in Il costume di casa. Evidenze e misteri dell’ideologia italiana, Milano, Bompiani, 1973.
– Giovanni Ciacci, La Contessa. La scandalosa vita di Giò Stajano, Salani, Firenze, 2018.
Lessico dell’omofobia
Ritagli di giornale (1946-1971)
Immagini: Wikimedia, Torinofilmfest
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