Le donne trans sono mie sorelle, il femminismo che le esclude non è il mio femminismo.
Lo voglio dire, scrivere, gridare possibilmente.
Ma voglio anche dire molto altro, per liberarmi da questo senso di angoscia e frustrazione e far scaturire dalla mia rabbia qualcosa di utile. Qualcosa in cui anche altre e altri (spero) possano ritrovarsi. Voglio osare di più e dire che per me un femminismo trans-escludente non è femminismo. Non è il femminismo in cui credo e non è il femminismo che scelgo ogni giorno di sostenere con tutta me stessa. Non è il femminismo del quale voglio portare avanti le battaglie, non è il femminismo che mi definisce profondamente come essere umano e che guida le mie convinzioni e le mie scelte. Ma forse voglio ardire ancora e dire che il femminismo radicale trans-escludente (TERF) non dovrebbe essere chiamato femminista e mi offende che il mio femminismo sia paragonato al loro, lo svilisce.
Detesto, detesto davvero con ogni singola molecola, quando viene detto “come essere qualcosa” o quando vengono posti dei limiti all’attivismo altrui sulla base di dogmi precostituiti e inviolabili. Quindi dire a un’altra persona “Guarda che se fai così non sei femminista” mi mette a disagio e mi fa sentire in difetto. Eppure non trovo giusto che ci si possa autoproclamare femministe e femministi quando, di fatto, si sta operando un’esclusione a priori di una categoria umana dal proprio movimento. Perché escludere le donne trans dal movimento femminista è un atto violento, aggressivo, discriminante. E non riesco a credere in un femminismo violento, aggressivo, discriminante. Non riesco a reputarlo femminismo.
Trovo corretto e chiarificatorio spiegare cosa abbia scaturito questa mia riflessione. Allo stesso tempo vorrei cercare di mostrare rispetto (quello stesso rispetto che è stato negato alle donne trans, eppure vorrei essere meglio di così) per delle realtà che hanno fatto tanto per il femminismo e per le donne, e con le quali condivido alcuni valori molto profondi. Per questa ragione eviterò di menzionare suddette realtà, e mi limiterò a dire che mi è capitato di leggere un “manifesto”, sottoscritto da diversi gruppi femministi, che recita così nei suoi primi due punti (linee-guida funzionali per una serie di iniziative ed eventi):
- Donne sono le umane adulte di sesso femminile.
- Il soggetto del femminismo sono le donne.
Credo nel dialogo, sempre e comunque. Anche se costa fatica, ci obbliga a metterci in discussione ed è carico di tensione. Anche quando sfocia in dinamiche di conflitto e mantenere toni neutrali e civili risulta difficile. Per questo mi sono posta in maniera critica nei confronti di queste definizioni, provando a intavolare uno scambio che mi permettesse di capire meglio il punto di vista sopraesposto e mi consentisse di argomentare le ragioni del mio dissenso. Ho constatato, con estremo rammarico (lo dico sinceramente), che ciò che si legge è esattamente ciò che viene spontaneo pensare, e che parafraserò così: “Non riconosciamo le donne trans come appartenenti alla categoria delle donne, il nostro femminismo si rivolge alle donne e, non essendo le donne trans tali, le esclude”. Speravo di essere smentita. Lo speravo davvero, perché il rispetto e la riconoscenza che provo nei confronti di ogni parte del movimento femminista è grande. Ma la mia coscienza mi impedisce di non parlare davanti a un attacco simile.
Quindi, procedendo con ordine, proverò a riportare alcune riflessioni che dopo questa conversazione mi sono erotte (sì, il participio passato di erompere suona come un’onomatopea, ma descrive piuttosto bene ciò che è accaduto nella mia testa).
Cosa vuol dire essere donna? Poter procreare?
E se non posso avere figli? E se non voglio avere figli? Cosa sono, meno donna? Una donna in parte, una donna a metà, una donna incompleta? Se avessi voluto sentirmi dire una cosa simile sarei andata al Congresso delle Famiglie o a cena dal senatore Pillon, non certo in un gruppo femminista.
Cosa vuol dire essere donna? Avere un utero?
E se me l’hanno tolto per una ragione medica? E se ce l’ho ma non sono una donna lo stesso perché non mi identifico come donna? Perché è un organo a dover stabilire chi o cosa io sia? Non stiamo forse così facendo il gioco di chi vuole che il mondo sia determinato sulla base di ciò che è considerato o meno “naturale”? Perché, attenzione, da qui a dire che uomo e donna sono stati creati per giacere insieme il passo è tremendamente breve, e se perfino Papa Bergoglio esprime idee più progressiste di questa io due domande me le farei.
Cosa vuol dire essere donna? Appartenere al sesso femminile?
Sappiamo che il sesso di un individuo riguarda differenze biologiche e anatomiche, il corredo cromosomico. Di nuovo, stiamo parlando di “natura” quindi? Stiamo negando l’esistenza di qualcosa che vada oltre al sesso biologico? Stiamo contestando tutto ciò che la scienza è stata in grado di comprendere e spiegarci, in particolar modo negli ultimi decenni, circa la complessa composizione della sessualità dell’essere umano? Piegandoci a questa logica dovremmo consequenzialmente accettare anche che esista un solo modo di essere donna. Un solo modo valido, visto che una sola è la definizione di donna ed è subordinata al suo sesso di appartenenza. Quanto è pericoloso questo concetto, quanto si accosta a tutta l’ideologia che il femminismo ha cercato di combattere strenuamente nel corso dei secoli?
Stiamo, in ogni caso, derubricando la potenza dell’autodeterminazione, la libertà individuale e la possibilità di scegliere una vita che sia in accordo con chi siamo. Io non ho una risposta alla domanda “Cosa vuol dire essere donna”, mi piacerebbe essere così saggia e non il termosifone rotto che spesso mi sento. Ma posso ricercare una risposta solo insieme a tutte le altre donne, nella pluralità delle diverse esperienze e percorsi di vita e nella sommatoria dei diversi fattori che mi consentono di dire “Io sono una donna”. Da questo possiamo partire ed è impreteribile farlo unite, con spirito di inclusione e accoglienza, tanto più nell’ottica delle rivendicazioni femministe che accompagnano o dovrebbero accompagnare le nostre esistenze.
Il femminismo trans-escludente ha paura che le rivendicazioni delle donne trans tolgano diritti e legittimazione a quelle delle donne cis – e qui potrei fare un facile paragone con chi ha paura che accettare come cittadini di un Paese anche chi non ha antenati natii di quel Pese fino alla decima generazione tolga diritti a chi invece li ha. Ha paura che questo sposti l’attenzione dai bisogni delle donne. Ma i bisogni delle donne non riguardano forse anche le donne trans? E in che modo battersi per i diritti di qualcuno dovrebbe toglierne a qualcun altro? È già stato detto e ridetto ma mi piace ribadirlo: non è una torta. Se do attenzione a te non ne tolgo a me. E se anche fosse una torta sarebbe la stessa torta e sarebbero le stesse fette, perché se la torta riguarda le donne allora è la torta delle donne cis e anche delle donne trans. Perché se la chiamo “torta delle donne cis” allora sto proprio facendo una torta come quella di Minny in “The Help” (ho cercato di essere fine).
Noi donne non abbiamo davvero abbastanza contro cui combattere? Non viviamo in una società che da millenaria memoria ci umilia, ci discrimina, ci sottopaga, ci svilisce, ci segrega, ci esclude, ci stupra, ci uccide? Abbiamo abbastanza lotte in cui impegnarci senza doverci fare la guerra a vicenda. Suonerà retorico ma è così, non abbiamo abbastanza risorse ed energie per creare nemici interni e mostri immaginifici dal momento in cui là fuori è pieno di mostri reali. Perciò questo articolo non è la mia battaglia contro le realtà femministe che escludono le donne trans: questo articolo è la mia battaglia a fianco delle donne trans che vengono sistematicamente escluse, delegittimate e negate da alcune realtà femministe. A loro e a chiunque la pensi come me (e a chiunque non la pensi come me e voglia capire perché diamine io la pensi così) voglio dire che le donne trans sono mie sorelle. La mia battaglia è la loro e le loro battaglie sono le mie. La nostra battaglia è comune e loro non hanno bisogno che io le riconosca come donne per esserlo, lo sono già. Non ho paura di un femminismo intersezionale, paritario, libero. Perché è l’unico femminismo in cui sento di credere. E se un femminismo esclude una sorella, beh, semplicemente non è il mio.
totale rispetto per le donne trans (perchè nessuno parla mai degli uomini trans?) però natura non è una parolaccia, che ci siano differenze anatomiche tra uomini e donne è un dato di fatto, il corpo maschile e il corpo femminile sono diversi (e le persone trans lo sanno benissimo), questa diversità è meravigliosa e non deve essere usata come pretesto per discriminare o escludere.
Bellissimo articolo, grazie, sono sulla tua stessa linea di pensiero, una persona che sente e vive come una donna, nella sua singolarità, è una donna, il resto non conta. Unite siamo più forti.
Nel 1949, non ieri, Simone de Beauvoir scriveva che “donnne non si nasce, lo si diventa”.
Ancora molte persone che giocano con la parola femminismo non sono riuscite a capirlo.
Grazie per la logica impeccabile e la grande umanità, che convivono armoniosamente in questo articolo.
Sia le donne che gli uomini trans, e tutte le altre categorie gender fluid, possono trarre vantaggio e al contempo contribuire al femminismo da te descritto, che è anche l’unico in cui credo io.
Penso che sia a causa di alcuni obiettivi del movimento LGBTQI+ che si creino delle resistenze e separazioni: gravidanza per altri…sex work…
Premetto che anche io sono assolutamente contraria al movimento trans escludente, però trovo diverse incertezza nel tuo articolo. Non sono quelli che tu hai elencato le motivazioni femminismo radicale. Quello che rivendica é la distruzione del genere, in quanto stumento del patriarcato per relegare le donne al solito ruolo. Loro quindi si chiedono, nel momento in cui diciamo che il genere non esiste che senso ha la transizione? Diciamo che questo é il concetto base del movimento TERF o femminismo radicale. Detto ciò, evidentemente questo approccio ha delle lacune enormi, tra l’ altro a mio parere le persone Trans sono vittime del patriarcato (anche inconsapevoli) e quindi sorelle in questa lotta. Inoltre mi chiedo, é davvero cosi necessario, con tutto il lavoro che c’é ancora da fare, fomentare queste divisioni all’interno del movimento? Grazie, mi sentivo di rispodere perché quest’argomento mi interessa particolarmente.