Un anno dopo, cosa è davvero cambiato dopo l’esplosione mondiale del movimento #MeToo? Il fenomeno di liberazione della parola è andato oltre i social network? La risposta con Marion Georgel dell’associazione femminista Osez le féminisme (Osate il femminismo, NdT)
Il 15 ottobre sarà un anno dal famoso tweet dell’attrice e attivista Alyssa Milano, quello che lanciò il movimento #MeToo. Ma cosa è successo veramente dopo un anno? C’è stato davvero un aumento delle denunce e un controllo del comportamento degli aggressori? Si può veramente parlare di evoluzione? Nati sui social network, dove gravita un microcosmo militante importante, #MeToo e #Balancetonporc (versione francofona della campagna #MeToo, NdT) non sono completamente passati alla vita vera.
Se negli Stati Uniti si può contare sulle numerose denunce riguardanti Harvey Weinstein e altri uomini influenti, in Francia non si può chiaramente parlare di terremoto. Soltanto alcuni uomini sono stati oggetto di timide denunce. La domanda rimane: cosa bisogna fare per cambiare il sistema in profondità per tutte, ma anche per tutti?
Per continuare a far evolvere le mentalità, ci vorrà un lavoro di fondo per far passare la presa di coscienza dai social network agli atti che coinvolgano un numero maggiore di persone. Se #MeToo ha fatto aprire gli occhi a molti su un continente di violenze, si è anche trasmesso nel mondo del lavoro o nella vita quotidiana? Non c’è nessuna certezza, tanto che resta ancora difficile oggi denunciare le violenze sessuali nella propria azienda o nella propria famiglia.
Ogni tre giorni una donna muore per mano di un coniuge. Dietro questa cifra, quante subiscono violenze coniugali, quante vengono molestate tutti i giorni senza che questo venga riportato, quante vivono un incubo in silenzio senza poterne parlare?
Secondo un’indagine condotta dalla Fondation des Femmes, «il 95% delle donne si fida delle associazioni, solo il 26% si fida della giustizia e il 18% della polizia». L’indagine ricorda anche che solo il 15% delle donne si rivolge alle associazioni, il che denota una mancanza di mezzi di questa “interfaccia” tra le donne e la giustizia.
Se le denunce per abusi sessuali sono in aumento, per il momento è impossibile sapere se abbiano portato (o no) a delle condanne. La giustizia fa con calma. La sola certezza è una cifra: nel 2016, il 70% dei casi giudicati come stupro, aggressione sessuale e molestia sessuale sono stati chiusi e archiviati.
Una cosa è sicura tuttavia, il movimento #MeToo avrebbe permesso l’emergere di un fenomeno che in un anno sarebbe soltanto cresciuto con forza: la sorellanza. Le donne si sostengono tra di loro, anche se non si conoscono. L’esempio più brillante è stata la testimonianza di Christine Blasey Ford, la professoressa di psicologia che ha voluto raccontare quello che aveva vissuto affinché la nomina del suo presunto aggressore, Brett Kavanaugh, alla Corte Suprema degli Stati Uniti si facesse in piena coscienza.
Allora per passare all’azione e sostenere questo cambiamento, servono dei mezzi. Per ricordare tutto ciò, Marion Georgel, portavoce di Osez le Féminisme, ci spiega le evoluzioni che ha potuto osservare in un anno e tutto quello che resta da fare. Specialmente la mancanza di mezzi messi all’opera affinché venga effettuato un lavoro sul campo.
Ha constatato un cambiamento dopo #MeToo e come?
#MeToo ha permesso a molte donne di prendere la parola per denunciare le violenze sessiste e sessuali che subiscono. Ma oltre a rompere il silenzio e l’isolamento, quello che è inedito è il posto lasciato a questa parola nel dibattito pubblico.
Le femministe denunciano queste violenze dopo molto tempo, ma sembra che ci sia finalmente una presa di coscienza riguardo l’entità del problema e un abbassamento della soglia di tolleranza nei confronti di queste violenze.
È d’altronde interessante vedere che alcune personalità pubbliche si occupino di questo problema, come nel caso per esempio della mobilitazione recente condotta da Muriel Robin contro le violenze coniugali. Resta tuttavia molto da fare affinché da questa presa di coscienza si metta veramente una fine alle violenze.
Non ha la sensazione che il movimento sia confinato a uno spazio particolare, quello dei social network?
Infatti #MeToo è iniziato in quanto tale sui social network, specialmente Facebook e Twitter. Ma è evidente che da allora questo movimento ha oltrepassato ampiamente questa cornice. Prima nei media, dove questo argomento è stato affrontato in maniera regolare, ma anche per le strade, con numerose manifestazioni.
È il caso per esempio con l’elezione del giudice Brett Kavanaugh alla corte suprema americana, accusato di aggressioni sessuali, che è stata seguita con attenzione in Francia e altrove. Fare in modo che #MeToo vada oltre i social network è in ogni caso una necessità affinché le cose cambino realmente. Per questo è indispensabile una reale volontà politica, specialmente per indagare le denunce depositate e sostenere le donne vittime.
Cosa rimane ancora da fare secondo Lei?
La prima cosa è aumentare drasticamente i mezzi umani e finanziari delle associazioni che vengono in aiuto delle donne vittime di violenze, come il Collectif Féministe Contre le Viol (Collettivo Femminista contro lo stupro, NdT) e l’AVFT (Association européenne contre les violences faites aux femmes au travail – Associazione europea contro le violenze nei confronti delle donne nel mondo del lavoro, NdT). Se #MeToo ha liberato la parola e contribuito al fatto che molte donne contattino queste associazioni, queste ultime non hanno i mezzi per accompagnare tutte queste donne e sono a volte obbligate a chiudere il servizio telefonico permanente, come nel caso di AVFT.
A un livello più ampio, bisogna aumentare il budget statale dedicato ai diritti delle donne per permettere la creazione di centri d’accoglienza d’urgenza per le vittime di violenza, la formazione dei medici e dei professionisti e delle professioniste della polizia e della giustizia per poter scoprire meglio le violenze, accompagnare le vittime e gestire le denunce.
C’è anche un grosso margine di progresso in termini di legge: anche se l’arsenale legislativo non viene sufficientemente applicato, la legge del 3 agosto 2018 sulle violenze sessiste e sessuali è una grossa delusione su molti aspetti.
Cosa rimane da fare in termini di formazioni di polizia, carabinieri e medici per esempio?
La formazione iniziale dei medici deve tenere conto della realtà delle violenze, il trauma psicologico che generano e le conseguenze sulla salute. All’inizio, i professionisti e le professioniste sanitari/e erano particolarmente ben preparati e ben preparate per poter scoprire le violenze, raccogliere le parole delle donne vittime e offrire una presa in carico personalizzata.
Oggi non è più sufficiente, specialmente per la mancanza di conoscenza di quello che rappresentano le violenze, e degli strumenti per accompagnare al meglio le vittime.
La formazione dei professionisti e delle professioniste della polizia e della giustizia è ugualmente fondamentale. Conoscere meglio il ciclo delle violenze e le sue conseguenze facilita la deposizione delle denunce, invece di fare di queste deposizioni una nuova violenza per le vittime, ma permette anche di gestire veramente le denunce depositate.
C’è ugualmente il problema enorme di quello che si chiama correzionalismo degli stupri: lo stupro non è qualificato come tale ma come un’aggressione sessuale e non viene quindi giudicato in Corte d’Assise ma al Tribunale correzionale (tribunale che si occupa dei delitti minori, NdT). Questo ha delle conseguenze gravi per la vittima poiché riduce i ritardi della deposizione della denuncia e le pene in cui incorre l’aggressore, e minimizza i fatti subiti, rendendo difficile la ricostruzione da parte della vittima.
Cosa resta da fare in termini di educazione?
La relazione di dominio esercitata dagli uomini sulle donne è un costrutto sociale che può evolvere. D’altronde è lo scopo delle associazioni femministe come Osez le Féminisme! Per questo è indispensabile portare avanti una vera e propria lotta contro gli stereotipi e contro il sessismo e la banalizzazione delle violenze che generano. Non accettare più battute sessiste, non considerare che l’abbigliamento giustifichi le violenze, sono in ugual misura dei passi verso una società meno violenta nei confronti delle donne.
Quali vuoti legislativi bisogna ancora colmare?
Oggi solo l’1 % degli stupratori viene condannato. Dopo un anno, si constata un aumento delle denunce per stupro del 32 %, che è direttamente legato a #MeToo e alla liberazione della parola delle donne. Ma in parallelo, il numero delle condanne è diminuito del 40 % dopo 10 anni… Si ritrova una diminuzione importante ugualmente riguardo le condanne per aggressione sessuale.
La formazione dei professionisti e delle professioniste della polizia e della giustizia è una parte della soluzione per cambiare queste proporzioni. Ma l’evoluzione della legge è un’altra parte. L’ho detto più in alto, il correzionalismo degli stupri è un meccanismo molto problematico che bisogna cambiare in modo imperativo. Sfortunatamente l’articolo 2 della legge del 3 agosto 2018 perseguirà piuttosto il correzionalismo, in particolare degli stupri nei confronti di minori.
Allo stesso modo, è urgente rovesciare l’onere della prova: attualmente spetta alle vittime di violenza, a partire dai 5 anni, di provare che non fossero consenzienti.
Cosa resta da fare per cambiare veramente le mentalità in profondità?
Tutte le misure citate più in alto devono essere prese in parallelo, perché il sessismo che alimenta le violenze contro le donne è presente in ogni aspetto della società. Così, è essenziale lottare contro gli stereotipi maschio/femmina a partire dalla nascita, per non riprodurre degli schemi di dominio e di ineguaglianza, proprio come è importante valorizzare le donne che hanno fatto la storia per non renderle più invisibili e far credere che solo gli uomini permettano il progresso sociale, artistico o economico. È inoltre importante mettere in piazza una parità reale nei luoghi di potere, sia essa nella politica o in ambito professionale… quanto dei cantieri da condurre che permetteranno di far evolvere le mentalità verso il buon senso.
In cosa, secondo Lei, gli uomini dovrebbero rallegrarsi di questo movimento?
Penso che la questione non sia rallegrarsi o meno di questo movimento, allo stesso tempo molto positivo nella liberazione della parola ma che ha ugualmente come scopo di denunciare le violenze massicce. In compenso, tutti hanno da guadagnare da questo movimento e dalle evoluzioni che richiede al fine di vivere in una società egualitaria dove i rapporti tra donne e uomini non siano dei rapporti di dominio.
Fonte
Magazine: Terrafemina
Articolo: #MeToo : qu’est-ce qu’il reste (encore) à changer ?
Autrice: Marguerite Nebelsztein
Data: 08 ottobre 2018
Traduzione a cura di: Gloria Spagnoli