Articolo di Lucia Soldà
È vero, nella mia testa i giudizi pesano tantissimo. È vero, a volte dovrei solo lasciarli andare. Ma a me i giudizi, di qualsiasi genere essi siano, restano in testa. Restano lì perché voglio pensare a come reagire. Spesso mi fanno rabbia, persino il minimo giudizio. Spesso reagisco con tanta rabbia. Altre volte mi fanno rimanere come congelata e allora li percepisco davvero solo dopo un po’, quando iniziano a sciogliersi e permeare dentro di me. Riescono ad arrivare davvero, davvero in fondo.
Sono una femmina. Mi definisco come tale. Da fuori sono vista come tale. Ho 19 anni. Sono piccola, minuta. Da fuori non ispiro né forza, né niente di simile. Non arrivo neanche al metro e sessanta di altezza. Dentro di me sto ribollendo. C’è un vulcano che esplode in mille lacrime quando non ce la faccio più, quando i pensieri e le riflessioni sono tante, quando non capisco cosa sia giusto e cosa sbagliato, se sia io ad esagerare e a prendermela troppo o sia il contesto in cui vivo a lasciar passare troppe cose.
Sto cercando di prendere la patente. Oggi stavo facendo una guida con il mio istruttore, un sessantenne abbastanza sulle sue. Non parliamo molto mentre guido, perché mi concentro sulla strada. Già una volta mi ha detto che non gli racconto molto di me, ma non mi sono mai sentita in dovere di farlo, io voglio solo imparare a guidare come si deve. Oggi stavo uscendo da una rotatoria quando lui mi ha chiesto “Allora Lucia, ieri sera sei uscita con un bel biondo?” totalmente senza contesto. Non stavamo parlando, né gli ho mai parlato di bei biondi. Gli ho risposto “No, perché?”. Mi ha risposto “Perché sei una bella ragazza”. L’unica cosa che mi è venuta da dire lì per lì è che a me i biondi non piacciono. Fine.
A me quel mini dialogo ha spiazzato. È rimasto congelato per un po’. Sono andata alla fermata del bus per tornare a casa. Mi sono seduta distante dai due uomini che chiacchieravano perché uno di loro già qualche volta, sul bus, aveva iniziato a parlarmi per chiedermi se volessi un massaggio. In quelle occasioni mi sono sempre bloccata e non sono mai riuscita a rispondere in alcun modo, nemmeno quella volta che aveva iniziato a toccarmi le spalle. Congelata. Ho solo aspettato che quel pensiero si sciogliesse dentro di me.
Una volta a casa ho ripensato alle parole dell’istruttore di guida. Quel giudizio stava iniziando a gocciolare. Ho scritto di quel fatto a una mia amica, che mi ha riportato un altro commento, fatto tempo addietro, del suo istruttore: “Stai bene con i pantaloncini perché hai delle belle gambe”. Lei ha provato a vedere le cose in maniera più o meno razionale: loro (gli uomini di mezza età che ci hanno rivolto determinate parole) non lo possono capire, sono sensazioni a loro sconosciute, la mia reazione dopotutto è soggettiva. È vero, è tutto vero, ma nessuna di queste cose vale come giustificazione per chi si comporta così.
Mi sono confrontata con il mio ragazzo e altri due amici. Una di loro ha raccontato di tutte quelle volte che lei, cameriera al bar, si è dovuta sorbire i commenti di uomini coetanei di suo padre. Commenti più o meno espliciti sul suo conto, sempre diretti a lei, non sempre smorzati dal menefreghismo di lei. La capisco, perché viene da pensare che se non dici niente, allora la smetteranno, non avendo ottenuto la tua attenzione. Qui ritorna la mia rabbia nei confronti dei giudizi altrui, perché, come bisogna reagire a certe cose? C’è effettivamente un modo per reagire? È necessario, dopotutto, reagire? Questa mia amica pensa a come si deve vestire (i leggings meglio di no, mettono in mostra le forme), pensa a come si deve muovere (se si deve piegare a raccogliere qualcosa preferisce girarsi dall’altra parte, non sia mai che le guardino il culo), pensa a come resistere fino alla fine del suo orario di lavoro, perché certi clienti al bar si presentano spesso. E i commenti entrano con loro.
L’altro amico si sente chiamato in causa perché maschio, perché di questi giudizi tra amici ne sente tanti. Si sente anche un po’ solo, perché quando fa notare che certe parole fanno schifo i suoi amici gli dicono che è “poco etero”, “poco uomo”. Credo si senta anche combattuto, perché alcune ragazze in risposta a quei commenti “da uomo”, a detta sua, ostentano ancora di più una libertà nel vestire e nel comportarsi che sfiora la volgarità. Io non lo so, come ho già detto, come sia giusto o sbagliato reagire. So che è difficile farlo e che ognuna lo fa in maniera diversa. So che, in ogni caso, smuove qualcosa dentro ogni ragazza.
Il mio ragazzo mi ha difesa. Mi ha detto che gli dispiace, che non è giusto, che l’unica cosa che può fare è appoggiarmi. Che deve essere dura sentirsi minacciate in questo modo, che lui vuole farmi sentire al sicuro. Io con lui mi sento sicura, ma gli ho detto di far sentire così più donne possibili. Gli ho chiesto se anche quando è con i suoi amici riesce a farlo, se riesce a fermare, in caso, chi non rispetta certi principi, se lui e gli altri riescono a riconoscere che certi comportamenti non sono “da figo”. Nonostante io li conosca, nonostante io sappia che non sono quel tipo di persone, oggi la mia fiducia si è incrinata un po’ di più. Nemmeno l’istruttore di guida mi sembrava “quel tipo”.
So che il commento che mi sono sentita dire oggi non è, all’apparenza, nulla di grave. Le parole che mi sono arrivate sono di per sé parole di poco conto, dette senza troppo rifletterci sopra da un signore con cui avrò ancora poco a che fare nella vita (mi auguro). Il punto è proprio questo: certe parole non sono state pesate, il giudizio non è stato pensato per davvero, eppure è stato fatto da un adulto consapevole di ciò che dice. Quelle parole le ha rivolte a me e mi hanno fatta sentire a disagio. Quelle parole sono state dette da un uomo che ha un determinato ruolo nei miei confronti, ossia insegnarmi a guidare e nulla di più. Eppure quell’uomo si è sentito in diritto di poter fare quel commento su di me, di interessarsi ai miei impegni della sera prima con un ipotetico belloccio, perché è quello che le belle ragazze fanno, giusto? Determinati comportamenti nei miei confronti non sono di sua competenza, così come nemmeno io dovrei essere un suo interesse, ma lui si è sentito abilitato a dirmi certe cose.
È difficile da spiegare a chi non lo vive in prima persona, è difficile non far passare tutto ciò come un lamento di stampo femminista e, in quanto tale, esagerato (si sa, le femministe ingigantiscono sempre ogni cosa…). È difficile anche sentirsi in dovere di essere noi quelle che devono agire per prevenire situazioni che fanno sentire a disagio: vestirsi in modo consono agli occhi altrui, non mettere una sfumatura di rossetto troppo vivace, non camminare da sola la sera, muoversi in modo da non far risaltare troppo il proprio corpo…
Noi non siamo solo il nostro fisico. Non dobbiamo scusarci né nasconderlo. Noi non vogliamo preoccuparci di come gli altri lo possano percepire. Non vogliamo nemmeno arrenderci e decidere di lasciar passare tutto. Non vogliamo avere paura. Dopo tutte queste riflessioni, io ancora non so come reagire. So solo che neanche oggi un uomo ha pensato alle cause e alle conseguenze delle parole che mi ha rivolto. So solo che con quell’uomo per un po’ avrò ancora a che fare, che ora partirò con la consapevolezza di potermi trovare di fronte ad altri suoi comportamenti del genere, ma che forse sarò un po’ più pronta a rispondere. So solo che da oggi, ancora più di prima, cercherò di fare sì che tutto questo finisca.
Scrivo perché non ci siano giustificazioni per uomini che non si fanno problemi a parlare, né colpe da parte delle donne che devono starli a sentire.
un uomo di sessant’anni difficilmente cambierà atteggiamento. Nessuno è solo il suo fisico ma il fisico può generare attrazione anche le donne etero sono attratte dai corpi maschili belli, questo è normale ma guardare una persona fisicamente attraente e desiderarla è cosa legittima che si può fare senza fare commenti inopportuni che mettono a disagio. certi commenti si devono fare solo in un contesto intimo tra persone amiche, fidanzate/i, amanti ecc. non a persone sconosciute
e ci deve essere la libertà di vestire come si vuole anche in maniera volgare