Queste piccole raccomandazioni che seguono sono il frutto di anni di esperienza e di studio. Sono convinto che possano essere di aiuto a molte persone perché, proprio in virtù della mia esperienza, non passa settimana che qualcuno mi chieda con un messaggio privato da social o da cellulare la stessa cosa: “Ma come faccio a far capire a X che quello che dice/quello che fa è maschilismo/sessismo/violenza di genere?”.
Una premessa importante: a quelle persone che con un linguaggio violento e sessista seminano vero e proprio odio, non si risponde, ma si denunciano. Per fare un esempio: i commenti come quelli spesso rivolti a Laura Boldrini o, recentissimamente, a Mariangela Pira (giornalista di SkyTG24) non sono “commenti maschilisti”, sono reati e come tali vanno perseguiti. Quello di cui parliamo in questo articolo è tutta la vasta gamma di commenti maschilisti che vanno dal “fattela una risata” in seguito a una non-battuta sessista fino a “gli uomini sono quelli che muoiono di più!” con annesse statistiche inventate o mal interpretate. In mezzo c’è di tutto: dal vostro amico di lunga data che ammette di non riuscire a non essere morbosamente geloso dei rapporti amicali della sua compagna all’imbecille sui social che pensa di essere un grande seduttore perché lui le donne le “conosce bene” oppure “in fondo sono tutte uguali”.
Ecco un breve schema su come fare qualcosa di sensato in questi innumerevoli casi.
Cosa rispondere a un commento sessista
1. Se l’affermazione maschilista che sentite o leggete non ha un’intenzione interrogativa (non vuole cioè iniziare un dialogo, anche se polemico o provocatorio, ma si tratta solo di esprimere e “lasciare lì” la propria opinione) allora va ignorata. Sul maschilismo si può certamente dialogare, ma non ci si può scontrare perché non va dimostrato nulla – esso esiste e ha una precisa definizione – e neanche avete il dovere di evangelizzare il prossimo. Se un* maschilista si pone in maniera dialogante, bene, se no non avete tempo da perdere; non siete in missione per conto del divino, né vi pagano per fare proselitismo. Dite la vostra a chi la chiede, non a chi piazza lì la sua opinione come se fosse la verità assoluta, manifestando così di non voler dialogare affatto.
2. Se l’affermazione ha un’intenzione interrogativa, la vostra risposta dovrebbe avere tre caratteristiche:
a) mostrare che non avete nessuna intenzione di scontrarvi, perché sul maschilismo non ci si scontra: è sbagliato a prescindere. Quindi non si tratta di avere torto o ragione, perché la persona maschilista ha torto senza discussione. Si tratta invece di riconoscere che esiste altro dal maschilismo, che si può vedere con altri occhi quella stessa cosa di cui state parlando. E che questa altra visione è più rispettosa, onesta, paritaria, reale del maschilismo.
b) fornire strumenti affinché il dialogo continui. Mettete link, fate nomi e titoli di libri, chiedete di parlarne altrove e con altri, raccontate le vostre esperienze, mettete in campo molto materiale perché deve apparire chiaro che non si sta parlando di inezie ma di un problema sociale complesso, identico per tutte le culture e le classi sociali, che costringe a riconoscere molti condizionamenti di cui non ci si rende conto. Non voler vedere tutto questo fa parte del maschilismo, della sua particolare ignoranza. Ma l’ignoranza non è un punto di vista, è la sua assenza – dell’ignoranza non si discute.
c) dare la possibilità a chi rispondete e ad altri che leggono o che ascoltano di farsi la loro (diversa) opinione in merito e di iniziare a fare un primo passo per capire, approfondire, cambiare posizione, valutare ciò che finora gli è ignoto. Deve apparire chiaro che non ci sono formule magiche o soluzioni semplici, e che una persona non può ridurre un enorme problema sociale al banale “io penso che”, perché in questo campo i pensieri, le impressioni, le emozioni, i sentimenti del singolo contano molto poco. Rimanere ancorati al proprio piccolo ambito significherebbe non voler dialogare davvero (e quindi vedi punto 1).
3. La vostra risposta non dovrebbe essere:
a) banale, semplice, breve. Per riconoscere e uscire dal proprio maschilismo, vanno messi in discussione la propria identità di genere, il proprio linguaggio (quindi il proprio pensiero), le proprie abitudini, la propria forma di vita. Non è obbligatorio farlo, ma si dovrebbe far capire bene che non lo è neanche discutere con un* maschilista. Se l’interlocutore ha voglia di lavorare, bene, altrimenti… punto 1.
b) insultante. Per quanto sia comprensibile il desiderio di rispondere a un* maschilista con un caldo invito ad andarsene a quel paese, gli insulti, come il sarcasmo o l’allusione sfottente, distraggono immediatamente dal dialogo. Potete rispondere e scrivere gli argomenti più belli e interessanti, ma se cominciate con uno “stai a sentire, deficiente” o concludete con un “hai capito, pezzo d’idiota?” qualsiasi altra cosa dite passerà in secondo piano rispetto all’insulto, che diventerà immediatamente l’oggetto della discussione. Quindi, decidete immediatamente: se volete dialogare niente insulti, se no “ma vai a quel paese” e passate appresso.
c) generalizzante. Se nella vostra risposta alludete a “quell* come te” o usate espressioni simili, offrite di nuovo un ottimo modo per sviare il dialogo. Il maschilismo si nutre di logiche di branco, di spogliatoio, di camerata; rivolgersi al* maschilista con un plurale, come se rappresentasse un gruppo, significa confortare la sua immagine di scontro tra due fazioni. Abbiamo detto al punto 1 che non si tratta di questo, ma di un dialogo (possibilmente).
4) La vostra risposta dovrebbe avere come obiettivo di smantellare il dispositivo di potere che sorregge il maschilismo, l’atteggiamento maschilista. La vostra risposta non dovrebbe essere contro qualcun*, ma per qualcosa. Non c’è bisogno di convincere l’ennesima persona che il sistema patriarcale è fallimentare e oppressivo; se dopo 3500 anni di tempo e secoli di studi e testimonianze tutto ciò non è ancora chiaro, il problema è di chi non vuole saperne di fare passi avanti e non di chi deve trovare il modo di essere convincente. La realtà è molto convincente, basta guardarla senza pregiudizi.
Gli obiettivi della risposta a un* maschilista sono quindi:
a) renderl* capace di cominciare in autonomia un cammino, e non prendervi per la fonte primaria delle informazioni. Altrimenti si replica quello schema di dipendenza, di subalternità che invece si deve smantellare;
b) invitarl* a parlare più spesso di questi argomenti, nelle sue relazioni e nel suo mondo, aprendosi a tutto ciò che non ha ancora conosciuto, con le parole e con il corpo. Si tratta di fare esperienza proprio di ciò su cui si hanno pregiudizi.
c) dimostrare coi fatti la parità: voi non siete “migliori” perché intelligenti, colt*, perché donna o simili, e non c’è nessuna persona “migliore” da decretare. Si tratta piuttosto di imboccare insieme un’altra strada, che come tutte le strade vede qualcuno che sta più avanti e qualcuno che sta più indietro, qualcuno che è più veloce e qualcuno che è più lento. Ciò che conta è cambiare strada, non fare a gara a chi arriva prima.
Parlerai anche di come si risponde a una di quelle che si crede femminista ma non lo è (nazi-femminista)
Premesso che l’espressione “nazi-femminista” è tipicamente maschilista (la sua storia è nota), l’ho già fatto: il titolo dell’articolo non fa distinzioni di genere. Al tuo posto, se posso permettermi, mi chiederei quale pregiudizio mi ha impedito di vedere un asterisco così bello grosso. Buona rilettura.
…e comunque, ne avevo già parlato: https://www.bossy.it/un-femminismo-che-non-mi-piace.html
Segui Bossy con più attenzione Federico, le risposte ci sono – è che bisogna farsi le domande giuste.
Buona ririlettura.
Buongiorno,
ho notato che a volte nell’articolo vengono usate le parole “sessismo” e “sessista”, mentre altre volte si usa “maschilista” e “maschilismo”. Non sarebbe più corretto usare sempre sessismo in questo caso? Così come non sono fatte distinzione di genere con l’utilizzo degli asterischi non sarebbe più indicato non fare distinzioni di genere anche nell’uso di quei termini?
Grazie
Diego io credo di no: le due parole non sono sinonimi.