Levante è forse la mia cantautrice italiana preferita, non ho mancato un solo concerto a Milano e qualche volta l’ho seguita anche in trasferta. La prima e l’unica canzone che io abbia mai imparato con l’ukulele è “Alfonso” e le sue strofe liberatorie mi hanno raddrizzato più di qualche giornata.
Michela Murgia è una donna che ammiro e stimo, che trovo piena di coraggio e di idee progressiste. “Lo ha detto Murgia” mi fa lo stesso effetto di un sigillo di garanzia ed è sicuramente tra le donne a cui guardo con ammirazione e che prendo a esempio per fare il mio lavoro.
Per questo oggi fatico particolarmente a scrivere questo articolo.
Come molti di voi sapranno, Levante parteciperà all’imminente festival di Sanremo e per questa ragione sta rilasciando diverse interviste.
Una in particolare però, ha fatto drizzare le antenne a parecchi(e):
“Sono anni che mi spendo per le donne, ma non sono a favore delle quote rosa. Non ci è dovuto un posto per forza, non abbiamo un deficit. Io mi conquisto quello che mi merito e se sono al festival mi auguro che sia perché la canzone è bella e io sono brava”
Prima di capire che ruolo occupi Murgia in tutto ciò, è necessario fare chiarezza sul significato di quote rosa, perché evidentemente attorno al termine c’è ancora molta confusione.
Dal libro “Parità in pillole. Impara a combattere le piccole e grandi discriminazioni quotidiane”
Definizione di quote rosa dalla Treccani: «Provvedimento (in genere temporaneo) teso a equilibrare la presenza di uomini e donne nelle sedi decisionali (consigli di amministrazione, sedi istituzionali elettive e così via) effettuato introducendo obbligatoriamente un certo numero di presenze femminili».
Per fare un esempio, se ci sono dieci posizioni aperte, le quote rosa dicono che almeno tre dovranno andare a donne.
Qualcuno definisce le quote rosa discriminatorie, poiché l’obbligo di dover assumere tre donne impedirebbe ad altrettanti uomini magari più qualificati di ottenere il lavoro. «Io sono più bravo di lei, ma siccome lei è donna otterrà il lavoro al posto mio e questa è una discriminazione al contrario». In questo modo, giustamente, si pone la questione della meritocrazia, una questione da affrontare e anche con una certa urgenza.
Tutti noi (uomini e donne) abbiamo dei bias cognitivi, cioè delle scorciatoie di ragionamento che, permettendoci di arrivare in fretta a una decisione, si basano su convinzioni già presenti nel nostro cervello, senza troppo badare alla realtà che abbiamo davanti.
Secondo una convinzione presente nella nostra società, il maschile è superiore e dunque gli uomini sono più bravi delle donne (nonostante i dati riguardanti le performance scolastiche dicano il contrario). Se vi facessi leggere un test a domande aperte compilato da MariO Rossi e vi chiedessi di valutarlo, voi dareste un certo voto. Ma se vi facessi leggere lo stesso test con le stesse risposte, compilato però da MariA Rossi, voi non dareste lo stesso voto, dareste un voto più basso.
Questo accade perché il nostro cervello è abituato a percepire il femminile come inferiore e il maschile come più autorevole. Il che porta ad assumere con più facilità persone di sesso maschile e dunque a trovare soprattutto uomini in posizione di potere. Trovare una maggioranza di uomini in queste posizioni ci spinge a pensare che siano più bravi delle donne. È un circolo vizioso difficile da spezzare, a meno di farlo con una variabile nuova: una legge.
Qualcosa che dica: se devi assumere dieci persone, statisticamente assumerai dieci uomini perché pensi che siano migliori, siccome però nella realtà le cose non stanno così, e rinunciando ad assumere delle donne stai perdendo persone valide (a volte più valide!) che potrebbero fare bene alla tua azienda, noi ti obblighiamo ad assumerne almeno tre.
In questo modo si aggira il bias cognitivo senza creare una discriminazione al contrario, perché con ogni probabilità i restanti sette posti di lavoro verranno comunque occupati da uomini.
Le quote rosa servono a creare dei precedenti, affinché il bias cognitivo ceda. Se vedo solo uomini prendere decisioni, penserò che le donne non siano in grado di farlo. Se invece avrò a disposizione esempi di donne in posizione di potere che hanno saputo fare il proprio lavoro, comincerò a credere che quindi anche loro ne siano in grado.
I neuroscienziati hanno confermato che i bambini e le bambine hanno la stessa capacità di capire la matematica. Come mai allora ci sono molti più ragazzi iscritti al liceo scientifico? Perché lo stereotipo dice che i ragazzi sono portati per le scienze e le ragazze per le lettere. Così, durante le scuole medie, alle ragazzine viene suggerito di intraprendere un percorso più umanistico, nonostante molte di loro abbiano interessi di tipo scientifico. Queste ragazzine, guardandosi attorno, vedranno che in effetti ci sono pochissime donne nelle scienze e si fideranno del consiglio degli adulti: smetteranno di studiare quelle materie e, come la migliore delle profezie che si autoavverano, alla fine non saranno più così brave in matematica, perché non saranno andate avanti a studiarla, al contrario dei loro colleghi maschi.
C’è una ragione se fino a una certa età le bambine e i bambini alla domanda «cosa vuoi fare da grande?» rispondono «la/il presidente» e dopo una certa età le bambine cambiano la propria risposta (mentre i bambini no). Perché si guardano attorno e non vedono esempi femminili in posizioni di potere, così si convincono di non poter raggiungere una posizione di quel tipo e smettono di adoperarsi per diventare ciò che vorrebbero. Cominciano a voler diventare altro: la modella, la ballerina, la maestra, l’infermiera… Non possono sperare di diventare qualcosa che non esiste.
Le quote rosa servono a questo: a fare in modo che le bambine possano continuare a studiare per diventare ciò che vorranno essere, così che in un futuro le quote rosa stesse potranno essere eliminate.
Le quote rosa sono un mezzo, non il fine. E di certo non sono una soluzione: sono una pezza.
Sono utili, ma non possiamo pensare che risolvano un problema che è culturale, e finché a questo provvedimento non verrà affiancato un lavoro di smantellamento degli stereotipi, che parta già dalla prima infanzia e accompagni i ragazzi e le ragazze durante tutti gli anni della scuola, continueremo a dirci che le quote rosa sono una discriminazione al contrario, perché non avremo mai chiaro quale sia il vero problema.
Se c’è una persona che questo ragionamento l’ha chiaro da un bel pezzo, quella è Murgia.
Che infatti non è riuscita a soprassedere e, attraverso delle storie su Instagram, ha provato a raccontarlo.
“[…] viviamo in un paese che sottovaluta o nega il merito delle donne. Se vuoi far reggere un sistema misogino in eterno infila una donna in ogni selezione. Sarà lei a difendere il sistema dicendo alle altre, io ci sono e sono brava, forse quindi siete voi che non ci avete provato abbastanza. Oggi cara Levante, quella donna funzionale sei stata tu.”
Io il fastidio, la rabbia e lo sconforto di Murgia li sento e li condivido.
Ma sento anche altro.
Sento di dover dire che essere ignoranti non è una colpa, è una condizione modificabile.
Io non riesco a prendermela con Levante per il fatto in sé, perché ognuno di noi commette errori e impara pian piano. Per quanto le sue parole siano un freno a mano tirato sulla macchina del femminismo, credo sia tristemente normale non aver chiaro un concetto di cui si parla poco.
Quello che mi indispettisce è questa tendenza a non chiedere mai scusa, a non dire mai “ho sbagliato”. Anche perché, a livello umano, non c’è nulla di più comprensibile (e per certi versi tenero) del vedere qualcuno ammettere un errore e fare ammenda.
Da Levante, che ho imparato a conoscere per la sua sensibilità, mi aspetto proprio questo: che riconosca e ammetta di aver espresso un concetto inesatto sulla base di un’idea sbagliata delle quote rosa.
Ma ancora prima, da chiunque abbia un grosso pubblico, mi aspetto uno scrupolo maggiore prima di dire qualcosa, una verifica in più, persino solo un check su Google.
Perché se io dico una cavolata con i miei amici al bar, è grave ma la situazione può facilmente rientrare; se la dico su un media mainstream, forse prima dovrei accertarmi di aver davvero capito il concetto di cui mi sto apprestando a parlare.
Lato Murgia, sebbene concordi intellettualmente con la conclusione del suo ragionamento, credo che dire a una donna di essere funzionale al sistema misogino non sia la via più semplice per farle prendere consapevolezza di esserlo.
Il rischio che si alzino dei muri è alto, il bisogno di difendersi da un attacco è fisiologico.
Delle volte, forse varrebbe la pena rinunciare a un po’ di schiettezza e prendere una via più lunga, non per vigliaccheria ma per essere più utili alla donna a cui stai parlando.
Continuerò ad ascoltare Levante e continuerò a leggere Murgia, sono due donne che per motivi diversi mi piacciono e questo non cambierà le cose (né deve diventare una guerra fra due donne, dove dover prendere le parti di una o dell’altra, quello è il gioco del patriarcato).
Questo fatto aggiungerà invece dei pensieri, aiuterà a ricordarmi che una persona che mi piace può dire una cosa che non condivido e viceversa.
Che il mondo non è bianco e nero e che le sfumature sono ciò di cui forse, mai come in questi giorni, dovremmo parlare.
la murgia tende a essere troppo severa e giudicante verso chiunque non condivida la sua visione del mondo (che è una visione che condivido non al 100% ma al 90), parla sempre come fosse in cattedra un po’ come Travaglio e questo la rende sempre antipatica anche quando ha ragione. Quanto a Levante ha il diritto di avere le sue opinioni sulle quote rosa senza sentirsi accusare di tradimento, e lo dico io che sul tema la penso più come Murgia
Penso che la questione quote rosa abbia degli aspetti contrastanti. Sono completamente d’accordo con l’esigenza di mostrare più donne in ruoli storicamente “maschili”, ma capisco tutta la frustrazione di chi raggiunge un posto per merito e gli viene detto, in realtà te l’hanno concesso solo per adempiere ad un regolamento, non te lo sei meritato. Vi è mai capitato di lavorare con vostro padre (o madre) e sentirvi etichettati come quelli che hanno avuto quel posto solo perché figli di…? Se vi è capitato e sapevate che quel posto non vi è stato regalato ma ve lo siete sudato ugualmente forse può darvi fastidio questa generalizzazione.
C’è ancora molta strada da fare e una parte del cammino è anche insegnare agli uomini che anche loro possono fare lavori storicamente “femminili”, chissà forse anche mettendo le quote azzurre in professioni come l’infermiere, l’insegnante, l’ostetrico?
Ho 68 anni ho sgomitato tutta la vita per stare sempre in seconda fila!! Levante è molto brava ma influenza con le sue parole molte giovani ragazze. Murgia ha preso tanti calci nel sedere, io mi sento come lei!
Certo imbarazza essere su qualche scranno/podio e dover ringraziare una legge che crea delle possibilità di essere riconosciute. Il lato opposto della medaglia a mio parere non è nel peso specifico del merito, bensì nel peso del pregiudizio che condanna all’insignificanza. Accettare la facilitazione rappresenta un vero esame di realtà e va rivendicato il diritto acquisito.
La Murgia ha fatto saltare il coperchio di un meccanismo talmente subdolo da passare spesso inosservato. Trovo, al di là dei toni, che abbia colto perfettamente il senso della funzione di alcune donne usate appunto come pedine inconsapevoli.
La premessa rituale: ammiro Michela Murgia, la seguo, leggo i suoi libri e trovo sempre molto utili e necessarie le sue parole, ma…
Ciò che non ho capito: essere contro le quote rosa equivale a non aver capito cosa sono le quote rosa, o peggio, a essere misogini?
Penso per esempio a Emma Bonino che è contraria e non mi pare sia una donna “funzionale al sistema misogino”.
Lo possiamo dire che si può essere contrari senza essere degli incompetenti? Anche perché bisogna vedere come si traduce l’idea in legge, dato che spesso questo passaggio crea parecchie contraddizioni.
Penso anche all’argomento affrontato nel Parità in Pillole numero 17 (3 regole per essere DONNE DI SUCCESSO): se il problema è culturale, e non nego di certo l’esistenza del problema, allora perché bisogna risolverlo con delle quote che di per sé costituiscono un modo impreciso di affrontare la situazione? Il “diritto alla mediocrità” poteva avere senso, forse, trenta anni fa, oggi non possiamo permettercelo.
A proposito della tendenza a non chiedere scusa: le scuse dovrebbe chiederle Murgia, si può discutere, anche animatamente, ma dire sei “funzionale al sistema misogino” (??? Levante? seriamente?) è un insulto. E si può scegliere di non rispondere agli insulti.
Invece fare la guerra (blastare) a un’altra donna solo perché la pensa diversamente (su una questione decisamente opinabile) non funzionale al sistema misogino.
ultima riga: *non è funzionale etc etc…