Autrice, cantante e produttrice, MEG in 30 anni di eclettica carriera ha esplorato mondi sonori, alla costante ricerca di “nuovi accordi e nuove scale”: ha all’attivo preziosi collaborazioni, 8 album, di cui 4 con i 99 Posse e 4 da solista, il cui primo risale al 2004.
Femminista, attivista, artista in continua evoluzione, è il simbolo del cantautorato alternativo e sperimentale, ricco di contaminazioni tra diversi stili e mondi, ed a fine settembre 2022 ha pubblicato Vesuvia, il nuovo ultimo lavoro di inediti, per Asian Fake/Sony Music.
Dopo averlo portato dal vivo con un tour primaverile ed estivo che è stato un vero trionfo, esibendosi sui palchi dei principali club e delle rassegne estive più rinomate d’Italia, ha annunciato il “VESUVIA d’autunno”, sei appuntamenti live da non perdere per essere ancora una volta i fortunati testimoni di una performance di un’artista davvero unica.
Fucina di idee e di spunti di ispirazione, l’abbiamo intercettata in occasione dei nuovi concerti in arrivo (22/1 Milano, 01/12 Bari, 02/12, Lecce 09/12, Poggibonsi, 12/12 Roma) ripercorrendo la sua carriera e chiacchierando di attivismo, underground e sogni che infuocano il cuore.
Centri sociali, live in venue piccole e grandi, il mondo delle major, ora Frenetik, la dimensione di gruppo, le collaborazioni, la carriera solista: hai provato ogni aspetto ed ambito del mondo musicale, dall’underground al cosiddetto mainstream: oggi, a 50 anni e dopo 30 anni di carriera cosa di quello che hai vissuto ti ha formato, ti caratterizza in maniera positiva e cosa invece hai capito non fa per te e tieni lontano?
Ogni aspetto della collaborazione nella musica è sempre fruttuoso e di grande vitalità, crea sempre delle situazioni in cui poi vengono fuori cose molto particolari e vitali, ogni volta che capita un incontro speciale succede qualcosa di particolare a livello creativo e c’è sempre una frase che mi ricorre periodicamente in testa ed è una citazione di Vinícius de Moraes “La vita è l’arte dell’incontro”.
Ultimamente ci sono stati degli incontri molto speciali che hanno caratterizzato la lavorazione di Vesuvia, iniziata in maniera solitaria come ogni mio lavoro post fuor iuscita dal gruppo (i 99 Posse, ndr) e arricchitasi di collaborazioni: con Frenetik, i fratelli Fugazza, Tommaso Colliva, persone il cui incontro è stato fondamentali per far sbocciare il disco in un modo differente rispetto a quello in cui era stato pensato.
Una regola che mi sono data da un certo punto in poi nel mio lavoro è stata quella di non fare mai cose controvoglia: quando non è stato così ho sofferto e ho vissuto periodi infelici.
Ho lasciato i 99 perché vigevano una serie di dinamiche che mi facevano soffrire e ci è voluto tempo per capire che potevo e dovevo dire No, in quanto donna ed in quanto musicista non potevo più rimanere in quella situazione. Forse anche per questo motivo, che ad un certo punto ho iniziato a prediligere il lavoro in solitaria e tutta la prima parte della creazione dei miei dischi la faccio da sola: scrivo, compongo, produco e poi mi avvalgo della collaborazione di altre persone, un po’ come se fossi rimasta scottata da quell’esperienza.
Seguo delle regole che fanno capo all’amicizia, al rispetto reciproco, al volersi bene: chiaramente quando si incontra un musicista c’è un primo di si apprezzamento artistico, ma poi deve subentrare un livello umano di sintonia che è fondamentale.
Con tutte le persone che hanno collaborato alla realizzazione di Vesuvia – Elisa, Emma, … – c’è un rapporto di amicizia, con alcuni – i Fugazza, Daniele e Tommy – si è instaurato un legame profondo lavorando insieme, non li conoscevo prima di un anno fa.
Vengo dall’underground e mi sento ancora orgogliosamente underground: quando capita che un mio pezzo sfiori il mainstream è un puro caso e quando succede per me è sempre una sorpresa.
L’underground è il mio habitat naturale in cui mi piace stare, una sorta di comfort zone in cui mi sento me stessa. Gli anni Novanta sono stati un momento particolare in cui il tipo di musica in cui mi cimentavo era guardato con sospetto, con occhi snob, e quando ad un certo le radio, le case discografiche e più in generale il mondo mainstream, si è interessato al tipo di musica che facevamo, portandoci a suonare nei palasport, negli auditorium, l’ho vissuto come una grande soddisfazione, una rivincita.
A distanza di tempo continuo a fare una musica strana, ibrida e trasversale, che posso portare ovunque, tra centri sociali, club, auditorium.
Femminismo, natura, attivismo: come Maria e come MEG riescono a valorizzare e dare voce nel privato e nel tuo essere un artista, un personaggio pubblico, questi tre concetti?
Sono tre macroconcetti che permeano costantemente la mia quotidianità.
Sono una persona affetta da ecoansia, qualsiasi cosa faccia, compri o cucini sono sempre lì a pensare se è stato maltrattato qualcuno, un animale, se è biologica, se è a km zero, se c’è plastica che l’avvolge, da dove proviene…diciamo che non trovo pace da questo punto di vista.
Cerco di concretizzare l’attivismo nel mio piccolo, nella scelta quotidiana delle mie azioni.
Per quel poco che uso i social cerco di supportare ONG ed organizzazioni come @mediterranearescue: considero salvare vite una priorità, prima si salva poi si discute.
Mio padre viene da una famiglia di navigatori, è stato capitano di lungo corso, prima di scoprire di soffrire di mal di mare, studiare Economia e diventare professore: la prima cosa che mi ha insegnato è che in mare non si lascia mai nessuno, un concetto ovvio per noi persone di mare, che ricorda quanto facevano gli antichi greci che manco i nemici lasciavano in acqua.
È un problema è complicato e lo è ancora di più per un paese disorganizzato come il nostro, un discorso complessissimo in cui si inserisce una propaganda cortocircuito come quella delle destre che gioca sulla paura, ma al di là dell’empatia, delle regole etiche, anche loro sanno benissimo che il nostro paese sta morendo e abbiamo bisogno di persone che ci aiutino a tenerlo in vita, a rinascere con il loro contributo.
Sostengo anche la LAV e la campagna che ha attivato per cercare di salvare gli animali selvatici che stanno subendo in questo periodo un attacco senza precedenti, quali lupi, cervi, orsi…
Nel mio piccolissimo cerco sempre di fare e dire cose che possano sensibilizzare gli altri, le persone che mi seguono, ma vivo comunque in costante ansia e felicità incompleta.
C’è un pezzo in Vesuvia che si intitola Scusa se sono felice, parla del fatto che ormai sono incapace di essere felice completamente perché una parte di me sente di non esserlo appieno: penso al fatto che posso andare a fare le analisi del sangue e a Gaza non ci sono più ospedali per tenere i bambini nelle incubatrici e curare le persone, la mia mente corre alle guerre in corso, ai soprusi, agli USA dove la polizia che spara agli afroamericani senza regole né rispetto per i diritti umani, alla distruzione del nostro pianeta e al greenwashing…provo un misto di ansia e senso di colpa per vivere in una parte del mondo che è tutto sommato, dal punto di vista di diritti e della qualità della vita fortunato e privilegiato. A volte vorrei avere un cuore di pietra per non soffrire.
Faccio tanta meditazione per tenere a freno ansia e depressione, mi informo, leggo, leggo tantissimo! È un momento storico estremamente difficile ma possiamo agire nel nostro piccolo, senza scoraggiarsi e avere paura, cercando di combatter per ciò in cui crediamo, e le briciole di felicità che ci arrivano quando arrivano dobbiamo imparare a prendercele: essere felici è un diritto fondamentale e un dovere, e quando la felicità arriva dobbiamo godercela.
Hai vissuto una primavera ed un’estate trionfanti con Vesuvia, il tuo ultimo disco che stai portando nuovamente in tour tra novembre e dicembre: dalla sua uscita è trascorso un anno. qual è l’aneddoto più caro che porti con te?
Ce ne sono vari, sicuramente mi viene in mente quella volta in cui, dopo che uscì Vesuvia e spiegai di cosa sia per me questo personaggio, una sorta di alter ego, una ragazza mi mandò la foto di un tatuaggio che si era fatta: si era scritta Vesuvia, e poi me anche altre persone lo avevano fatto…mi ha colpito profondamente come tante/i si possano immedesimare in Vesuvia.
Per me è sempre una sorpresa – nonostante siano trent’anni che faccio questo lavoro –, rimango stupefatta, quando le cose che scrivo arrivano alle persone!
Il live di Vesuvia è stato ed è pieno d’amore, è un sistema di vasi comunicanti tra me e il mio pubblico, che è curioso, pensante, di freak, queer, arcobaleno, ed in qualche modo non si accontenta: quando ci vediamo ai concerti, questa dimensione di “dal vivo” diventa quasi sovversiva, trovarsi in un luogo non solo per passare una serata piacevole ma per scambiarci opinione. Una volta ho toccato l’argomento della mancanza di protezione dei i diritti fondamentali in Italia e il fatto che le coppie omogenitoriali si sono viste minare la propria famiglia, con figli rimasti con un solo genitori: una coppia di ragazze con le lacrime agli occhi mi ha ringraziato per avere il coraggio di parlare di queste cose, ma non credo che sia coraggio questo, è come quando a cena tra amici si parla di quello che succede e di cosa ci tocca.
I miei concerti sono così, momenti emozionali in cui persone normali si incontrano con la voglia di confrontarsi rispetto ad una realtà con la quale hanno un rapporto conflittuale e non passivo.
In un contesto come quello attuale estremamente complesso e in cui la parità di genere non è ancora stata raggiunta (come in tutti gli altri contesti lavorativi, del resto) cosa consigli a chi desidera ricalcare le tue orme?
Alle ragazze e ragazzi che vogliono intraprendere questo percorso mi sento di dire che è un mondo estremamente difficile, in cui non si vendono più dischi e sta vivendo un momento complicato, impalpabile, dove tutto si muove sugli stream di Spotify che però non sempre rispettano la realtà.
Il mio consiglio è di informarsi bene su quello che è la situazione musicale in Italia ed intraprendere questo percorso solo se lo si reputa il proprio sogno e se si ha un fuoco dentro che brucia per la musica: questo significa guardarsi, leggersi, conoscersi. È un mondo estremamente difficile.
Quando si capisce che si ha questo fuoco dentro e si vuole testardamente continuare a intraprendere questo lavoro secondo me la regola aurea è quella di esser se stessi, studiare molto per essere se stessi, lavorare sodo per essere se stessi, dedicarsi alla scrittura, allo studio dello strumento: tutto deve essere fatto per far emergere l’unicità del proprio talento, mettendolo al centro e coltivandolo con dedizione senza pura, cercando di superare una serie di limiti con se stessi.
Oggi le vie per intraprendere il mio lavoro sono molteplici e quando ho iniziato non esistevano, ci vuole molta consapevolezza per non farsi fagocitare rimanendo integri il più possibile.
Tornando a parlare di underground, come lasciarsi permeare ed allargare i propri orizzonti standovi a contatto?
Sicuramente frequentando i negozi di dischi e vinili sopravvissuti, dove sicuramente orbitano persone interessanti in grado di dare input stimolanti e nuovi.
Da ragazzina ero sempre in Fonoteca nel centro storico di Napoli, dove a volte mi mettevo dietro al bancone: nel tempo sono diventata amiche delle persone ci lavoravano e ho avuto modo di interagire con persone di ogni tipo chiacchierando e ricevendo informazioni stimolanti.
Anche le librerie possono essere luoghi da cui partire, è importante leggere e studiare il più possibile: bisogna leggere, anche se hai un talento, devi coltivarlo con uno spessore specifico che ti danno solo i libri e la vita vissuta.
Ragazze/i, leggete il più possibile, i libri sono luoghi magici! L’età della giovinezza è bellissima e si ha la possibilità di formarsi sui classici, cyeberpunk, fantascienza, letteratura italiana e straniera. Quando sei giovane si ha tanto tempo durante la giornata, occupatelo leggendo!
Per avere ispirazione, uno stimolo a fare, è poi importante frequentare, se ci sono in città, centri sociali, locali e piccoli club: di solito chi gestisce posti piccoli lo fa per passione, la passione musicale, non per business, e i dj, i musicisti che si trovano propongono musica che appartiene all’underground, e nell’underground c’è l’humus della vita, humus vitale che non trovi in radio, nelle stazioni più pop.
Ed anche qui torna quello che dicevamo all’inizio, torna l’arte dell’incontro, quel cercare di attorniarsi di persone che ti danno qualcosa di prezioso, che ti fanno sentire bene, con le quali creare legami di affetto. Bisogna allontanare immediatamente le persone e le situazioni di malessere, di abuso psicologico, è importante cercare di accorgersi il più in fretta possibile che le relazioni nocive che non vanno da nessuna parte devono essere eliminate. Questa cosa vale anche nella musica: quello dell’artista che deve soffrire, stare male è un falso mito, è una zavorra, l’ho sperimentato!
Bisogna attorniarsi di persone solari, entusiaste e positive, che abbiano voglia di fare e ci vogliono bene.