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Gender killer: le persone trans nei media (parte 1)
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Gender killer: le persone trans nei media (parte 1)

Secondo i sondaggi, negli USA solo il 30 – 40 % della popolazione conosce una persona transgender. In Italia questo numero sembra più basso ancora. Due anni fa ho fatto coming out come persona trans nonbinaria e per la stragrande maggioranza dei miei amici e familiari ero la prima persona trans che avessero mai conosciuto. 

La rappresentazione che viene data di una minoranza ha un impatto enorme su come questa viene immaginata e percepita. Nel caso delle persone transgender, per gran parte della popolazione, tale rappresentazione è l’unico strumento disponibile per farsi un’idea di noi. È stato così anche per me e come quasi tutte le persone trans che conosco sono cresciuta isolata senza aver mai potuto parlare dal vivo con qualcuno come me fino a pochi anni fa.

Le immagini e le narrazioni del cinema, dei fumetti e della televisione erano tutto ciò che avevo per capire chi io fossi e immaginare un futuro come me stessa. E, a distanza di anni, vedo gli effetti e i danni che quella rappresentazione ha avuto su di me e su come le persone cis nelle nostre vite, anche ben intenzionate, ci trattano. Inoltre, vedo le conseguenze anche sulla recente campagna di odio e transfobia che cerca di cancellare la nostra esistenza, supportata da gente che in gran parte non ci ha mai incontratə. Solo negli ultimi anni l’atteggiamento dei media nei confronti della comunità trans ha iniziato a cambiare verso una maggior comprensione e accettazione.

Siamo tuttə cresciutə in una società che dava delle persone trans una rappresentazione distorta e ne portiamo dentro le immagini e le conseguenze. In questa serie di articoli analizzerò gli effetti delle distorsioni a cui siamo statə e siamo espostə e inoltre tenterò di capire come fare meglio in futuro. Lo farò dal mio punto di vista, quello di una persona trans, e proverò a condividerlo con voi.

I capostipiti, Psycho e Il Silenzio degli Innocenti

Nel 1960 esce Psycho. Norman Bates, all’apparenza un timido e innocuo gestore di un motel, è un serial killer che assume la personalità e indossa gli abiti della defunta madre per uccidere giovani donne. Nelle scene più iconiche di uno tra i film che hanno fatto la storia del cinema, come quando l’identità della madre di Norman, fino a quel punto la presunta omicida, viene rivelata e sia quando Norman uccide Marion Crane nella doccia, è presente un uomo in abiti femminili che attacca una donna cis con un coltello.

Norman non viene mai identificato come donna trans. Sia nella pellicola che nel libro da cui è tratto si veste da donna solo perché controllato dalla personalità della madre. Infatti il film arriva a chiarirlo esplicitamente quando uno psichiatra spiega come Norman non sia esattamente “un travestito” e come la sua seconda personalità sia la causa del suo abbigliamento. Questo, però, ha ben poca importanza sull’influenza che il film avrà nel cinema e sulla cultura popolare. 

Psycho ha un successo strepitoso. Il twist sciocca e impressiona il pubblico e viene quindi imitato da una lunga serie di film con uomini travestiti da donna, crossdressers o donne trans come killer psicotici, i quali prendono di mira donne cis con moventi connessi al genere o di tipo sessuale.

Tra gli emulatori troviamo No Way to Treat a Lady (1968), Dr Jekyll e Sister Hyde (1971) in cui il dottore si trasforma in una spietata omicida iniettandosi ormoni femminili presi da cadaveri comprati da una coppia di assassini, Dressed to Kill (1980) e Deadly Blessing (1981) dove in entrambi i film l’assassina viene identificata come donna trans, Sleepaway Camp (1983) con un brutale serial killer quattordicenne cresciuto come una ragazza per rimpiazzare la sorella morta, Stripped to Kill (1987), Sleepway Camp 2 e 3 (1988 e 1989) e sebbene meno comuni anche film con il trope invertito, cioè con killer identificati come donne travestite da uomini, come Homicidal (1961) e Private Parts (1972).

Ma tra tutti, probabilmente, Il Silenzio degli Innocenti (1991) è l’opera che ha traghettato la figura del gender killer nell’immaginario moderno, rinforzandola. Nel film di Jonathan Demme, tratto dal libro di Thomas Harris, Jame Gumb, alias Buffalo Bill, rapisce, uccide e scuoia giovani donne per realizzare un vestito da donna con le loro pelli.

Come in Psycho sia il film che il libro dichiarano che Jame “[…]non è un vero transessuale. Ma pensa di esserlo. Tenta di esserlo”. Tralasciando il problema del linguaggio arretrato e del costante misgendering (riferirsi ad una persona con pronomi che non corrispondono alla sua identità di genere), presente anche nel testo inglese come in Psycho, questa dichiarazione riduce ben poco l’impatto sul pubblico, anzi aggiunge una serie di problemi. 

Sia il film che il libro cercano di distanziare le persone transgender da Buffalo Bill e dall’immagine di criminali violente con affermazioni come quella dell’agente FBI Clarice Starling “Nella letteratura non c’è correlazione tra transessualità e violenza, i transessuali sono molto passivi”. Tuttavia poche delle persone cis con cui ho parlato la ricordano. Ricordano, invece, Buffalo Bill che balla al ritmo di Goodbye Horses con indosso una parrucca fatta con uno scalpo umano e i genitali nascosti tra le cosce. 

Il libro fa uno sforzo in più per distinguere Jame Gumb dai “veri transessuali” con un capitolo in cui il capo di Clarice Starling visita una clinica d’identità sessuale per cercare Buffalo Bill tra le domande respinte, esplicitando più volte nei dialoghi le differenze tra Bill e le persone trans, presentate come “individui per bene con un problema autentico”. 

Ho letto il libro per la prima volta a quattordici anni e credo fosse il primo media che parlasse in modo positivo delle persone trans che avessi mai visto. Credo anche che mi abbia fatto da scudo contro rappresentazioni peggiori. Ma, come accennato, i problemi si complicano.

A decidere chi sia o meno un “vero transessuale” sono gli psichiatri. Hannibal Lecter informa Clarice e il pubblico della “vera” identità di genere di Buffalo Bill, infatti gli psichiatri di molteplici cliniche d’identità sessuale hanno rifiutato la sua domanda di un intervento di vaginoplastica. Questa all’epoca era la mentalità dominante: psichiatrə e psicoterapeutə erano considerati guardiani della transizione, con il diritto e il potere di decidere l’identità di genere deə direttə interessatə e di rifiutare terapie e interventi. La ricerca condanna da anni questo atteggiamento, detto gatekeeping, come inutile e dannoso, ma purtroppo è ancora condiviso da buona parte della popolazione e daə professionistə della salute.

Essere trans è un’esperienza molto specifica e difficile da esternare alle persone cis. Di conseguenza identificare se stessə come transgender è una valutazione incredibilmente accurata, infatti i dati confermano come pochissime persone rimpiangano la propria transizione. 

A causa della singolarità e incomunicabilità dell’esperienza, per anni psicologə e psichiatrə cis hanno dato per scontato che essere trans fosse un’esperienza difficile da capire anche per le persone transgender, supponendo che solo loro potessero arrivare alla comprensione della “vera” identità di genere delle persone.

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Tuttavia il libro presenta aə lettorə una valutazione psichiatrica come una prassi legittima e io stessa ho interiorizzato questa credenza per anni prima di trovare altre fonti. Per giunta i criteri usati nell’opera per escludere la domanda di Jame sono privi di basi scientifiche:un test proiettivo dove disegnare una casa, un albero e una persona, test di personalità con risultati diversi dal “tipico modello transessuale”, disturbi infantili associati a violenza e abusi.

Nella vita reale i criteri usati per valutare le persone trans sono similmente arbitrari, con l’aggiunta di elementi ancora peggiori non menzionati dal film e dal romanzo: il fatto che una “vera” persona trans non possa essere omosessuale, le varie aspettative fondate su stereotipi di genere e inoltre, secondo i resoconti di molte persone trans, il grado di passing (la capacità di una persona transgender di essere percepita di primo acchito come una persona cisgender).

 Quest’ultimo elemento influenza anche Thomas Harris mentre scrive. 

Jame Gumb viene introdotto descrivendo il suo “[…] canticchiare troppo alto per la voce sinistra”, la sua altezza e peso, 1.85 cm per 90 kg e il suo mangiare quanto due uomini adulti. Il libro spiega che Jame si sta allenando a parlare con un tono di voce femminile, e che ha fatto ricorso all’elettrocoagulazione per eliminare la barba e che assume ormoni femminili.  Il voice training (il processo necessario per modificare la voce), il laser per eliminare peli facciali e corporei e la terapia ormonale sono tutte cose che io e molte altre persone trans stiamo facendo nel nostro percorso di transizione. Ciononostante, il libro afferma che “sarebbe stato difficile […] stabilire se il suo comportamento era un appassionato e inetto tentativo di transessualismo oppure una beffa odiosa”.Il libro tiene anche a chiarire come Jame non sembri una donna, ma un uomo effeminato.

Lo scopo di questa parte dell’articolo non è affermare che Jame Gumb, contrariamente a quanto afferma l’autore, sia una donna trans. Ma è importante evidenziare come, anche cercando di evitare elementi transfobici, l’autore veda attraverso una lente distorta che pone l’accento sulla differenza tra il tentativo di essere una donna e il corpo mascolino di Jame. Una lente che interpreta come innaturale e inquietante qualunque elemento non conforme all’aspetto e all’espressione di genere tipici di una persona cis.

Lo stesso vale per il film. Nella scena di Goodbye Horses la telecamera ci mostra Jame Gumb mentre si trucca con indosso una parrucca fatta con uno scalpo umano, indugiando su dettagli come il piercing a un capezzolo e la ricrescita dei peli rasati attorno a esso, le dita mascoline con unghie troppo corte e rovinate, i gioielli femminili che prova sul petto dove sono visibili i peli, per raggiungere il culmine quando Jame si mette in posa con i genitali nascosti tra le gambe. In tutto questo il focus è sempre sul contrasto tra i comportamenti “femminili” e il corpo e i tratti “maschili” di Jame, mostrato come inquietante e disturbante, e come sinonimo di orrore e di disturbo mentale. Questo, molto più delle linee di dialogo su come le persone trans non siano violente è quello che alla maggior parte del pubblico rimane del film, che sia d’accordo o meno.

Praticamente in tutti gli esempi del gender killer il momento della rivelazione dell’identità o del corpo del villain coincide con il culmine dell’orrore. E l’associazione nel pubblico tra questi elementi non fa che crescere se, pellicola dopo pellicola, la divergenza tra corpi, presentazione, identità di genere e aspettative cisetero vengono usate per comunicare la follia di pericolosə assassinə, la depravazione e la scioccante alienità da tutto ciò che è considerato normale.

E tutto ciò, come vedremo, ha avuto grosse conseguenze.

Credits
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Foto di Mike Bird (Pexels)
Foto di Tobias Bjørkli (Pexels)
Frame dal film The Silence of the Lambs (1991) del personaggio Buffalo Bill (Ted Levine)
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Frame dal film Psycho (1960) del personaggio di Norman Bates (Anthony Perkins)
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Frame dal film Dr Jekyll e Sister Hyde (1971) del personaggio di Barbara (Martine Beswick)
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