Articolo di Benedetta Geddo
Dovrei cominciare col precisare che sono un’infinita e immensa appassionata di serie tv. Ne ho seguite tante, la mia bucket list continua ad allungarsi, e ne ho all’attivo davvero troppe perché la mia carriera universitaria possa esserne fiera. E negli anni che ho trascorso a piangere, strillare ed emozionarmi davanti alla televisione, o più spesso lo schermo del computer, mi sono passate sotto gli occhi tante donne. Ma proprio tante. E di tanti tipi.
Donne forti, deboli, donne protagoniste, donne che erano solo interessi amorosi, donne che avrebbero potuto avere tanto di più, donne esaltate dai loro showrunner o completamente dimenticate. Davvero, un enorme caleidoscopio, che però non è grande abbastanza, perché ce ne vogliono sempre di più, e sempre più diverse, sempre più uniche, sempre più reali. La strada è ancora lunga, è vero, ma io direi che arrivati ben oltre il mid-season della stagione 2014/2015 abbiamo fatto un grande, grandissimo passo. E quel passo si chiama Margaret Carter.
Nella pausa di metà stagione di Agents Of S.H.I.E.L.D., serie hit che si rientra a pieno diritto nei piani del Marvel Cinematic Universe, l’emittente ABC non si è fatta mancare la sua dose settimanale di Marvel, e ha mandato in onda la miniserie di otto episodi Agent Carter.
Una breve sinossi, giusto per capire di cosa stiamo parlando. In una New York ancora scossa dalla Seconda Guerra Mondiale, l’agente dell’SSR Peggy Carter lavora come spia, dopo aver servito in guerra, in un ambiente occupato prevalentemente da uomini che la trattano alla meglio come una segretaria e una cameriera. In tutto questo le piomba tra capo e collo Howard Stark, vittima di un furto che è risultato nella sparizione di diverse invenzioni potenzialmente letali ricomparse misteriosamente sul mercato nero (perché tale padre tale figlio), per le quali ora il governo americano e lo stesso SSR lo stanno accusando di tradimento. In nome dei vecchi tempi, Howard chiede a Peggy di aiutarlo a scagionarsi, e lei acconsente, cominciando a fare un pericoloso doppio gioco per riabilitare il nome dell’amico senza farsi scoprire dai suoi colleghi, il tutto mentre deve anche fare i conti con quello che ha perso, ossia Steve Rogers, noto ai più come Captain America.
Ora, mentre forse per l’ABC questo show non è poi così straordinario (stiamo pur sempre parlando del network sul quale regna Shonda Rhimes con le sue grandi, grandi donne, Meredith Grey, Olivia Pope e Annalise Keating), per la Marvel stiamo parlando di un cambiamento davvero epocale, il segnale che forse qualcosa si sta smuovendo, che forse le decine e decine di post scritti da appassionati (e soprattutto appassionate) fans in giro per il Web hanno fatto centro. Questa è la prima produzione ufficiale con una protagonista femminile, sulle cui spalle si regge tutto lo show. Non come in Agents, dove sì, abbiamo Melinda May e Skye e Jemma Simmons, ma è Coulson il protagonista. Qui il centro di tutta l’azione, il focus attorno a cui girano le storyline, è solo Peggy. Non Howard Stark, non i colleghi dell’SSR, non Edwin Jarvis, il fedele maggiordomo che Howard le affianca per aiutarla. Peggy è l’eroe. Jarvis è la spalla. Un ribaltamento dovuto da un bel po’ di tempo, e che personalmente aspettavo dal momento in cui ho capito di aver venduto la mia anima ai film del MCU.
Peggy è il tipo di donna che vorrei vedere ogni sera, in ogni show, su ogni emittente, in qualsiasi lingua. Con le mie amiche fangirl l’abbiamo chiamata «the hero we need», e a ben pensarci, la definizione le calza a pennello. Abbiamo bisogno di un’eroina come Peggy, di un modello così brillante e valido da seguire. E non solo.
Abbiamo bisogno di sentire la sua storia, di vederla in azione nell’America del 1946, perché tutto lo show è incentrato sul sessismo che Peggy è costretta a subire ogni giorno. E questo sì che è rivoluzionario, perché un tema come questo in altre serie è sempre accennato, sempre all’angolo, puoi quasi far finta che non ci sia, mentre qui è al centro della scena, troppo evidente per essere ignorato, come del resto dovrebbe essere.
Peggy, che ha servito al fronte, a fianco di Capitan America e degli Howling Commandos, nell’SSR è trattata come una segretaria: le rifilano faldoni da archiviare, documenti da battere a macchina, gli ordini per il pranzo da andare a prendere nel diner all’angolo, la chiamano «Marge» perché tanto non vale la pena di prendersi la briga di imparare che lei preferisce Peggy, come abbreviazione del suo nome. Nessuno la crede capace di fare il lavoro di un agente uomo (spoiler alert: lo sa fare eccome. E anche meglio). Nell’episodio «The Blitzkrieg Button», per esempio, Peggy si ritrova per sbaglio nella stessa stanza di uno dei suoi superiori, l’agente Thompson, che le chiede perché si trovi lì, in un’agenzia governativa segreta altamente specializzata. Peggy taglia corto, un po’ perché sta cercando di portare fuori dall’edificio una delle invenzioni di Stark senza farsi beccare e un po’ perché con Thompson non ha questo rapporto idilliaco, ribatte, «per la libertà e la nazione— gli stessi motivi suoi». Thompson le dice, chiaro e tondo, che si sta semplicemente illudendo, perché, «Sei una donna. E nessun uomo ti considererà mai una sua pari». E questa frase qui riassume tutto quello che Peggy deve sopportare nel mondo in cui vive. O ancora, quando nel penultimo episodio i suoi colleghi dell’SSR la interrogano sul suo presunto doppio gioco, e lei risponde, «Ho portato avanti la mia indagine perché nessuno mi ascolta. Ci sono riuscita perché nessuno mi vede, qui dentro. Perché a meno che io non abbia i vostri fascicoli, il vostro caffè o il vostro pranzo, sono invisibile.»
Non se ne vedono tante, di scene così. Scene che ti fanno agitare sulla sedia, indignare, o forse sentire un po’ scomodo. Tanti hanno parlato male di Agent Carter, buttandola sul «non è una vera supereroina con dei poteri e quindi lo show non lo guardiamo e bla bla bla», causando i bassi ascolti che la serie sta facendo. Quando leggo queste cose in giro per Internet mi viene solo voglia di prendere a testate il computer. Premesso che «un supereroe non è tale per i poteri che ha ricevuto, ma per le scelte che ha compiuto», abbiamo davvero solo bisogno di supereroi che sanno volare e evocare fulmini, o in armature indistruttibili? Sono davvero le uniche cose che li caratterizzano come «eroi»?
Peggy deve mettere in conto che ogni giorno si sentirà dire cose orribili, in quanto donna. Che non verrà mai trattata come una pari, che ci sarà sempre qualcuno che penserà di essere migliore di lei solo perché la natura lo ha dotato di un sistema riproduttivo esterno. Deve ingoiare la rabbia, l’umiliazione, e lavorare il doppio per essere riconosciuta la metà. Come fa a non essere considerata un’eroina affascinante tanto quanto gli altri? Se avessi una figlia, io vorrei che considerasse un idolo e un modello da imitare Peggy Carter, non Tony Stark. E questo è detto con tutto l’amore che ho per Tony Stark. Il messaggio che insegna Peggy, riassunto perfettamente nella sua frase del season finale, «So quanto valgo. E qualsiasi altra opinione non mi interessa», è importante, ed è qualcosa che tutte le ragazze e donne di oggi dovrebbero imprimersi nella testa.
Peggy Carter è un esemplare più unico che raro nella televisione di oggi: spesso e volentieri appare in scena mentre mangia qualcosa (santo dio dei telefilm, perché, le donne mangiano?), sa fare a botte tanto quanto i suoi colleghi (ma non nello stile sofisticato e altamente addestrato di Natasha Romanoff, no, i pugni che tira Peggy sono pieni di forza bruta, sono i pugni di una rissa da bar, e ad ora non ha ancora soffocato nessuno con le cosce), ha amiche donne che supporta e ama e protegge senza essere in competizione con loro. E per ora non ha un interesse amoroso (oltre al presunto morto Steve Rogers), altra cosa clamorosa, secondo me. Neanche un accenno. Peggy è una donna che sa stare in piedi da sola, senza bisogno di appoggi e aiuti. Che occupa tutta l’attenzione, senza chiedere permesso né perdono, senza vergognarsi. E la gente su Internet si preoccupa di criticare la tinta del suo rossetto.
Non che Peggy non abbia uomini decenti nella sua vita (perché grazie a Salazar Serpeverde non tutti gli uomini della serie sono come l’agente Thompson), ma sono amici, colleghi, spalle, con i quali ha un rapporto bellissimo e non per forza sessuale. Primo fra tutti Jarvis, suo amico e compagno di avventure, il maggiordomo personale di Howard Stark. Jarvis la rispetta e la ammira, non solo come agente segreto, ma prima e soprattutto come persona. Arriva a questionare la moralità del suo principale, Stark, dopo che Peggy gli ha fatto aprire gli occhi. La vuole al sicuro perché le è affezionato, ma sa benissimo che è in grado di proteggersi da sola, e le lascia tutto lo spazio di cui ha bisogno. Proprio come faceva Steve. Perché se provate a dire che Steve non è stato influenzato da Peggy tanto quanto lei è stata influenzata da lui, che non ha sempre cercato di assomigliare a lei tanto quanto lei a lui, allora mi dispiace, ma dovete davvero togliere la testa dalla sabbia e cominciare a usarli, questi occhi.
Certo, non è una serie perfetta. Il difetto più evidente che ha è quello di non avere una singola persona di colore, cosa piuttosto forzata e abbastanza pesante, un immenso elefante nella stanza che i social network non hanno fatto a meno di notare (e giustamente). Ma sono convinta ci lavoreranno sopra, gli showrunner capiranno dove stanno sbagliando e si miglioreranno, ma solo se la serie continua a venir supportata. Non guardarla perché manca di representation o perché si concentra troppo sulla lotta al sessismo e non sulla «roba da agenti segreti» è tagliare le ali alle future possibilità di prodotti sempre più diversi e sempre migliori. Un esempio su tutti, il tanto sospirato e desiderato film su Black Widow, aka Natasha Romanoff. Se la Marvel registra i pochi ascolti di Agent Carter come scarso interesse in storie d’azione con protagoniste donne, dubito che vedremo mai la divina Scarlett in un film tutto per lei.
Supportate Agent Carter. Seguitelo, appassionatevi, criticatelo, ma lodatelo, anche, perché se lo merita. E perché senza una seconda stagione non avrà la possibilità di correggere tutti quegli elementi che forse non stanno andando benissimo. E poi, lasciatemelo dire, Hayley Atwell è un sogno, è divina, ed è perfetta per la parte. Insomma, guardatela:
Quest’inquadratura è iconica. Iconica come quando Tony Stark alla conferenza stampa esita un secondo, dopo aver detto, «La verità è che io—», per poi rivelare che è lui Iron Man. Come quando Steve Rogers tiene in mano la porta del taxi con la stella disegnata sopra, in The First Avenger. Come quando Thor riacquista i suoi poteri davanti agli occhi sconvolti di Jane. Come quando il Soldato d’Inverno compare per la prima volta nello specchietto retrovisore di Nick Fury. Sono quei classici momenti Marvel che restano ben impressi nella mente, che diventano leggenda. E questo momento qui, in cui Margaret Carter esce da un mare di vestiti grigi, brillante in blu, bianco e rosso, questo è il nostro nuovo momento iconico. È il mio momento iconico, e io sono davvero felice di vivere questa serie, di seguirla e amarla.
Ed ammetto di aver appena notato che i colori del suo abito sono gli stessi della divisa di Cap. In ogni caso credo che se la serie andrà effettivamente avanti ci sarà spazio anche per altre questioni, come ad esempio il razzismo nell’America di quegli anni. Non bisogna dimenticare che Gabe Jones, uno degli Howling Commandos è nero.
Concordo con te, anch’io credo che una seconda stagione sarebbe proprio l’occasione per ampliare altri problemi oltre a quelli presentati nella s1. E in effetti gli Howling Commandos sono comparsi per un episodio (l’1×05, “The Iron Ceiling”), ma Gabe è rimasto comunque l’unica persona di colore (o anyway non bianco) di tutta la serie, ed è stato davvero un po’ forzato, quello.
Bellissimo articolo, concordo su tutto tranne che su una cosa.. Meredith Grey grande donna?? No, mi spiace ma questo non lo posso sentire davvero, con tutti i bellissimi personaggi femminili creati nelle serie televisive..
Si può apprezzare o meno il suo carattere e le sue azioni, ma è innegabile che la protagonista dello show è lei e che la storia ruota attorno a lei, cosa pur sempre importante in un panorama televisivo a maggioranza maschile.
Poi per carità, da Shondaland uno può preferire Olivia Pope a Meredith Grey e diventa una questione di gusti personali.