Scritto da Arianna Argese
“L’abito non fa il monaco” si dice, in Marocco non la pensano così!
Voglio raccontarvi una vicenda che sta scaldando gli animi su Facebook, una vicenda che ha diviso il Regno e che molto probabilmente lo cambierà. Lo scorso 16 giugno, nella città di Inezgane, nel sud-ovest del Marocco due giovani ragazze, Sanaa e Siham, di 19 e 23 anni sono state arrestate. La loro colpa? Aver indossato gonne ritenute troppo corte. Inizialmente le ragazze sono state aggredite da alcuni commercianti che avevano giudicato indecenti i loro abiti, successivamente temendo per la loro sicurezza hanno chiesto aiuto alle forze dell’ordine, ma a quel punto la questione si è ribaltata e dopo essere state condotte in un commissariato sono state accusate di oltraggio al pudore. Passando così da vittime ad accusate.
L’effetto di questo accaduto ha avuto come risultato una scossa elettrica sulla società marocchina che si è divisa in due sull’argomento. Da un lato chi difende una libertà vincolata e a rischio (su Twitter e Instagram sono nati hashtag come #porter_une_robe_nest_pas_un_crime – “Mettere una gonna non è un crimine”); dall’altro i critici dell’abbigliamento occidentale hanno criticato la sottigliezza delle due giovani donne che avrebbero dovuto rispettare l’Islam.
Qualcuno ha anche detto che l’episodio è avvenuto durante il Ramadan, mese sacro per i musulmani, ma Sanaa e Siham sono state arrestate due giorni prima dell’inizio del rituale. Inoltre, in Rete qualcuno si è chiesto che logica abbia il processo delle due ragazze in un Paese in cui la moglie del re Mohammed VI indossa regolarmente abiti e gonne nelle sue apparizioni ufficiali e in cui circolano online anche foto che mostrano ragazze con la gonna a Kabul, in Afghanistan, prima dell’arrivo dei Talebani.
La mobilitazione non rimane solo virtuale. Davanti al Parlamento di Rabat, la capitale del regno, ma anche a Casablanca, la capitale economica, a Tangeri e Marrakech, sono nate tante manifestazioni spontanee. Cori e cartelli, slogan che chiedono tolleranza e dignità, invitando a “restare in piedi per la nostra libertà” perché “la sicurezza delle donne nei luoghi pubblici è un diritto”, ma anche “Noi siamo Sanaa e Siham”, come a ricordare quel “Io sono Charlie” sbandierato dopo i massacri a Parigi del 7 gennaio 2015, per aver presente che in gioco c’è la libertà.
Può un abito avere così tanta forza? L’obiettivo resta chiaro: un risveglio delle coscienze per evitare una radicalizzazione delle società marocchina, e non solo… anche in Italia o in qualsiasi altro paese, un modo di vestire, un orientamento sessuale, una foto postata su Instagram non possono essere considerate delle giustificazioni alla violenza, o all’accusa.
Ancora una volta #nessunascusa.