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Brooklyn, coming out e women empowerment: intervista a Honeybird
Dark Light

Brooklyn, coming out e women empowerment: intervista a Honeybird

Sono le sette e quarantacinque.

Monique è puntualissima, Centrale come sempre è tutto un via vai di ogni età e colore.
In sottofondo chiacchericci fitti, la radio del bar, il rumore di tazzine e cucchiaini che mescolano gli zuccheri della colazione.

Monique Mizrahi è bassista, suonatrice di charango, cantautrice, educatrice e sostenitrice della realtà LGBT.
Ed insieme a Gioele Pagliaccia, batterista immerso nel funk e nel jazz, ed il multi-strumentista maestron remix Gigi Funcis (Eterea Post Bong Band) sono Honeybird & the Monas.

Come Honeybird, Monique, si è esibita in tutta Europa e a maggio 2015 ha pubblicato l’album Out Comes Woman, in cui racconta la sua esperienza di coming out bisessuale.

Due settimane fa, il 28 marzo, è invece uscito WM, ep targato Honeybird & the Monas.
Quattro brani che sono un inno all’emancipazione femminile, alla bisessualità, alla terapia, alla solitudine ed al divino femminile che scorre nelle nostre vene.

Con lei, che la sera prima è salita sul palco dei Tre Allegri Ragazzi morti all’Alcatraz, vorrei riuscire a parlare di tutto questo.
Anche se il tempo a nostra disposizione è davvero poco.

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Pic by Bianca Bourgeois http://biancabourgeois.com/

Iniziamo con la tua musica Monique, partendo dal disco che hai pubblicato l’anno scorso, Out Comes Woman.
Per me la musica e l’attivismo sono legati. Attraverso la musica sono sempre riuscita a comunicare cose che non riuscivo a esprimere con le parole.
Out Comes Woman è il mio disco solista ma anche il mio coming out come bisessuale.
Ho sentito che questo era un modo per me molto chiaro e dichiarato di fare coming out. Dieci anni fa avevo cercato di fare coming out ma non ero chiara io e soprattutto i miei genitori non mi ascoltavano, tutto era un po’ vago.

Questo disco ha rappresentato un momento importante per te.
Sì, vivo a New York da due anni e lì ho iniziato ad andare al centro LGBT e a sentirmi molto meno sola, soprattutto come bisessuale.
È da quando ho tredici anni che sento dentro di essere bisessuale cioè di interessarmi di donne di uomini e tutto nel mezzo, sia emotivamente, sessualmente, spiritualmente ma mi sentivo molto sola.
Per vent’anni mi sono sentita così, e quando sono andata a vivere a New York, iniziare a frequentare il centro LGBT mi ha dato coraggio per realizzare tutto questo e manifestare ai miei genitori, agli amici, orgogliosamente, quella cosa del pride.
Tutto questo l’ho legato al disco, in cui c’è per esempio un brano che dice come out, come out I wont love you less cioè fai il coming out e non ti amerò meno, e questo era in particolare riferito ai miei genitori: ho pensato che se io sono me stessa con loro possiamo capirci e amarci di più.

Potete interagire diversamente.
Esatto, approfondire ci permette di conoscerci meglio, in fondo questo disco è focalizzato molto sulla mia identità e sul conoscere me stessa meglio.
Penso spesso a me a tredici anni quando mi sentivo molto sola d è importante comunicare con i più giovani che si sentono o bisessuali o qualsiasi cosa che non sia eteronormativo, è importante dire loro che le strade sono tante e che tutto è valido.
C’è una frase che mi piace molto, you are not alone, you are not broken, you are not wrong, che è molto forte.

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Pic by Bianca Bourgeois http://biancabourgeois.com/

E invece il nuovo lavoro, WM, com’è nato?
Eh… bella domanda…. (Monique ride)

È molto legato ad Out Comes Woman ma contestualmente le tematiche sono ancora molto forti, fluide, incoraggiate evidentemente dal disco precedente. Si sente una botta di adrenalina e felicità, come se ci fosse stata una spinta ed ora ti sentissi più libera.
Sicuramente sì.
Diciamo che si sente già a partire dal nome del progetto, Honybird & the Monas; suono con due ragazzi del veneto e prima si scherzava su mona che io neanche sapevo cosa fosse, poi ho scoperto che la mona in dialetto veneto è la vagina e vuol dire deficiente. Questo mi ha fatto pensare e ho voluto aprire un dialogo su questo per valorizzare la donna, e non solo la mona.
Perché c’è molto sessismo, e invece trovo che ci sia un forte potere ancestrale dentro noi donne che è una cosa che viene sottovalutata, messa da parte come se non esistesse.
Ma io so che esiste e questo ep di quattro brani è legato al poter ancestrale della donna, al sacro femminile.
A Brooklyn faccio incontri con la Luna Piena anche per scoprire questa forza che abbiamo. Noi donne siamo più forti di quello che immaginiamo e non è solo questione di dirlo a parole, ma bisogna crederci, più ce lo comunichiamo e più rafforziamo questa cosa.
Il primo brano delle ep si chiama Sono Una Donna ed è il primo che scrivo in italiano e dice sono abbastanza, non ho bisogno di te, è una canzone sull’emancipazione femminile.

E sull’indipendenza. Siamo abituati ad appoggiarci sempre a qualcuno ed è difficile trovare l’istinto e lo spirito di stare da soli. La solitudine positiva del resto, è uno dei temi del disco, giusto?
La solitudine è un modo per conoscere se stessi.
In inglese si usa la parola women empowerment e non ha una traduzione che mi piaccia in italiano, però significa ritrovare quel potere dentro noi stesse.
Si potrebbe parlare di emancipazione femminile ma questo termine non indicare tanto l’emanciparsi quanto proprio il ritrovare se stessi. Questo disco è molto incentrato sul credere in se stessi.
L’ultimo brano, Under The Moonlight è dedicato alla luna piena e alla ciclicità della vita.
Sto da qualche mese seguendo il mio ciclo mestruale ed è una cosa che insegna, siamo legati alla ciclicità della vita, della luna, della terra, delle piante, tutto questo è estremamente connesso ed anche nei live cerco di riconoscere e parlare della ciclicità e della connessione cosmica che abbiamo tra noi donne ed essere umani, un concetto molto essenziale e carnale ma che esiste e sul quale sarebbe bene riflettere tutti.

C’è discriminazione della donna nel mondo della musica?
Hai vissuto a Roma, ma sei americana e ora sei tornata lì. C’è differenza nel modo di trattare la figura femminile nell’universo musicale in Italia ed in America?
Sicuramente una donna musicista in Italia è una sfida molto grande e questo perché purtroppo c’è un pregiudizio notevole legato secondo me alla Chiesa, alle crociate, all’inquisizione.

Abbiamo un retaggio culturale fortissimo.
Sì, del resto c’è il Vaticano, un concetto di peccato radicato molto forte. La donna che fa la musicista subisce un giudizio molto forte, ed ora che vivo da due anni a New York, lo vedo ancora di più.
In passato, come donna musicista non davo importanza alla mia femminilità, ero comunque me stessa, mi dicevo che nonimportava darci importanza, ero lo stesso forte.
E mettevo una corazza.
Non volevo essere vulnerabile.
Ed invece sto scoprendo che la vulnerabilità è proprio ciò che ci porta ad essere più forti.

Permette di raggiungere una consapevolezza maggiore di se stessi.
Per esempio ieri sono salita sul palco coi Tre Allegri Ragazzi Morti all’Alcatraz e c’erano tipo 1500 persone, era pienissimo, e loro cinque ragazzi lì con me.
In passato non avrei pensato al fatto che sono donna, ieri invece è stato come un orgoglio e mi son detta YEAH!, mi son messa il vestito con le paillettes e mi ripetevo, Andiamo donne! proprio portando alto quell’orgoglio di essere donna, diversamente da quanto facevo un tempo.
Quando avevo il trio con base a Roma eravamo due donne e un uomo e poche erano le band ad avere una donna come leader del gruppo.

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Eravate una novità?
Sì, una novità e parlarne mi ha dato forza.
Dobbiamo far sentire la voce e dare coraggio ai ragazzi, ripetere loro che possono farcela.
Non è da ignorare il giudizio, l’occhio critico dell’uomo, ma al contempo bisogna tenere la testa alta e dire sono io, sono qui, faccio questo e credo in me stessa.
A New York è diverso, penso che in generale per la donna ci sia più valorizzazione, un po’ penso al movimento femminista, alle suffragette, c’è forse da più tempo lì e si percepisce di più.
Ma ci sono anche più donne che hanno l’empowerment, quell’io sono io e questo è quello che faccio e vi invito ad ascoltarmi.
Anche legando tutto questo al movimento LGBT sento che lì c’è qualcosa di più, la chiarezza sull’identità o la femminilità o la bisessualità o qualsiasi altra cosa porta a maggiore ascolto.

In Italia, il femminismo è nato durante la guerra ma le donne per un lungo tempo lo hanno sottovalutato senza avere una consapevolezza di sé e di
ciò che possono essere, senza legarsi ad uno stereotipo, ad un modello preciso, storpiando spesso il concetto di femminismo in un’invettiva contro la figura maschile.
Ti stavo proprio per dire che i nostri adesivi dicono ama la tua vagina, a significare che valorizzare la donna non significa sottovalutare l’uomo ma far capire semplicemente che veniamo da una società matriarcale, che c’è la madre terra e che veniamo tutti dalla mona.
A volte negli incontri della Luna Piena diciamo che l’utero non è un posto in cui trattenere il dolore ma un posto dove far nascere possibilità di vita, idee, bellezza.
Ma del resto c’è una femminilità in ognuno di noi ed è bello invitare e aiutare l’uomo a capire la sua.

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Pic by Rebekah Waites http://www.rebekahwaites.com/

Sei di Los Angeles, ed a un certo punto sei venuta in Italia. Dove hai vissuto? Com’è stato questo cambiamento? Com’è stato essere straniera in Italia?
Ho avuto un’ottima esperienza di integrazione, Los Angeles è una città dalle grandi distanze mentre in Italia c’è questo calore umano, una forte prossimità, che io volevo profondamente conoscere, come questa società.
Al contempo però, quando sono arrivata qui è stato come se mi fossi allontanata dal mio essere statunitense. Sono riuscita presto ad avere la cittadinanza grazie a mio padre che è italiano: per me avere la carta d’identità, i documenti italiani, era fantastico, e il mio essere americana era come un peso ed ho preso le distanze.
Man mano ho imparato ad accettare me stessa, il mio lato statunitense, e sono più in pace con me stessa.

Hai trovato la tua dimensione, quindi?
Sì, ho trovato la mia dimensione e questa B è in tutto, non solo nel mio essere bisessuale.
Sicuramente per lo straniero in generale c’è un occhio diffidente.
C’è lo straniero che viene qui per fare arte e chi viene per esempio dalla Siria, da posti dove c’è guerra, ed io vedo forte discriminazione in Europa, verso chi viene dal sud.

Discriminazione nei confronti di chi ha bisogno.
Sì, di chi ha bisogno.
Personalmente rispetto tutti, e da sempre provo sentimenti di uguaglianza verso tutti.
È una cosa basilare per me.
La discriminazione in questi casi è dovuta ad una politica che cerca di dare la colpa a chi viene nel paese, ed io lo sento fortemente, la mia famiglia è scappata dall’Egitto perché siamo ebrei.

L’hai vissuta sulla tua pelle. È difficile quando sei in uno stato di bisogno da un posto spostarsi in un altro, integrarsi, creare qualcosa di nuovo e contestualmente accettare la propria diversità e farla accettare.
Questa discriminazione contro chi viene non per cercare il successo ma cose basilari come cibo, tetto, lavoro è un problema in Italia come negli Stati Uniti.
A questa discriminazione ci penso tanto ma è una cosa che al momento non affronto nel mio attivismo, è una cosa che va oltre le mie capacità di andare ad indagare.
Ma ci tengo, ci tengo tanto. Ho fatto brani in varie lingue, per esempio l’ebraico e l’arabo, cercando modi di comunicare con una vasta parte del pubblico.
È un tema molto ampio ed invito sempre tutti ad essere quanto più aperti possibile, a mettere in pratica quella cosa che si chiama ascoltare, che è alla base di tutto.
Lo sappiamo che è difficile ascoltare coloro coi quali abbiamo meno rapporti, coi quali ci capiamo meno.

Con i quali abbiamo meno somiglianza.
Sì, esatto. Quello che cerco di fare è sempre ascoltare l’altro chiunque esso sia e sto imparando molto.
Al centro LGBT che frequento, ci vado almeno una volta ogni due settimane, abbiamo anche un incontro che si chiama Bi Request che è dedicato la comunità bisessuale di New York e lì ci sono tante voci di persone diverse tra loro, c’è uno che è un veterano, uno è trans, una cattolica.
È un momento che rappresenta una comunità di persone e differenti situazioni. E questo mi apre molto ed imparo sempre di più ad ascoltare la voce degli altri: penso sia il punto di partenza per cercare di avere meno discriminazione e sessismo per tutti, per gli stranieri e per le persone che vengono in una nuova città o paese.

Ci salutiamo.
Il treno porta Monique a Rovereto, c’è un’altra tappa del tour italiano che la aspetta.
Settimana prossima sarà già nuovamente a Brooklyn.

 

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