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Coming out: istruzioni per l’ascolto
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Coming out: istruzioni per l’ascolto

Il coming out è un momento importante nella vita delle persone, non solo di quelle che lo fanno, ma anche di quelle che lo ascoltano. Spesso il coming out, quello in forma privata che coinvolge poche persone, sancisce la fiducia che esse ripongono l’una nell’altra e suggella l’intesa che le unisce.

Prima di “uscire dall’armadio” in pubblico, infatti, accade spesso che il coming out avvenga sotto forma di una confidenza intima con il proprio amico, con la propria compagna di banco, con un genitore, con un collega… Ma che succede se quell’amico, quella compagna, quel genitore, quel collega sono proprio io? Cosa posso fare per non disattendere le aspettative dell’altra persona e per non rovinare il momento? Vediamolo insieme.

1. Ringraziare

Come prima cosa è importante mostrare gratitudine. La persona che abbiamo di fronte ci ha offerto l’enorme privilegio di offrirsi a noi, di regalarci una parte di sé. L’apertura è un gesto nobile e raro che è nostro dovere apprezzare. Non importa quanti altri individui siano a conoscenza del suo orientamento sessuale o della sua identità di genere, non importa quanti altri coming out ci siano stati precedentemente. Quello che conta è che, qui e ora, noi siamo frutto di una scelta. Ringraziamo e mettiamoci all’ascolto.

2. Ascoltare

Ogni coming out è a sé. Non ce ne saranno mai due uguali e non esiste una guida universale su come accoglierlo. Per questo dobbiamo sempre prestare la nostra massima attenzione.

Non sappiamo quanto la persona abbia aspettato prima di aprirsi a noi, non sappiamo come si sia sentita fino a quel momento, non sappiamo quello che sta provando in quel preciso istante. Magari non sta sentendo niente di che e ci sta dicendo qualcosa che è tutto tranne che cruciale per la sua esistenza. Ma noi non possiamo saperlo e spetta a lei dircelo.

Dedichiamole tutta la nostra concentrazione. Attiviamo una modalità di ascolto che possa metterla a suo agio, che non le causi fretta, disagio, ansia o paura. È nostro dovere creare le condizioni affinché un dialogo possa non solo sussistere, ma fluire con semplicità.

Possiamo manifestare la nostra attenzione in molti modi: guardare negli occhi l’altra persona, non assumere atteggiamenti di chiusura come incrociare le braccia o fissarci i piedi, non stare al cellulare mentre ci parla, non alzarci e muoverci ripetutamente, non allontanarci, non sbadigliare o dare segni di noia e disinteresse. Primo tra tutti, però, vi è il silenzio. Non possiamo ascoltare tutto quello che una persona ha da dirci se continuiamo a distrarci, a interromperla, a parlare per lei, a giungere a conclusioni affrettate, o – peggio – a cambiare argomento. È il suo momento, non lo roviniamo.

3. Lasciare spazio

E siccome è il suo momento e non il nostro, non è questa l’occasione migliore per sciorinare i nostri pensieri in merito. Di qualunque natura essi siano.

Anche se il contenuto l’avevamo già intuito o sospettato, se ne eravamo già a conoscenza, se ne avevamo certezza, non è necessario puntualizzarlo: aspettiamo che ci venga chiesto, se ci viene chiesto. Anche se abbiamo una nostra opinione in merito o se ci eravamo già fatti un’idea a riguardo, non serve esprimerla a tutti i costi ora. Attendiamo piuttosto di essere interpellati.

Anche se siamo in balìa delle emozioni, se siamo commossi, entusiasti, sorpresi, turbati o spaventati, non lasciamoci travolgere da ciò che proviamo al punto da soffocare le emozioni altrui: diamo prima di tutto modo alla persona che ci sta parlando di esprimere le proprie sensazioni.

Anche se abbiamo mille domande da porle, anche se stiamo esplodendo di curiosità, anche se vogliamo sapere di più, facciamo in modo che prima finisca di parlare e di raccontarsi. Spesso per avere tutte le risposte da una persona non è necessario chiedere, ma solo darle la possibilità e il tempo di completare il suo discorso. La protagonista di questa storia è l’altra persona, non siamo noi. Non rubiamole la scena.

4. Fare un passo indietro

Non basta prestare ascolto e lasciare spazio. Creare uno spazio, lasciarlo a qualcuno per poi cacciarlo e rioccuparlo abusivamente non è il massimo che si possa fare. Non è la nostra vita e non è il nostro racconto: dobbiamo trovare un posto dove collocarci che non interferisca con la vita e con il racconto dell’altra persona.

Non posso diventare io la protagonista, se non lo sono. Nel coming out esistono solo due ruoli: c’è chi lo fa e c’è chi lo riceve. E quest’ultimo non può sostituirsi al primo dicendo cosa fare, come comportarsi, a chi dirlo, chi coinvolgere, come reagire.

L’egocentrismo e il paternalismo non sono modalità valide di risposta o di reazione. Il punto non è cosa pensiamo noi, cosa faremmo noi o cosa sarebbe meglio o più giusto fare secondo noi. Il punto qui è proprio ascoltare il pensiero, le intenzioni, la volontà, e i desideri dell’altra persona.

Dobbiamo cercare di comprendere il suo punto di vista, la sua prospettiva, la sua visione. Non dobbiamo guardare al suo posto. E, come spesso accade, se da dove siamo non vediamo nulla, forse è necessario fare un passo indietro.

5. Interagire

Fare un passo indietro però non vuol dire non poter avere alcun tipo di interazione con la persona che si è aperta con noi. Possiamo dimostrare la nostra vicinanza in diversi modi. Via libera alle manifestazioni di affetto (un abbraccio ad esempio è quasi sempre gradito) e a quelle di gioia (il sorriso difficilmente è una risposta sbagliata).

E poi sicuramente avremo voglia di sapere come sta, cosa pensa, se ha intenzione di dirlo a terzi, se l’ha già fatto, se è impegnata in qualche relazione… Insomma, con il rispetto che si dovrebbe avere nei confronti di chiunque e durante una qualunque confessione, è lecito dialogare di qualunque argomento. Non esistono tabù specifici.

Resta sempre inoppugnabile, non meno che in altri scambi, il diritto del nostro interlocutore di invitarci, con dolcezza variabile, a farci gli affari nostri.

Quello di cui però è sicuramente utile parlare è come la persona direttamente interessata vorrebbe che ci comportassimo ora che siamo stati resi partecipi della cosa. Insomma come possiamo, nella consapevolezza e nella condivisione, continuarla a rispettare.

6. Rispettare

Il coming out non finisce con il coming out. Il coming out è solo l’inizio. A prescindere dalle indicazioni che riceviamo in merito (e che possono variare di molto da individuo a individuo e anche nello stesso individuo nel corso del tempo) è buona norma avere sempre rispetto di un’informazione che non ci riguarda e di cui non disponiamo arbitrariamente.

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La nostra conoscenza, ad esempio, non ci autorizza a diffondere notizie sull’argomento all’insaputa della persona interessata o, peggio ancora, contro la sua volontà. Non serve a niente predisporsi all’ascolto durante il coming out, se poi mandiamo tutto a rotoli facendo outing.

Il rispetto, come sempre, non si dà una volta per tutte, ma si rinnova di volta in volta. Averlo provato ieri non basta: bisogna dimostrarlo anche oggi e coltivarlo domani. E l’unico modo per farlo è attraverso le azioni.

7. Agire

Fare come se niente fosse, come se non ci sia mai stato coming out è lesivo. Se l’altra persona ha voluto aprirsi con noi, forse vorrebbe una reazione da noi. O forse no. La noncuranza e la negazione però non sono sicuramente ciò che si aspetta o che si augura da noi: vanificherebbero tutti gli sforzi precedenti.

Questo non vuol dire che un coming out debba cambiare l’intero rapporto pre-esistente o che l’oggetto del coming out di cui siamo stati messi a conoscenza debba improvvisamente diventare l’unico tema da trattare. Dobbiamo però dimostrarci all’altezza della situazione. Fermo restando che in generale l’omofobia  ̶  come ogni altro tipo di discriminazione  ̶  non è mai un’opzione, è bene essere ulteriormente in allerta contro le diverse forme che essa può assumere. Se non ci eravamo mai schierati prima, è arrivato il momento di farlo. Se abbiamo sempre fatto finta di non sentire, ora è tempo di rispondere. Se abbiamo sempre spostato lo sguardo da un’altra parte, adesso è il momento di reagire.

E non perché chi fa coming out non sappia difendersi da sé, ma perché in futuro, in un futuro più giusto e a misura di essere umano, non ci siano più attacchi da cui doversi difendere.

8. Chiedere scusa

Avere paura di sbagliare è molto comune. A volte non ci si sente pronti, altre ci si sente bloccati per timore di dire o fare qualcosa di inopportuno. Ma non dobbiamo farci fermare dalla paura di commettere un errore. Perché è molto probabile che succederà. Siamo umani e sbagliare è nella nostra natura.

Quello che conta è impegnarsi per fare del nostro meglio, per offrire il meglio, per essere di meglio.

E, se falliamo, scusiamoci e riproviamoci.

Immagine di copertina: Sharon McCutcheon

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