Cantante e chitarrista, paragonata spesso a PJ Harvey, Anna Calvi ha pubblicato lo scorso 31 agosto “Hunter”, il suo terzo disco, un concept album con il quale l’artista inglese dalle origini italiane supera non solo i propri limiti ma anche quanto scritto e pubblicato in passato. Dieci tracce alle quali hanno collaborato Adrian Utley dei Portishead (alle tastiere) e Martyn Casey dei The Bad Seeds (al basso).
Si tratta di un disco viscerale, vulnerabile, queer e femminista, con il quale Anna Calvi va oltre il gender e gli stereotipi che ci vengono imposti, ed incoraggia a lasciarsi andare completamente, a cercare la libertà, a esplorare la propria sessualità, a identificarci in ciò che più ci aggrada senza restrizioni da parte della società. È un album che, come lei stessa ha dichiarato, è stato scritto per essere “primordiale e bellissimo, femminile e mascolino, vulnerabile e forte, essere il cacciatore, ma anche la preda”.
Ad annunciarlo è stato un singolo – “Don’t Beat The Girl Out Of My Boy” – composto pensando a come i bambini vengano condizionati a seguire i ruoli di genere sin dalla più tenera età, ed in particolare a quel processo doloroso imposto ai maschi di non piangere o mostrare emozioni.
Questa settimana sarà in Italia per tre date: oggi a Parma al Teatro Regio, domani a Torino all’Hiroshima Mon Amour e venerdì a Roma, al Largo Venue.
Prima di arrivare da noi, lo scorso weekend, ha risposto ad un pugno di domande, per raccontarci personalmente qualcosa di più sul suo ultimo lavoro.
Anna, sei contenta di “Hunter”? Con questo tuo nuovo disco esplori l’idea di non conformità in tema di genere e sessualità, un argomento certamente non facile né leggero.
Che messaggio desideravi passasse l’album?
Sì, sono felice di come sia venuto fuori.
Per me era davvero importante che il sentimento di questo disco fosse chiaro, volevo fosse un disco sulla liberazione. Volevo che fosse viscerale e crudo, e contrastarne la potenza con la vulnerabilità. Volevo esplorare l’idea di donna quale cacciatrice, ero stanca di vedere sempre le donne dipinte come braccate dagli uomini!
Quella in “Hunter” è invece la storia di una donna cacciatrice, che esce nel mondo e lo vede come suo, che esplora il suo piacere senza alcun senso di vergogna.
Con questo disco ho voluto cercare di andare oltre il genere, penso che siamo tutti un po’ limitati dal dover seguire il nostro genere.
Queerness e femminismo: cosa significano per te?
Il femminismo per me significa uguaglianza sociale ed economica per tutti, indipendentemente dal loro genere.
Mi piace la parola queerness perché è aperta, non richiede di limitarmi etichettando la mia sessualità per gli altri.
Come sei riuscita in questo disco a conciliare il tuo lato di artista intrattenitrice e il tuo occuparti di tematiche sociali?
Per me era molto importante che la musica di questo disco raccontasse una storia tanto quanto i testi.
Quindi la sua musica è galvanizzante e viscerale. Ho provato a scrivere linee melodiche che esemplificassero la sensazione di esplorare il piacere, in questo modo ho cercato di non essere troppo pesante.
Qual è la parte che più ti piace del tuo essere musicista?
Mi piace immaginare le mie canzoni come mini-film. Li vedo molto visivamente. Trovo quindi una grande soddisfazione nello scrivere musica che mi porta alla mente delle immagini. Un esempio di questo è “Swimming Pool“: ho provato a far suonare la chitarra come la luce riflessa sull’acqua.