Articolo di Natasha Vagnarelli
Essere o non essere, dice Shakespeare.
Essere o dover essere, dice Gabbani.
Cosa diavolo è il mammo, dico io.
Be’, ognuno ha i suoi dubbi.
Va bene, va bene, partiamo dal principio. Vi giuro che non sono impazzita, che non mi sono svegliata questa mattina chiedendomi il significato di questa parola. Tutto è iniziato qualche settimana fa quando, in radio, si parlava di Kate Middleton che, a quanto pare, si sarebbe recata da sola ad un evento lasciando il marito con i figli.
Già il fatto che questa cosa crei notizia è problematico, ma ci arriveremo dopo. La cosa che mi ha lasciato decisamente perplessa è stata l’utilizzo della parola “mammo” inserita in questa frase: “Kate Middleton ha lasciato il marito a fare il mammo”.
In un momento di sfacciataggine ho scritto su Whatsapp alla radio in questione: «Si dice papà, non mammo» e poi ho lasciato correre.
Da quel momento, però, nella mia testa si è attivato il sopito mammo detector e ogni qualvolta il mio udito carpiva quella parola, mi partiva la sensazione di pruito da puntura di zanzara.
Insomma, ho iniziato a rendermi conto del fatto che questa parola è utilizzata fin troppo, ed io non me ne ero mai accorta.
Cosa diavolo è il mammo, dunque?
Ho provato a immaginarmelo.
Il mammo è una figura mitologica al pari dei Centauri e delle Ninfe. Solo che è rinchiuso nel Tartaro. Chiuso molto bene, al punto che nemmeno l’allineamento dei pianeti come in Hercules potrebbero liberarlo.
Però, dopo questo poco risolutivo esercizio mentale, ho deciso finalmente di usare Internet. Ciò che ho trovato mi ha reso ancora più perplessa.
«L’immagine dell’uomo in carriera capace di essere anche un padre partecipe sta prendendo piede, come dimostrano le nuove politiche lavorative di aziende come Facebook o Change.org, che prevedono nei contratti generosi congedi parentali», riporta Il Fatto Quotidiano.
«Ma chi è e cosa fa il mammo? Il mammo è un uomo serio e affidabile, con uno spiccato senso della famiglia, che, pur senza rinunciare all’immagine sociale di maschio e di lavoratore, dopo la nascita dei figli dedica ad essi la quasi totalità del suo tempo extra-lavoro, dando presenza, affettività e gesti concreti che di solito sono di competenza femminile. Con la dedizione, la pazienza e la resistenza alla fatica tipici di una brava madre. Cucina quasi sempre lui – e bene! – accudisce i bambini, gioca tantissimo con loro, li consola, li incoraggia. Il mammo li veste, li cambia, spesso sa lavare, stendere e stirare, conosce i loro gusti, i rituali, le esigenze e si fa in quattro per soddisfarli, riuscendoci», sostiene Riza.
Ora, forse è a causa delle miei idee sociali, dell’educazione impartitami fin da piccola, e dei comportamenti nei miei confronti che hanno sempre avuto i miei genitori, ma dopo aver letto tutto questo ho pensato solo una cosa.
Il mammo è il papà. Il papà è il mammo. Questa è la definizione di padre.
Neanche di “buon padre”, perché per me questo dovrebbe essere il livello base di qualsiasi genitore di genere maschile. Per esempio, mio padre ha sempre passato con me il suo tempo extra-lavoro: mi ha lavata, vestita, coccolata, sostenuta e tutte quelle altre cose. Okay, lui non sapeva stirare, però ci siamo capiti.
Poi mi sono resa conto che forse non è il mammo ad essere una creatura mitologica, ma il papà.
Leggendo questi articoli, pare evidente che ciò che viene descritto non è la normalità, o che, peggio, questa non dovrebbe essere la normalità. Il padre dovrebbe lavorare, la madre accudire i figli. Il padre dovrebbe pensare solo ad autoaffermarsi, la madre dovrebbe pensare solo a far sì che si suoi figli si affermino.
E a me girano un po’ le ovaie a leggere queste cose, e non posso fare a meno di pensare a mio nonno, dopo il lavoro sempre seduto in sala a leggere senza mai prestarsi a una carezza o un complimento né alla moglie né ai figli, e a mia nonna, sempre in cucina e occuparsi delle faccende di casa.
Pensavo che questo comportamento da dopoguerra – letteralmente da dopoguerra – fosse condannato dalla maggior parte delle persone, ma a quanto pare no.
Se “fare il padre” non è “prendersi cura dei figli, della famiglia e della casa a metà con la madre”, cos’è un padre? Per descrivere un comportamento che, a mio avviso, dovrebbe essere naturale, è stato davvero necessario un neologismo?
Secondo questi articoli, e non solo, sembrerebbe che il padre sia semplicemente colui che cede lo spermatozoo necessario alla fecondazione, che fa funzionare la casa e che “porta a casa il pane”, ma che non ha un confronto effettivo con i figli; il padre che descrivono sembra essere una figura di supporto ma che sta dietro le quinte, una colonna portante, ma immobile e fredda.
Se poi, oltre ad essere invisibile, fa anche danni comportandosi come un dittatore nel suo piccolo mondo, allora è anche peggio.
Se è questo il “padre” che merita questa nome, io dico no. Una figura del genere è inutile e dannosa. E se aggiungiamo che gli stessi che dicono che il padre non dovrebbe essere un mammo sostengono anche che la figura paterna è essenziale, a me non resta che dire: mettetevi d’accordo.
Personalmente non penso che siano necessarie per forza due figure genitoriali, divise in una femminile ed una maschile, ma quando la figura maschile c’è, allora deve avere quelle caratteristiche proprie del “mammo”.
Quanto è brutta questa parola. Ne esiste già una, perché inventarne un’altra?
Prego tutti dal profondo del cuore: usate la parola “papà”.
Il papà non è una creatura mitologica, è qualcosa di concreto, di vero. Usate la parola papà e date ad essa il significato giusto. Cercate di far capire che accudire i figli da parte di un genitore di genere maschile non è qualcosa di inusuale o strano, né da lodare. È la cosa giusta.
Pensate a tutti i vantaggi che nascerebbero se ci fosse un’equa distribuzione della genitorialità sia a livello di rapporto con i figli, sia nella gestione della casa: se i genitori di genere maschile venissero considerati come dei padri nel vero senso della parola, e se anche le donne lavorassero e venissero retribuite al pari dei loro colleghi uomini, il vantaggio sarebbe ottimale per tutti. I padri avrebbero il loro congedo di paternità , orari più flessibili di lavoro, e sentirebbero in toto la genitorialità, non sarebbero più figure di supporto, ma primarie.
Facciamo tornare il “mammo” ad essere una figura mitologica. Mandiamo in disuso questa parola.
Bell’articolo, concordo ogni riga! Anch’io sono sempre stata allergica alla parola mammo per i tuoi stessi motivi!