Accanto agli usuali pronomi maschili e femminili, i cittadini tedeschi avranno, entro il 2018, la possibilità di registrarsi all’anagrafe con un terzo pronome, vale a dire “inter/divers”. Questo pronome potrà essere utilizzato da chiunque non si senta a proprio agio in uno dei generi binari o senta la necessità di identificarsi usando un’altra possibilità.
È stata questa la decisione della Corte Costituzionale Federale di Karlsruhe a favore di Vanja, una persona intersessuale.
Secondo lei, il precedente rifiuto a effettuare la modifica era stato una vera e propria violazione dei suoi diritti. Già dal 2013 era possibile in Germania non indicare il sesso del bambino alla nascita ma adesso sembra sia necessario un passo in avanti.
A questa decisione si sono uniti l’Istituto Tedesco per i Diritti Umani, la Società Tedesca per la Ricerca Sessuale e la Società Tedesca per la Psicologia. Contro questo provvedimento, invece, il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi e la Confederazione degli Impiegati Statali: questi ultimi sostengono che si tratti di uno sforzo burocratico e finanziario non necessario.
La Corte Costituzionale Federale ha tuttavia riconosciuto l’importanza dell’identità di genere e proclamato che la legge tedesca non protegge dalle discriminazioni di genere solo i cittadini che si riconoscono e si percepiscono maschi o femmine, ma anche tutti coloro i quali non rientrano in questo schema.
Chissà che col tempo il pronome non entri a far parte anche della lingua parlata.
Un altro caso è quello della Francia, dove da qualche mese il Manuel d’écriture inclusive (Manuale di scrittura inclusiva, ndt) pubblicato da Mots-Clés sta destando scalpore. In realtà si basa su un concetto molto semplice, ovvero cercare di eliminare nella scrittura espressioni come “diritti dell’uomo” e sostituirle con alternative più neutre come “diritti umani”. O ancora declinare al femminile i nomi di professione o utilizzare il cosiddetto point médian (“gli·le francesi”).
A causare lo scandalo è stata la risoluzione da parte della casa editrice Hatier di pubblicare un testo per bambini di terza elementare seguendo i dettami del Manuale. Tantissimi insegnanti si sono scagliati contro il metodo proposto dalla casa editrice poiché renderebbe difficile l’apprendimento della grammatica per i bambini.
Il filosofo Raphaël Enthoven ha addirittura parlato di un’aggressione dell’egualitarismo alla sintassi citando la neolingua del 1984 di Orwell e l’Accademia Francese, ancora più apocalittica, ha determinato un pericolo mortale per la lingua francese.
Sicuramente è ancora presto per determinare se questo tipo di scrittura si affermerà o meno.
L’inglese sembra aver già arginato l’ostacolo, utilizzando il pronome “they/them” (loro) al singolare quando si parla di qualcuno il cui genere non è quello maschile né femminile. Un altro escamotage è l’utilizzo della locuzione “he or she” in nome di una lingua meno sessista.
Sembrerebbe che gli anglofoni abbiano trovato una soluzione.
Un altro Paese che ha deciso di introdurre un terzo pronome neutro è la Svezia, utilizzando la lingua come mezzo di promozione dell’integrazione e di una maggiore parità di genere. Il dizionario ufficiale della lingua svedese ha già accolto il pronome personale neutro “hen” nel 2015, che si è andato ad affiancare ai già presenti “han” (lui) e “hon” (lei). Questo viene utilizzato correntemente per indicare persone transgender o semplicemente persone il cui genere è sconosciuto o non è necessario che venga specificato.
In realtà la parola era stata già coniata negli anni Sessanta in opposizione all’uso generalizzato e politicamente scorretto del pronome maschile, ma non aveva avuto chissà quale grande riscontro. Fu all’inizio degli anni Duemila che la piccola comunità transgender svedese cominciò a riutilizzarla e a riportarla in auge. Gli attivisti sperano che questa rivoluzione linguistica porti a una società che elimini i canoni tradizionali, superando persino la parità di genere per arrivare alla neutralità di genere.
In conclusione, questi accorgimenti linguistici sono utili alla profonda metamorfosi nella società? Sì, lo sono, eccome. Proprio perché sono riscontrabili all’interno della quotidianità e non sono relegati alle “sette” degli attivisti.
La lingua si rivela essere un ulteriore mezzo a nostra disposizione per essere agenti di cambiamento, e chissà che l’italiano non si accodi presto.