Articolo di Natasha Vagnarelli
L’immagine di copertina è di Salvatore Callerami
È da poco passata la prima edizione del Cartoomics 2017 e, da partecipante e cosplayer, non ho potuto fare a meno di scrivere un articolo proprio sul il cosplay, nello specifico, su un sottogenere del cosplay, conosciuto ma poco approfondito nella sua singolarità: il crossplay.
Premessa importante: parlerò del fenomeno in Italia, o comunque nei paesi occidentali con cultura simile alla nostra, perché per parlare del fenomeno del crossplay in Giappone servirebbe un articolo a parte, dato che lì le cose sono un tantino differenti.
Non è detto però che io non ne scriva in futuro.
Detto questo, dato che in queste prime righe ho introdotto fin troppe parole che potrebbero non essere chiare a tutti, è arrivato il momento di dare alcune definizioni.
Iniziando dal principio, che cos’è il Cartoomics: si tratta di una fiera del film, del fumetto e dei videogiochi, ed è una delle più importanti situate nella zona di Milano.
In fiere come questa, oltre per fare acquisti e partecipare ad eventi specifici, vi è la possibilità di poter dare libero scopo al cosplay.
Citando Wikipedia, il cosplay «è una parola macedonia formata dalla fusione delle parole inglesi “costume” (costume) e “play” (gioco o interpretazione) che indica la pratica di indossare un costume che rappresenti un personaggio riconoscibile in un determinato ambito e interpretarne il modo di agire».
Fare cosplay, e quindi essere un/una cosplayer, significa, per l’appunto, interpetare in determinati contesti – e le fiere sono i più noti ed importanti – personaggi di film, fumetti, cartoni animati o videogiochi.
Lo si può fare per vari motivi: l’amore per determinati personaggi; la voglia di “evadere” dalla noiosa realtà; il mostrare le proprie doti di sartoria, trucco e parrucco; partecipare alle gare, e quindi anche vincere premi. Molte persone hanno fatto del cosplay un vero e proprio lavoro, diventando ospiti delle suddette fiere e, per esempio, posando per servizi fotografici.
Immaginatevi, quindi, una sorta di carnevale ove i costumi non rappresentano le tradizionali maschere, ma personaggi di opere di fantasia, e in cui i partecipanti si divertono sia a mostrare la passione che hanno dedicato nel “portare alla vita” un determinato personaggio, sia ad interagire con altri cosplayer, ed apprezzare la loro passione.
Passiamo quindi al nocciolo della questione, ovvero il crossplay.
“Crossplay (parola macedonia formata dai termini “crossdressing” e “cosplay”) è una tipologia di cosplay in cui una persona si traveste da personaggio del sesso opposto.”
Sembrerebbe una derivazione immediata e molto semplice, ma posso assicurarvi che il crossplay non è un fenomeno così scontato.
Sebbene in primo luogo le persone tendano a travestire i panni dei personaggi che amano, tuttavia generalmente si ritiene importante anche tenere conto della fisicità del personaggio: si tende il più possibile, infatti, a cercare di interpretare personaggi il cui aspetto non sia troppo differente dal proprio, oppure che non sia troppo difficile da ricreare attraverso trucco e parrucco.
Ed è in questo semplice concetto che si nasconde il punto della questione.
Parliamo dunque del crossplay femminile.
Iniziamo subito dicendo che questo è il gruppo di crossplayer più numeroso: infatti, se dovessimo dare delle percentuali indicative, fondate sull’osservazione diretta in fiera e non basate su dati, si potrebbe affermare che 90% dei cosplayer siano donne e che un buon 50% di loro sia formato da crossplayer. Per cui pare che il fenomeno sia diffuso principalmente tra le donne, piuttosto che tra gli uomini.
È bene specificare che quasi tutte le crossplayer interpretano personaggi tratti da videogiochi soprattutto, ma anche fumetti e anime, ed è facile spiegare il perché. Ricordate quello che ho detto sulla fisicità? Bene, perché il punto è proprio questo.
Se conoscete anche solo vagamente le opere nipponiche, avrete sicuramente notato che, tranne alcune eccezioni (Ken il Guerriero, ad esempio), i personaggi maschili hanno dei lineamenti molto delicati e corporature snelle, identificabili quindi come “femminili”. È abbastanza facile, dunque, per le donne interpretare questi determinati personaggi fasciando adeguatamente il seno e affilando, magari tramite contouring, i lineamenti.
Difficilmente vedrete ragazze interpretare personaggi molto “mascolini”, anche se, ve lo assicuro, si può. Io stessa, in quest’ultima fiera, ho indossato i panni di Miguel, protagonista de La strada per El Dorado, con tanto di barba e sopracciglia esageratamente folte. Ero l’unica crossplayer barbuta, comunque, e tuttavia nessuno mi ha preso in giro, o cose simili.

Passiamo dunque al crossplay maschile.
Eh già, devo parlarne.
Il punto è che, praticamente, non esiste.
O meglio, vi è quel generico 10% che però si divide in un 2% di bravissimi crossplayer che hanno la capacità di trasformare il proprio volto in quello spiccicato di una principessa Disney, ma che in fiera non si vedono praticamente mai – o almeno, io non li ho mai visti – e nel restante 8% formato da Sailor Moon barbute e villose. E loro in fiera ci sono, anche parecchio.
Il motivo è altrettanto semplice: se, da una parte, sempre nelle opere nipponiche, i personaggi maschili hanno tratti femminili o comunque androgini, dall’altra i personaggi femminili sono, per il comune stereotipo, molto “femminili”: seno e fianchi pronunciati, labbra carnose e nasi molto delicati. Per cui posso capire che sia più complicato per i ragazzi ricreare quel determinato aspetto. Però.
Però. Ci sono due grandi “però”.
Il primo riguarda il fatto che esistono personaggi femminili dai tratti più mascolini (Integra da Hellsing o Zarya da Overwatch), e quindi più facilmente “indossabili”; il secondo è che non tutti gli uomini sulla Terra hanno mascellone, naso pronunciato e ottanta chili di muscoli. Esistono sono ragazzi con volti molto delicati, fisici esili e gambe per le quali metterei la firma.
Comunque, nonostante questi “però”, gli unici crossplayer uomini che vedrete nelle fiere saranno le solite guerriere Sailor barbute, in quella che è un’evidente parodia.
Il problema fondamentale sono i costrutti sociali che vengono esercitati su di noi tutti i giorni e che si riversano anche nelle fiere, ambiente che dovrebbe essere libero e giocoso.
Se è socialmente più accettata una donna vestita in modo mascolino o androgino, un uomo vestito in modo femminile, invece, per la maggior parte delle persone è considerato ridicolo.
Non importa quanto “stia bene” in quei panni, il problema è sempre che “un vero uomo non si veste da femminuccia”. La paura di subire atti di bullismo – prese in giro, etichettature non gradite e chi più ne ha più ne metta – colpisce anche l’ambito cosplay. Nessun ragazzo, anche se lo volesse, si vestirebbe da Sailor Moon, o da qualsiasi altra donna, se avesse paura che la sua virilità possa risentirne.
Ugualmente, anche se in modo molto minore, vi è quasi lo stesso tipo di timore da parte delle crossplayer donne, almeno secondo il mio punto di vista, dato che la scelta del personaggio ricade per la maggior parte tra quelli più “femminili”. Non so se si possa chiamare “attacco alla femminilità”, però è come se si sentissero quasi in dovere di sembrare belle per forza, non importa in che contesto, non importa che stiano, in un certo senso, giocando.
Ed ecco che i soliti schemi, che vedono nell’uomo un macho e nella donna un’effige di bellezza, restano in piedi anche nel profondo di un contesto leggero come quello di una fiera, che costituisce da sempre il fulcro del gioco e del travestitismo più spinto.
Credo che questi paletti dovrebbero essere abbattuti, a partire nei contesti più piccoli.
Se in un ambiente protetto come quello di una fiera, quindi, si iniziassero a vedere più uomini interpretare graziose fanciulle e più donne interpretare uomini villosi forse si potrebbe, pian piano, estendere il fenomeno anche alla vita di tutti i giorni – e, chissà, magari tra qualche anno una ragazza sarà libera di andare in giro con i peli sulle gambe senza che nessuno le dica niente, così come un ragazzo sarà libero di mettere l’eyeliner senza essere preso in giro.
Ognuno dovrebbe vestirsi come vuole perché lo vuole. E se si iniziasse dal crossplay, forse si potrebbe davvero fare qualcosa anche più in larga scala.
Complimenti veramente!