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Perché lo chiamiamo Patriarcato (e chi sono gli MRA)

Perché lo chiamiamo Patriarcato (e chi sono gli MRA)

Articolo di Pietro Balestra

Scrivo questo articolo perché nell’ultimo anno ho assistito a un fenomeno particolare: sempre più persone, sui social network, si stanno interessando alla parità di genere. Il che, da un lato, è molto positivo; dall’altro, nutro perplessità e timori sul come lo stiano facendo.
Concedetemi una digressione: se io ho scelto di frequentare Bossy, di scrivere per Bossy, e se lo stesso Bossy è stato nominato miglior sito LGBTQ ai MIA 2016, è perché questa è una community di persone che si battono per libertà e diritti delle persone. Non importa se a sentirsi offeso/a sia un uomo o una donna, omosessuale o eterosessuale; non importa se a offendere sia stato/a un uomo o una donna, omosessuale o eterosessuale: qui si è sempre pronti ad ascoltare e ad accogliere chiunque senta calpestata la propria dignità di essere umano.


Io, però, che sono un pessimista, vedo ancora Bossy come una voce fuori dal coro. Mi sembra, infatti, che, nella maggior parte degli individui, la tendenza generale sia ancora quella di scegliere di appartenere ad un gruppo sociale ristretto, e di vedere nell’“altro” il tiranno, la causa prima di ogni sofferenza, il nemico da battere. Non mi riferisco solo a gruppi di neofascisti o di cattolici omofobi (perché contro i cattolici non omofobi, sinceramente, non ho nulla da dire) che demonizzano gli immigrati e gli LGBTQIA+; ma anche alle femministe separatiste misandriche – di cui Irene Facheris ha già abbondantemente parlato qui, in un articolo, e in una puntata della sua rubrica Parità in Pillole – e dei più giovani MRA (Mens Rights Activists, Attivisti per i Diritti dell’Uomo), sui quali vorrei adesso focalizzare l’attenzione.

Chi sono gli MRA?
Come suggerisce l’acronimo, sono persone che vogliono abbattere gli stereotipi in cui è incastrato l’uomo eterosessuale cisgender, liberarlo quindi dalla schiavitù della virilità. Richiedono sia socialmente riconosciuta la violenza sessuale sugli uomini, sulla quale s’ironizza ancora troppo spesso, e che si prendano provvedimenti in merito; richiedono una legge sul divorzio che non sminuisca il ruolo del padre e che non costringa gli uomini a fare due lavori per poter pagare gli alimenti; richiedono che, accanto alla parola femminicidio, sia coniata quella di virilicidio (o maschicidio) per quegli uomini che si suicidano, non riuscendo a sopportare lo stress economico della separazione… Fin qui tutto bene, no? Sono storie che io mi sento di ascoltare e battaglie che io mi sento di supportare, affianco a quelle per i diritti delle donne e delle persone LGBTQIA+; perché gli uomini eterosessuali cisgender sono esseri umani, quindi sarebbe discriminante e immorale spostare in secondo piano i loro problemi.

Quel che è sbagliato è tradurre queste battaglie nei termini di Antifemminismo.
Visitando, nel WEB, pagine e blog tenuti da MRA, ho tristemente constatato che, insieme ad articoli d’informazione sui sopraccitati problemi, ci sono fin troppi attacchi al movimento femminista. Insomma, molti MRA hanno optato per la politica della “demonizzazione dell’altro” per stringere a sé i propri compagni; e questo “altro” sono le femministe, quelle che “odiano gli uomini e vogliono schiacciarli”. Ora, come ho anche poc’anzi ricordato, queste femministe esistono; ma non si può ridurre tutto il movimento femminista contemporaneo al separatismo e alla misandria: Bossy è una community femminista, nel senso che si batte per «la parità politica, economica e sociale tra i sessi»; è una community di persone per le persone e gli uomini sono più che benvenuti, con tutti i loro dubbi, problemi e dolori!
Eppure, quando mi sono presentato ad alcuni MRA come femminista, questi non hanno ascoltato le mie ragioni, non hanno voluto notare che siamo tutti per la parità: ho usato la parola con la “f”, sono stato cattivo, dovevo essere abbattuto…

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Perché essi provino tanto astio nei confronti del Femminismo, già l’ho spiegato (perché del Femminismo hanno scelto di vedere il lato più – concedetemi il termine poco democratico – marcio). Ma per “demonizzare l’altro” non si può semplicemente imputargli un comportamento distruttivo, bensì è importante anche capirne le cause prime, per poi estirparne le radici; perciò gli MRA hanno scelto di negare completamente i concetti di Patriarcato e Società Patriarcale.

Mi spiego meglio.
Le femministe separatiste provano rancore e rabbia nei confronti degli uomini perché essi hanno, all’alba dei tempi, organizzato la società a propria immagine e somiglianza, relegando le donne al ruolo di subordinate, mogli, madri e serve: la donna è ciò che, col matrimonio, passa dall’essere proprietà del padre a proprietà del marito. La lotta contro il Patriarcato si propone due scopi: dapprima abbattere lo stigma sociale che vede la “vera” donna come priva d’impulsi sessuali e incapace di lavorare fuori casa; dall’altro promuovere il diritto di ogni donna di sentirsi libera di e incentivata a fare da sé le proprie scelte sessuali, famigliari e lavorative.
Di contro, gli MRA coi quali ho discusso sostengono che il Patriarcato non sia mai esistito, che piuttosto uomini e donne primitivi si siano accordati per suddividersi i ruoli in un determinato modo (donne in casa, uomini fuori), che questo sia uno schema sociale repressivo tanto per le donne, quanto per gli uomini, e, in ultima istanza, che il Patriarcato sia quindi un’invenzione delle femministe per “conquistare il mondo”.
Ora, che le femministe separatiste sbaglino a dare la colpa a TUTTI gli uomini per uno schema sociale adottato migliaia di anni fa, è molto vero. Oltremodo sbagliato è però affermare che il Patriarcato non esista, ancor più che non sia mai esistito.
Ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), Friedrich Engels (1820 – 1895) spiega che, nelle società primitive dell’Età della Pietra, tra i sessi c’era uguaglianza e i compiti erano divisi di comune accordo: gli uomini fuori a caccia, le donne a prendersi cura della casa e delle provviste. Con l’avvento dell’Età del Ferro e della produzione (dal ferro sono derivati gli utensili, grazie ai quali è cominciata l’agricoltura), nella società ha fatto prepotentemente irruzione il bisogno di proprietà privata; gli uomini, mossi dalla brama di difendere il proprio patrimonio, hanno così messo in campo la propria superiorità fisica, schiavizzando altri uomini e sottomettendo le donne. Ciò è Patriarcato, da cui derivarono poi il matrimonio monogamico e la famiglia.
In Structures élémentaires de la parenté (1949, 1968), Claude Lévi-Strauss (1908 – 2009) sostiene invece che all’origine della società stia il tabù dell’incesto: gli esseri umani avevano bisogno di fondare società per sopravvivere, perciò era necessario unire più famiglie, perciò la scelta obbligata è stata quella di scambiarsi membri (le donne) attraverso il matrimonio. Lévi-Strauss fu a suo tempo accusato di antifemminismo; bisogna, però, considerare che il suo scopo non era esaltare questo sistema, bensì semplicemente descriverlo, in quanto esistente.
È possibile verificare quanto detto dai due autori, guardando alla filosofia antica.
Nel V secolo a.C., Platone aveva teorizzato uno stato governato da uomini E donne parimenti istruiti, perché era convinto che la superiorità del maschio non fosse naturale, ma dovuta alla maggiore educazione che gli spettava. Questo era un pensiero innovativo e spaventoso, perciò fu ignorato; e già Aristotele, discepolo di Platone, descrivendo l’uomo come animale dotato di lògos (ragione), si sentì in obbligo di specificare che donne e bambini ne erano invece privi, assomigliando più alle bestie che agli esseri umani.
Tra IV e V secolo d.C., Agostino d’Ippona analizzò il mito biblico della Creazione. L’uomo era stato creato due volte: prima dalla terra (il corpo), poi dal soffio di Dio (l’anima). Essendo la donna stata creata da una costola dell’uomo, era per Agostino una creatura ambigua, perché simile all’uomo, ma in realtà pura corporeità, priva di quel soffio divino che è l’anima.
Posto che ad Aristotele e Agostino io perdono anche il sessismo – sono pur sempre Aristotele e Agostino –, non è evidente che, se le donne avessero potuto partecipare al dibattito sulla ripartizione dei compiti tra i sessi, determinate teorie non sarebbero state formulate?
In conclusione, è sbagliato dire che il Patriarcato non esista o non sia mai esistito; ma è altrettanto sbagliato dare la colpa a tutti gli uomini di oggi per una dittatura imposta da pochi uomini potenti di migliaia di anni fa.
Il Patriarcato è soffocante tanto per le donne, quanto per gli uomini: se le donne sono sempre dovute essere quelle sullo sfondo, quelle caste e pure che si occupano della casa e dei figli, gli uomini sono sempre dovuti essere forti, insensibili e sessualmente insaziabili.


Si tratta, dunque, di uno schema che ingabbia entrambi i sessi, ma in ambiti differenti, e che talvolta impone stereotipi diametralmente opposti.
È giusto combatterlo, ed è giusto che a farlo siano donne E uomini insieme: se ognuno di noi vuole sentirsi libero di essere se stesso, non è forse più produttivo trattare l’“altro” come un alleato, piuttosto che come un nemico?

Bibliografia essenziale:
Aristotele, Etica Nicomachea;
Engels Friedrich, L’origine della famiglia, della proprietà e dello Stato (1884);
Lévi-Strauss Claude, Structures élémentaires de la parenté (1949, 1968);
Mitchell Juliet, Psicoanalisi e femminismo (1974);
Platone, Repubblica.
Devo il contributo su Agostino d’Ippona alle lezione di Storia della Filosofia Moderna, presso l’Università di Bologna.
View Comments (16)
  • Tutto quasi giusto, ma trovo della colpevole ignoranza, in questo articolo, quando si parla di separatismo. Esso è infatti uno strumento culturale e politico spesse volte vitale per le comunità oppresse che permette loro di conoscersi, discutere e poi rendersi attive senza lo sguardo sovratederminante di coloro che detengono il potere e che, nel mondo “normale”, azzerano le esperienze e opinioni di chiunque sia considerat* “minoranza” (anche nel caso delle donne, che minoranza non sono, nel mondo). Quindi donne, omosessuali, persone di colore sono ricors* e ricorrono tuttora al separatismo per autodefinirsi e autodeterminarsi senza essere zittit* dai gruppi dominanti che, quando non apertamente ostili, per il semplice fatto di esistere ed agire lo “sguardo del privilegio” non possono riconscere appieno le loro problematiche, il che, politicamente, può arrivare ad implicare che non riconoscono la loro esistenza (e mi riferisco sia alle problematiche, che ai gruppi oppressi che si riconoscono proprio perché queste problematiche le affrontano).
    Intorbidire le acque e mescolare separatismo femminista e misandria è un modo per promuovere tutta una serie di pregiudizi di cui, verosimilmente, l’autore dell’articolo è vittima. E’ necessario capire, prima di parlare di qualcosa. Avrei accettato una critica (ma solo se informata) su un eventuale uso sbagliato del separatismo, che pure si tratta di un’eccezione, mentre quello che esce dal post è solo errata informazione ed è un peccato, per un contenitore come bossy.it

    • Gentile Uddina,
      come può leggere dal mio profilo, sono laureando in Filosofia, la mia specializzazione è la Filosofia del Diritto: ho studiato la Disobbedienza Civile di Thoreau, la Tradizione Radicale Nera negli USA e la Storia dei Femminismi, con separatismi del Secondo Dopoguerra annessi – come può ben leggere nel mio articolo “5 episodi della Storia del Femminismo che tutt* dovrebbero conoscere”. Le assicuro, quindi, che capisco molto bene ciò di cui lei parla. La invito, però, a concentrarsi su due punti:
      1. Come teorico, io conosco i femminismi, le differenze, le contraddizioni… Ma come persona mi sono permesso di riflettere, esprimere dei giudizi di valore e fare una scelta ben precisa: schierarmi dalla parte del Femminismo intersezionale, che trova (come del resto trovo anch’io) superato il principio separatista. Lei ha diritto alle sue opinioni e alle sue scelte, come del resto gli MRA, ma ugualmente dovete rispettare le mie/le nostre;
      2. Sotto questo aspetto, la chiave di lettura del mio articolo si può trovare nel pensiero: «non si può ridurre tutto il movimento femminista contemporaneo al separatismo e alla misandria». Non si può ridurre. Separatismo E misandria – dove la congiunzione E non stabilisce nessun rapporto d’implicazione reciproca. Esiste, oggi, un Femminismo separatista senza misandria? Sicuramente, ma non è questo che gli MRA hanno scelto di vedere, quindi non è questo di cui avevo bisogno di parlare. Era necessario invece stabilire un rapporto tra separatismo misandrico (come scritto, da alcuni non-informati eletto a unico femminismo esistente) e il Femminismo contemporaneo tutto. La misandria è un caso eccezionale nel separatismo contemporaneo? Penso non spetti né a me né a lei stabilirlo, ma dobbiamo ammettere la sua esistenza e farci i conti.
      Credo la sua sia stata una lettura parzialmente faziosa del mio articolo – com’è stata quella degli MRA che mi hanno criticato, invece, l’altra parte dell’articolo – e non la biasimo per questo: anch’io mi muoverei allo stesso modo leggendo un articolo che nega il principio intersezionale. Ma se io scelgo di affrontare un argomento è perché ne ho le competenze (con tutta l’umiltà che queste possono solo che aumentare col tempo, perché non si è mai abbastanza preparati); poi, ovviamente, accanto a queste ho le mie opinioni (informate e ragionate) che vorrei fossero quanto meno rispettate. Se potessero essere anche ascoltate, se non addirittura accolte, tanto meglio, ma alla base di tutto quel che pretendo è il rispetto.

      Spero lei continui a seguire Bossy,
      un abbraccio

      Balestra Pietro

  • Sta assumendo che le teorie di Engels e Strauss siano in qualche modo corrette nello spiegare la nascita del patriarcato inteso come sistema di oppressione volto alla difesa della propietá privata. Si esclude, ad esempio, una differenziazione dei ruoli di genere non forzata e funzionale alla prosperitá stessa della famiglia/gruppo sociale nell’ambito della proprietá privata. Che la schiavitú sia una degenerazione della stessa é innegabile, ma ne erano vittime sia uomini che donne non appartenenti al gruppo/famiglia. E’ ragionevole piuttosto pensare che si sia giunti a un trade-off in qualche modo ottimale alle esigenze dell’epoca. Esigenze che si sono rilassate nel tempo senza un adeguamento sufficientemente rapido dei ruoli . Spostare il discorso della dialettica materialista al contesto familiare é alquanto discutibile perché é irrazionale che un oppressore sacrifichi il proprio benessere e la propria vita a favore e in difesa dell’oppresso come avverrebbe in un ambito puramente socioeconomico. Onestamente trovo tali teorie decisamente irrazionali e costruite ad hoc per legittimare la tesi che vogliono dimostrare.

    • Gentile Angelo,
      ho scritto questo articolo dopo aver avuto una discussione demoralizzante – cui ho fatto accenno – con dei facenti parte il movimento MRA. La conseguenza è stata, purtroppo, che ho dedicato più spazio a definire suddetto movimento, piuttosto che a giustificare le mie fonti e di questo mi pento – a ogni modo, sono tutti argomenti che sto trattando più approfonditamente nella mia tesi di laurea in Filosofia del Diritto, che spero di riuscire a rendere pubblica e diffondere per chiunque sia interessato a un testo più specialistico su questi contenuti, anche sui due autori chiamati in causa.
      Per ora, ci tengo a spiegare che quel che ho trovato interessante è che Mitchell citi parallelamente due autori molto diversi, opposti sotto molti aspetti: fortemente politicizzato e fonte d’ispirazione per il Femminismo socialista Engels; apolitico, interessato all’aspetto analitico e linguistico della questione Lévi-Strauss. Non parto dall’assunto che le loro teorie siano (completamente) corrette, ma è importante notare come in due autori tanto diversi si possa trovare un minimo comune denominatore: l’origine del Patriarcato.
      Per quanto riguarda la divisione funzionale dei ruoli, ripeto che essa non è né può essere stata neutrale, e a tal proposito invito a rileggere Aristotele. Non è citato a caso, non è uno tra i tanti filosofi, ma il Filosofo sul quale si è fondato tutto il pensiero occidentale pre-moderno: i suoi scritti sull’inferiorità naturale della donna hanno avuto un ruolo decisivo nella fondazione della famiglia patriarcale-cristiana. La Modernità avrebbe dovuto rivedere i ruoli di genere, nell’ottica della nuova società liberale fondata con le due grandi rivoluzioni del Settecento (americana e francese), ma d’altro canto tenere la donna in una posizione d’inferiorità era economicamente vantaggioso, perciò biologia e scienze sociali hanno tradotto in termini scientifici (anche qui, non in modo neutrale) quanto detto da Aristotele. Ho scritto molto sull’argomento sempre nella mia tesi di laurea; nel frattempo, consiglio la lettura di Will Kymlicka, “Filosofia politica contemporanea”, cap. VI “I femminismi”.

      Grazie del suo commento,
      Pietro Balestra

      • Solo due osservazioni: nessuno nega, meno gli MRA che in a partire dalla divisione funzionale dei ruoli non si siano generate e sviluppate teorie in cui la donna non sia stata discriminata e relegata a certi ruoli sociali. D’altra parte ciò non significa che non sia accaduto lo stesso per gli uomini e che tutto ciò sia stato unicamente a vantaggio del genere maschile. In questo mi sembra pure che siamo d’accordo. Il problema è puramente linguistico: l’attribuzione del termine patriarcato ad una configurazione sociolale in cui anche gli uomini sono vittime (in molti aspetti in modo anche più severo delle donne) degli stereotipi di genere porta secondo me ad uno squilibrio sostanziale che degenera nella visione più radicale del femminismo. Chiamandolo patriarcato è facile attribuirr colpe al “patrarca”, tutto il male del mondo deriva dal padre/uomo e si finisce nel dare due pesi e due misure in tutta l’attività politica finalizzata ad ottenere la tanto agognata parità. È ovvio che in questo modo non si potrà mai raggiungere l’obiettivo.

  • “Ora, che le femministe separatiste sbaglino a dare la colpa a TUTTI gli uomini per uno schema sociale adottato migliaia di anni fa, è molto vero.”
    Veramente questa frase, per citarne una soltanto, indipendentemente dagli studi, master e specializazioni, è esattamente il misciotto ignorante a cui facevo riferimento. Perché quello che dice è che le femministe separatiste TUTTE danno la colpa ecc…ecc…senza distinzioni sull’uso del separatismo o sulle ragioni di tale scelta.
    E, grande sorpresa, parlo da femminista intersezionale che, come tale, riconosce il ruolo fondamentale del separatismo proprio per evitare che il femminismo venga appiattito sul cis-white-rich-western-politically correct.
    Quindi credo che la sua sia stata una lettura parzialmente faziosa del mio commento o, appunto, causata dall’ignoranza delle basi di ciò di cui stiamo parlando. E tutto questo senza chiedere la censura di quello che lei crede dopo i suoi ragionamenti (quindi, sì, sorpresa numero 2: per ascoltare, si ascoltano tutt*), ma facendoglielo “democraticamente” notare, soprattutto quando le opinioni espresse puntano di nuovo verso la promozione di stereotipi dannosi contro cui questo sito dice di lottare.

  • Pietro, purtroppo non posso essere completamente d’accordo col tuo articolo. Ci sono dei punti che ritengo fondamentali e che non possono essere trascurati parlando di questi argomenti.
    1) “femministe separatiste misandriche”: ci sono due errori, credo, in queste tre parole. Il separatismo è uno strumento, non una etichetta: anche il mio gruppo maschile antisessista l’ha usato e lo usa, quando necessario, come strumento politico. Il separatismo come tale è una prassi politica, e non esistono, come tali, le “femministe separatiste”. Esistono femministe che decidono di usare il separatismo, in certi momenti, a volte molto spesso. Se esistessero davvero “separatiste” in quanto tali, tu non ne sapresti nemmeno l’esistenza, visto che in quanto uomo ti sarebbe impossibile pure saperne qualcosa. In quanto poi alla parola “misandria”, è un’invenzione linguistica recente adottata dagli MRA per strumentalizzare uno dei loro “errori” (usato in malafede) più evidenti, e cioè pensare le questioni di genere come simmetriche. Il patriarcato mette in una gerarchia precisa il potere sociale: la misandria non è il corrispettivo simmetrico della misoginia, perché non esiste una gerarchia sociale nella quale gli uomini sono disprezzati “in quanto uomini”. Questo è il sogno proibito degli MRA, che rimarrà tale perché la realtà è altra. Che esistano femministe stronze è fuor di dubbio, ma che gli si possa appioppare etichette inventate da un potere maschilista (perché “misandria” è una parola maschilista) ce ne corre.
    2) “Fin qui tutto bene, no?” No. La “la violenza sessuale sugli uomini” è socialmente riconosciuta da parecchio, am siccome ne hanno parlato perlopiù femministe, a loro non sta bene QUESTO riconoscimento. E so’ problemi loro. perché per legge i provvedimenti si possono prendere, ma il problema è culturale e a loro non sta bene che ci abbiano già pensato tanti femminismi; la “legge sul divorzio” è già paritaria – basta chiederlo a chi se ne occupa e non è “schierato” -, se i giudici si comportano in maniera patriarcale chiedendo a loro di “fare gli uomini” e continuare con gli alimenti… vedi sopra; non potrà mai esistere il “virilicidio” (o altre scemenze simili) per i motivi detti in 1): i problemi di genere non sono simmetrici. Chi si suicida perché non sostiene il peso economico della separazione è una vittima del patriarcato, perché “tu lavorerai col sudore della fronte e tu partorirai con gran dolore” non l’ha detto nessun femminismo. Se a questi geni degli MRA non piace questa situazione, lavorassero insieme ai femminismi, perché chi combatte l’origine dei mali che lamentano sono i femminismi. E le vittime del patriarcato un nome già ce l’hanno – problemi loro se non vogliono accettarlo.
    Da un collega filosofo, con stima.

    • …Ed è un’ottima risposta (a mio parere, ovvio).

      Ad es.:

      “Come dice Karen Straughan nel documentario “The Red Pill”:
      “L’onnipotente, onnipresente Patriarcato, la forza invisibile che dirige tutte le nostre vite, giusto?
      E causa tutte le oppressioni e tutte le sofferenze, giusto? Il nostro diavolo.
      E la bella, meravigliosa forza per la giustizia… il Femminismo, la Via. E’ la Via!
      Sembra una religione. Sembra proprio una religione.
      E, oh mio Dio, per essere un movimento che è solo per l’uguaglianza e che non vuole colpevolizzare gli uomini, hanno chiamato la forza del male come gli uomini e la forza della giustizia come le donne, e per essere un movimento che è molto molto molto attento alle implicazioni del linguaggio, così attento che se chiami un pompiere (firefighter) “fireman” scoraggerai le ragazzine ad aspirare a diventare pompiere, e a volte scoraggerai le donne cresciute ad aspirare a essere pompiere chiamandole “firemen”… ma possiamo chiamare la forza di tutte le oppressioni, la chiamiamo essenzialmente “uomini”, “patriarcato”, e possiamo chiamare la forza del bene e della giustizia “donne” (“femminismo”), e questo tipo di linguaggio, questo non ha implicazioni. Non stiamo colpevolizzando gli uomini, no, abbiamo solo chiamato tutto ciò che è male come loro…”

  • Tratto dalla risposta su Antisessismo già linkata nel commento precedente:

    Quando l’antropologia parla di Patriarcato fa riferimento all’autorità formale che l’uomo aveva, non al potere, che poteva essere o non essere ufficialmente riconosciuto. Mentre il potere dell’uomo era riconosciuto formalmente, quello della donna esisteva comunque anche se non era formalmente esplicitato.
    Il Femminismo ha ripreso la visione antropologica del Patriarcato, estendendola però non solo all’autorità formale, come sarebbe stato lecito, ma a tutto il potere. E’ qui lo sbaglio del Femminismo: confonde autorità e potere.
    Ma qual è la differenza?
    Secondo l’antropologa Susan Carol Rogers, vi è una netta distinzione tra autorità e potere. La prima implica la legittimazione politica, ma non sempre ad essa segue un potere reale.
    “L’assunto di una dominanza maschile universale, che deriva da bias epistemologici in antropologia, viene smentito dalle prove che mostrano che le donne hanno un considerevole potere nel contesto della famiglia e della comunità contadine.”

  • Lorenzo Gasparrini, “In quanto poi alla parola “misandria”, è un’invenzione linguistica recente adottata dagli MRA”, “la misandria non è il corrispettivo simmetrico della misoginia”.

    A me pare che i termini in questioni si riferiscano a sentimenti/comportamenti, senza contestualizzazioni socio-culturali. Che un’intera società possa essere misogina non implica che il termine si debba riferire al comportamento della società. Semplice logica.

    Wikipedida: “Il termine misoginia (dal greco μισέω misèō, “odiare” e γυνή gynḕ, “donna”) indica un sentimento e un conseguente atteggiamento d’odio o avversione nei confronti delle donne, perpetrato indifferentemente da parte di uomini o altre donne.
    In ragione di questa specifica delimitazione della categoria umana oggetto di avversione si distingue dalla misantropia e costituisce il concetto speculare e contrapposto della misandria.”

    Treccani:
    misoginia: Atteggiamento di avversione generica per le donne, o di repulsione, da parte dell’uomo, verso i rapporti sessuali con donne.
    misandria: Avversione morbosa per il sesso maschile.

  • Poi ti chiedi perché le femministe sono separatiste. Basta vedere cosa ha scatenato questo articolo: si è tramutato in un covo di mra che difendono le loro idee misogine, false, tendenziose!
    Condivido l’articolo, soprattutto nel fatto che se sono quelli i problemi, se la dovrebbero prendere col patriarcato e non con le femministe, che non sono certo loro la causa dei loro problemi.
    Però non concordo col fatto che il femminismo si dovrebbe occupare anche dei loro problemi, il femminismo si occupa di donne perché sono loro quelle storicamente discriminate, esattamente come i movimenti antirazzisti si occuperanno dei neri e non dei bianchi, visto che non siamo certo noi bianchi quello discriminati, o no? Eppure non sento nessun bianco che si lamenta di non essere incluso nei movimenti neri, invece noi donne dovremo parlare degli uomini, invece che di noi. Ma fatevi il vostro movimento (che peraltro c’è già) e non rompete le pa+++ alle altre. Ma che pretese! E in questo non condivido neppure l’altro articolo che hai elencato: essere separatiste non significa essere misandriche. (Appoggio totalmente il commento di Lorenzo) Ma ci rendiamo conto? Noi donne non siamo neppure libere nel nostro movimento di parlare solo di noi, pure qui dobbiamo chiedere permesso agli uomini e parlare dei loro problemi! MA ci siete o ci fate? Io non chiedo di partecipare ai raduni dei maschi infrarossi, se vogliono parlare dei loro problemi, saranno affari loro, mica mi offendo! Non vedo perché gli uomini pretendano di venire nei nostri movimenti a fare i protagonisti. Se vogliono esserci alleati e difendere il femminismo, ben vengano, ma se vogliono parlare dei loro problemi che si facciano un movimento loro!
    Altro che consenso maschile, basterebbe che convincessimo solo le donne e saremmo già la maggioranza della popolazione!

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