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Contro ogni narrazione tossica e distorta: lettera aperta all’Ordine dei Giornalisti
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Contro ogni narrazione tossica e distorta: lettera aperta all’Ordine dei Giornalisti

Questa lettera aperta nasce come risposta all’ennesimo caso di cronaca che ha visto i media fornire una rappresentazione non solo errata, ma anche dannosa, di un femminicidio e un’aggressione a sfondo transfobico avvenuto nel nostro Paese l’11 settembre 2020. La morte di Maria Paola Gaglione e l’aggressione al suo compagno Ciro è purtroppo solamente l’ultimo in ordine di tempo di una lunga serie di episodi violenti che sono stati narrati dalla stampa in modo scorretto e pericoloso.

Non vogliamo strumentalizzare il dolore delle persone coinvolte in questo specifico caso di cronaca, ma con questa lettera chiediamo all’Ordine dei Giornalisti una presa di responsabilità deontologica nei confronti della narrazione tossica che la maggior parte dei mezzi di informazione in Italia fa della violenza sessista, omofoba, transfobica. Narrazione tossica che inizia con il rifiuto di chiamare queste manifestazioni d’odio con il loro nome, atto necessario a esporne prima e contrastarne poi la radice patriarcale ed eterocisnormativa; e che viene aggravata da una preoccupante ignoranza sulle tematiche trattate. Riteniamo ad esempio che nel 2020 sia inammissibile che giornalisti professionisti non usino i pronomi corretti per riferirsi a una persona transgender o che ne rendano noto il dead name.

Allo stesso modo è inaccettabile leggere di femminicidi descritti come “raptus” o “delitti passionali”, stupri dipinti come “bravate”, violenze e uccisioni a matrice omolesbobitransfobica come “tragedie in famiglia”; ma anche aggressioni a sfondo razziale raccontati come “goliardate”. Tali narrazioni tossiche non fanno altro che alimentare la cultura d’odio in cui viviamo e creare le condizioni socio-culturali adatte al proliferare della violenza. Questi fatti di cronaca non sono casi isolati e non accadono per colpa di alcune “mele marce” o di “raptus”. Non sono neppure “emergenze” prive di contesto: sono la punta dell’iceberg di un problema culturale sistemico di cui i mezzi di informazione hanno il dovere di fornire una narrazione corretta.

Crediamo che i media abbiano la responsabilità di educarsi ed educare all’utilizzo di un linguaggio appropriato: le parole, infatti, hanno il potere di plasmare la percezione del mondo in cui viviamo. Per questo motivo, chiediamo all’Ordine dei Giornalisti – e a tutte le redazioni – di farsi carico della responsabilità che deriva dal ruolo sociale e professionale di giornalista e di rendere prioritaria la formazione su tematiche di genere, comunità LGBTQ+, razzismo, abilismo. L’acquisizione di competenze in questi ambiti da parte di chi racconta la realtà è un primo passo essenziale per contrastare il clima d’odio in cui viviamo.

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Riteniamo che tale intervento sia necessario per garantire lo svolgimento della professione giornalistica nel rispetto dell’Articolo 9 delle Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, secondo cui “Nell’esercitare il diritto-dovere di cronaca, il giornalista è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali”.

Artwork di Chiara Reggiani
Con immagine di: AbsolutVision su Unsplash.

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