Articolo di Alice Picco
“Noi trattiamo con molta più cura le nostre capre e i nostri bufali, rispetto a come loro trattano i pazienti”.
Questa è l’opinione comune di molte donne del villaggio di Santhal al Birbhum, situato nella regione orientale dell’India, riguardo al trattamento che le partorienti subiscono una volta giunte negli ospedali pubblici. Queste donne sono consapevoli dei rischi che comporta il parto in casa, senza nessuna assistenza medica, tuttavia preferiscono non andare in ospedale. Il perché si potrebbe facilmente riassumere con un’altra citazione, questa volta di un giovane medico che in un ospedale pubblico ci lavora: “Tutti i miei compagni del corso hanno preso a schiaffi le pazienti. È quasi un rito di passaggio”.
Già, è a dir poco allucinante: sono i medici stessi, quelli che dovrebbero incoraggiare e sostenere e ovviamente aiutare le donne a partorire, che deridono, scherniscono e picchiano.
Non solo questi dottori si permettono di comportarsi in un modo che definire becero è decisamente eufemistico, ma sono anche in un qualche modo protetti dallo Stato. È infatti del 2005 l’introduzione da parte del governo indiano di un programma che prevede un compenso economico per le donne che decidono di partorire in ospedale, programma che a prima vista sembrerebbe piuttosto intelligente. A prima vista, appunto. Scavando meglio si scopre che il governo indiano compie sì delle ricerche all’interno degli ospedali, ma solamente per quanto riguarda il livello di igiene e le infrastrutture, senza curarsi minimamente del comportamento del personale e del rapporto medico-paziente.
Certo, il tasso di mortalità è sceso di molto, questo è un dato importante. Ma chi si occupa delle donne? Chi si ferma un attimo a pensare a quello che queste donne, già in condizioni critiche, subiscono all’interno di una struttura che dovrebbe farle sentire al sicuro e invece le maltratta? Chi si cura della salute anche psicologica di queste donne? Non certo il solerte governo indiano.