Maru è Maria Barucco, è siracusana, ha studiato liuteria a Cremona e vive a Bologna.
Nel 2012 ha pubblicato il suo primo disco; il 23 novembre scorso, per Bravo Dischi, è uscito invece il suo secondo lavoro di studio, Zero Glitter, nato interamente voce e ukulele.
Schietta e disincantata, nelle otto tracce alterna con ironia atmosfere leggere a momenti di riflessione, senza mai perdere il filo conduttore dell’album, ossia l’importanza di convivere con se stessi, nonostante i propri difetti e fallimenti. L’importanza di accettarsi per quello che si è, senza nascondersi dietro ai glitter.
Del suo background musicale, del suo percorso e del nuovo disco – oltre che dei progetti futuri – ci ha raccontato direttamente lei, Maria.
Ciao Maria, come prima domanda ti chiedo se puoi darci una panoramica su di te: quando ti sei avvicinata alla musica? Quando hai deciso – se di decidere poi si tratta – che la musica sarebbe diventata il tuo lavoro? Quali sono stati gli step più importanti del tuo percorso artistico?
Ciao Valeria, molto piacere! Come hai in parte detto tu, non è stata una vera e propria decisione, almeno non all’inizio. Sono cresciuta in una casa piena zeppa di strumenti musicali e di dischi. Sia mamma che papà suonavano e, in particolare, mio padre suonava ogni sera la sua Gibson (una Diavoletto). Era uno strumento che gli invidiavo molto, quindi ho deciso che mi sarebbe piaciuto suonare proprio la chitarra elettrica. Ho cominciato da autodidatta e sul punk rock (Blink 182, The Offspring, Yellowcard). Ero a Cremona quando ho scoperto l’ukulele e ho cominciato a scrivere, dando vita a una prima raccolta di canzoni e poi a questo disco. Diciamo che sto cominciando solo adesso a credere che questo possa diventare il mio lavoro.
Zero Glitter, il tuo secondo disco, è uscito lo scorso 23 novembre, a ormai più di un mese di distanza: sei soddisfatta del lavoro? Quali sono state le reazioni del pubblico? Con chi hai collaborato per realizzarlo? Ti occupi interamente tu anche degli arrangiamenti oltre che dei testi?
Sono felice di questo disco perché rappresenta la mia crescita artistica e personale. Finalmente riesco a prendermi sul serio. Ho scritto alcuni dei testi tre o quattro anni fa, ma sono felice di averli lasciati maturare un po’ di più e sono ancora più felice che siano piaciuti a Fabio Grande, il produttore del mio disco. Quando sono arrivata in studio, questi brani erano arrangiati solo con l’ukulele o la chitarra. Fabio ci ha visto qualcosa in più e grazie ai suoi arrangiamenti riesco a identificarmi in un genere musicale, cosa che prima riuscivo difficilmente a fare. Per quanto riguarda il pubblico, dipende. Il cambiamento dal vecchio disco a questo è stato netto e inaspettato: ammetto che ci sono alcuni nostalgici che ancora non sono riuscita a convincere, ma ho ricevuto davvero tanti feedback positivi. Specialmente qualche giorno fa, quando c’è stato il primo live a Prato.
Quali sono i musicisti le cui liriche ami maggiormente? Perché? Ci dai un paio di titoli di canzoni le cui liriche reputi spaziali?
Ti dirò che nella mia vita non ho mai ascoltato troppa musica italiana. I dischi a cui mi sono legata di più negli ultimi tempi sono di band come i Phoenix, MGMT o altre che ascoltavo anni fa come gli Strokes ma, se mi parli di testi, ammetto che quando ho cominciato a scrivere in italiano ho capito che non è una lingua semplice e che sono pochi gli artisti italiani il cui modo di scrivere mi piace veramente. Ad esempio ammiro molto Daniele Silvestri, per la sua ironia e per il modo che ha di giocare con le parole (Le cose in comune per me è un pezzo gigante o anche Gino e l’Alfetta, un brano che parla del tema della sessualità ma in modo divertente). Ho amato anche cose più recenti, ad esempio l’ultimo disco di Maria Antonietta e in particolar modo il singolo Pesci.
Le tue canzoni alternano con estrema ironia momenti di leggerezza ad argomenti più pesanti, importanti, che fanno riflettere, quali la violenza, l’accettazione di sé, l’amore per persone dello stesso sesso, la libertà di essere. È sempre stato così facile, passami il temine, affrontare queste tematiche? Qual è stata l’evoluzione del tuo modo di approcciarti alla scrittura, ai testi, da quando hai iniziato a scrivere di musica ad oggi? Quanto è importante, per un artista parlare al pubblico, con o senza riferimento alle proprie esperienze personali, lasciare un messaggio all’ascoltatore, provare a educarlo?
Non direi che è stato facile, è stato naturale. Ho scritto molti dei testi che hai ascoltato per me stessa, non pensando potessero essere ascoltati da altri e credo sia molto più difficile mentire a se stessi che dirsi la verità durante il processo di scrittura. Scrivo di donne perché me ne innamoro, mi sembrerebbe assurdo “filtrare” le mie parole per rendere l’ascolto più… Non saprei, semplice? Per chi, poi? Sono felice che da questa naturalezza sia nato un messaggio e sono felice che molte persone, molte ragazze, si identifichino in ciò che ascoltano. Dal vecchio disco a quello nuovo, credo di aver capito che scrivere sia una grossa responsabilità e una grossa occasione. Chi vuole ascoltare è sempre alla ricerca di qualcosa, vale sempre la pena lasciare un messaggio.
Che le donne siano trattate spesso come elementi di serie B nel mercato musicale, lo sappiamo e ne abbiamo avuto recentemente esempi concreti che hanno portato alla ribalta la tematica. Quando oltre a essere donna non si è eterosessuali, aumentano ulteriormente le criticità che bisogna affrontare? Hai mai vissuto situazioni che ti hanno fatta sentire “di serie B”? Sei stata mai discriminata?
Ammetto di essere stata particolarmente fortunata e di non aver mai incontrato qualcuno dell’ambiente musicale che mi abbia fatto sentire “di serie B”, almeno non a causa della mia sessualità. Giusto una volta mi è capitato di essere stata definita “poco vendibile” per questo, ma non ne faccio un grosso dramma, è semplicemente molto triste. Di gran lunga più importante mi è sembrato il caso di CRLN per l’apertura di Gemitaiz, per esempio, che mi fa capire che non solo la propria identità come artista ma anche il proprio pubblico va educato. Per non parlare del caso sollevato da Federico Fiumani qualche mese fa. Tendiamo a sentirci al sicuro nell’ambiente dell’indie italiano perché lo reputiamo un ambiente intelligente e di cultura, ma bisogna fare ancora molta strada. Diverse realtà affrontano questi temi, una di queste è l’Indie Pride in cui mi identifico parecchio. Sono felice di far parte della famiglia di Bravo Dischi che quest’anno ha deciso di puntare proprio su artiste donne.
Quali sono i sogni che vorresti realizzare nel 2019? Quali invece gli impegni già segnati in agenda?
Mi piacerebbe finalmente cominciare a fare della musica – e in particolare della scrittura – un lavoro. E poi suonare, farmi conoscere, portare in giro il disco insieme alla band. Vorrei anche non essere costantemente ammalata, se fosse possibile. Sto aspettando con ansia le date del tour: inizieremo da casa, ovvero Bologna, il 24 Gennaio, poi andiamo a Torino, a Milano, a Padova e Roma, ma spero che arrivino presto altri appuntamenti.
Vorrei chiudere ricollegandomi a uno dei temi che tocchi nel disco, il coming out. Che consiglio ti senti di voler dare a chi ha paura di mostrarsi per ciò che è realmente, a chi ha paura di abbandonare glitter e maschere per essere se stesso e non riesce a essere libero?
Fallo per te, non per qualcun altro. Con i tuoi tempi, a modo tuo. Fallo per cominciare a essere davvero chi vuoi essere, accanto a chiunque tu voglia stare.
Grazie per il tuo tempo, Maria.
Grazie mille Valeria, mi è piaciuto tanto chiacchierare con te. Un abbraccio a te e a Bossy.