La violenza sulle donne è prima di tutto un problema maschile.
Quante volte sentiamo parlare di violenza contro le donne senza che venga neanche menzionato il responsabile, l’abusante, lo stupratore, il maltrattante? “Violenza contro le donne”. Ma chi agisce questa violenza? Le donne sono l’unica entità che questa espressione ci permette di visualizzare. E così ci concentriamo su di loro, sulle vittime, senza approfondire le cause e risalire alla radice del fenomeno.
Parlare della violenza sulle donne come di un problema delle donne è parte del problema: dà agli uomini una scusa per non sentirsi coinvolti e non agire. Eliminando gli uomini dal discorso permettiamo ai meccanismi pervasivi della violenza, in particolare quella domestica, di continuare:
Ci sono ovviamente diversi modi per includere gli uomini in questo discorso, ma come facciamo a includere gli uomini maltrattanti? Quelli spesso descritti come mostri, ma che in realtà mostri non sono. Sono uomini e basta, magari con un passato difficile alle spalle, magari no. Magari a cui piace bere un bicchiere di troppo, magari no. Sono uomini come i padri dei vostri amici e delle vostre amiche, come i vostri colleghi di lavoro, come i pendolari seduti in treno accanto a voi. Sono uomini normali.
Una via per includerli, per stabilire la responsabilità delle loro azioni, è proprio il mutamento di prospettiva con cui ci approcciamo al problema della violenza domestica: una prospettiva che passa dal limitarsi ad assistere le vittime al cercare di aiutare chi agisce violenza in prima persona. Uno spostamento dal victim blaming, fin troppo spesso praticato nei confronti delle donne vittime di violenza, verso una reale responsabilizzazione di chi agisce violenza. È da questo importante cambiamento di prospettiva che parte il discorso sulla rieducazione degli uomini maltrattanti tramite centri a loro dedicati.
Cosa sono i centri per uomini maltrattanti?
Nel contesto della violenza domestica, più conosciuti dei centri per uomini maltrattanti sono probabilmente i centri antiviolenza. Questi ultimi hanno l’obiettivo di assistere e proteggere le donne vittime di violenza, fornendo loro assistenza psicologica e legale. I centri per uomini maltrattanti, invece, mirano a far cessare i comportamenti violenti, mostrando all’uomo che un’altra via è possibile e tutelando come fine ultimo l’incolumità della donna. I servizi offerti variano da consulenze psicologiche o legali, sedute individuali o collettive e interventi di recupero.
In Italia, salvo casi isolati, la comparsa di questi centri è stata ben più tarda rispetto ad altri paesi europei e agli Stati Uniti, dove questa realtà è diffusa già dagli anni ’70 e ’80. In Italia, i centri compaiono in modo strutturato solo dal 2009. Ad oggi esistono invece diversi progetti e reti soprattutto a livello europeo: i progetti Daphne, la rete europea WWP (Work with perpetrators) e la rete WAVE (Violence against women europe), per citarne alcune.
Il primo centro di ascolto per uomini maltrattanti fondato in Italia è il CAM di Firenze, che dal 2009 si occupa della “presa in carico di uomini autori di comportamenti violenti nelle relazioni affettive”. La cooperativa di ricerca LeNove, inoltre, si è occupata di censire i centri presenti sul territorio italiano e un elenco dei centri attivi al 2017 è disponibile sul loro sito web.

La necessità di interventi sugli uomini maltrattanti viene inoltre illustrata nel Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che recepisce quanto stabilito dalla Convenzione di Istanbul, e in cui si definiscono gli interventi per uomini maltrattanti come misure di prevenzione terziaria, interventi di recupero e, soprattutto, interventi di rete (svolti quindi per esempio in collaborazione con altri organismi sul territorio e con i centri antiviolenza).
Pro e contro dei centri per uomini maltrattanti
Sull’effettiva efficacia di tali realtà si aprono però numerosi dibattiti. I centri per uomini maltrattanti sono strutture correttive che mirano ad aiutare chi commette violenza e che certamente permettono di guardare alla violenza sulle donne da una prospettiva diversa, incoraggiando l’assunzione di responsabilità da parte del maltrattante.
Per far sì che il maltrattante si prenda la responsabilità delle proprie azioni, però, entra in gioco la sua motivazione al cambiamento. Si aprono quindi dibattiti sul fatto che solo un’adesione volontaria a tali interventi potrebbe dare risultati soddisfacenti e che suggerire di frequentare tali programmi come alternativa alla pena potrebbe essere molto pericoloso e strumentalizzato come escamotage per evitare la reclusione.
Altri sottolineano che tali percorsi non dovrebbero in alcun modo sostituirsi al penale, ma offrire un percorso parallelo rieducativo, che può avere un impatto di gran lunga maggiore rispetto alla sola reclusione. Inoltre, gli interventi dei centri devono essere realizzati secondo determinati standard, elaborati per esempio a livello europeo, come seguire la buona prassi di mantenere i contatti con la partner vittima di violenza o con il centro antiviolenza che segue la partner.
Un altro cruccio sono i finanziamenti. Davanti a quella che può sembrare un’eccessiva proliferazione di centri per uomini maltrattanti, potrebbe nascere il timore che, destinando sempre più fondi a queste strutture, i centri antiviolenza restino a bocca asciutta.
Ma, soprattutto, sorge spontaneo chiedersi se questi centri funzionino davvero e mostrino risultati positivi nel lungo termine. Esistono ormai studi che tentano di valutare l’efficacia dei programmi e mostrano risultati a volte positivi e a volte negativi. Anche in alcune ricerche che mostrano risultati soddisfacenti in termini di cessazione della violenza, restano alcune aree grigie relative per esempio alla difficoltà di paragonare la cessazione della violenza in contesti in cui gli uomini non hanno frequentato i centri o alla difficoltà stessa di misurare l’effettiva cessazione della violenza nel lungo termine.
Prevenire è meglio che intervenire
Nonostante i dubbi o i risultati negativi provenienti da alcune analisi, smettere di aiutare i maltrattanti non può essere una soluzione. Principalmente per due motivi.
Innanzitutto perché vale la pena ricordare che il problema della violenza maschile sulle donne non è che gli uomini siano intrinsecamente aggressivi e violenti. Gli uomini sono il prodotto della nostra società patriarcale, che li porta spesso ad agire comportamenti violenti per rispecchiarsi negli stereotipi di cosa significhi essere “un vero uomo”. In secondo luogo, l’obiettivo ultimo di questi centri è aiutare le donne vittime di violenza lavorando verso la cessazione dei comportamenti del violento.
Gli interventi dei centri per uomini maltrattanti quindi, se condotti aderendo agli standard europei e tutelando la vittima in ogni fase, non sono che una seconda via per tentare di risolvere la questione della violenza contro le donne. Una via che vale la pena continuare a migliorare e valutare. Questo tipo di intervento, però, non deve in alcun modo sostituirsi alla prevenzione primaria della violenza: quella rivolta a bambine e bambini in età scolare.
Fornire loro un’educazione sana, scevra dai pilastri del patriarcato e dalle aspettative tossiche di cosa significhi essere uomo può aiutarci a risolvere il problema alla radice, permettendoci di non dover affatto intervenire dopo.
Per concludere questa breve analisi di una realtà tanto discussa quanto complessa, alla base di tutto il discorso sulla violenza c’è insegnare ai bambini che soffocare le proprie emozioni e la propria rabbia è sbagliato. Dobbiamo far capire ai ragazzi che è necessario assumersi la responsabilità delle proprie azioni e ai giovani adulti che la loro partner non è un oggetto che gli appartiene. Quando però abbiamo a che fare con uomini adulti a cui è stato insegnato e mostrato tutt’altro, resta solo tentare di mostrare loro che un’altra via è possibile. Che la violenza è sbagliata.
L’educazione sentimentale è fondamentale, ma spesso da sola non è sufficiente, dal momento che i crimini (e la violenza sulle donne è un crimine, plain and simple!) vanno combattuti su ogni singola radice, non soltanto quella della confusione umana: servono anche l’istruzione, maggiore sicurezza, welfare, combattere la povertà, fornendo posti di lavoro, ridistribuendo la ricchezza e favorendo la pace, dando case ai senzatetto, combattendo il crimine e le diseguaglianze e le loro culture, contrastando il razzismo, aiutando gli orfani. Così si risolve il crimine sotto ogni sua forma, tra cui il maschilismo!!!!!Vi siete mai chiesti perchè è più facile che un uomo indiano sia più incline al crimine e al maschilismo rispetto ad un uomo svizzero??????
………..ok, mi rendo conto che non sono campi d’azione di un gruppo come Bossy, fatta eccezione per la lotta alla cultura patriarcale e il razzismo, meno ancora per me che lavoro nel commercio, ma solo coordinando tutti questi benefici al popolo possiamo pretendere di ottenere risultati. Se qualcuno tra i redattori o gli utenti legge questo ed è in grado nel proprio piccolo di agire come ho descritto, si metta una mano sul cuore e agisca. Io, quando posso, magari in collaborazione con i miei colleghi facendo beneficienza, lo faccio senza esitazione…….