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L’opportunità della cultura per un dopo diverso
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L’opportunità della cultura per un dopo diverso

Sembra l’altroieri che era metà marzo e ci approcciavamo a qualcosa che inizialmente pareva solo un problema made (and living) in China. E invece sono passati tre mesi abbondanti, il lockdown ormai è concluso da qualche settimana, e dalla fase 2 in un battibaleno siamo già balzati alla fase 3.

Purtroppo non è con la stessa rapidità che stiamo facendo i conti con ciò che l’emergenza ha significato in termini di impatto e implicazioni. In relazione a tutto ciò che è legato all’aspetto sanitario, alla malattia in sé, a chi si è ammalato, a chi non c’è più, alla sofferenza che c’è stata, alla gestione dell’emergenza, agli errori, alle ipotesi, ai dibattiti, alle politiche adottate e/o ignorate.
E a ciò che riguarda le nostre vite private in ogni loro declinazione.

Niente e nessuno è rimasto immune.

Ci ha colpiti tutt*, senza distinzione, messi di fronte a una cosa che non è dipesa da noi e sulla quale non abbiamo avuto (né avremo) alcun tipo di potere concreto se non aiutarci l’un l’altro ad arginarla.

Tutte le cose che avremmo voluto o dovuto fare. Tutto il tempo che abbiamo pensato di avere a disposizione. Tutte le chance che abbiamo perso o non abbiamo potuto sfruttare. Tutto congelato, ribaltato, cancellato. Ci siamo trovati a rivalutare la concezione di spazio, tempo, relazioni interpersonali, gestione del lavoro, tempo libero, soldi, dinamiche socioeconomiche alle quali siamo stati abituati fino al 7 marzo, progetti futuri, sogni, sostenibilità delle nostre vite e dei nostri ritmi, affetti, e persino lo sbattimento di portare il cane a fare la sua pausa bagno.

Oggi tra le mani non ci troviamo una soluzione, una bacchetta magica o un super potere conferitoci da quello che abbiamo vissuto, che ci garantirà che andrà tutto automaticamente meglio rispetto a prima, ma abbiamo la possibilità di leggere quello che è successo, con le sue difficoltà, i piani stravolti, le riflessioni, come un’opportunità da sfruttare per costruire questo dopo diverso da quanto prima ci immaginavamo sarebbe stato o sarebbe andato.

A scandire il nostro tempo, in queste settimane di clausura, oltre ai bollettini medici, alle conferenze stampa, ci sono stati libri, film, corsi online, documentari, la musica: tutto ciò che rientra nella definizione di cultura. Come prima – o forse di più – ci ha confortati, aperto la mente, fatto sognare e assalire dalla nostalgia, scalpitare per riprendere a tornare fuori.

Nel mentre, quello stesso settore che ci ha dato la possibilità di non sentirci soli e di occupare il tempo, è stato inevitabilmente bloccato come il resto delle attività. Concerti, proiezioni, mostre, fiere, eventi. Tutto fermo. Fino a data da destinarsi. Uno stop forzato con ripercussioni sui suoi operatori – quindi non solo i musicisti, ma tutte quelle persone che ci permettono di godere di un concerto, di una mostra, di imparare uno strumento, di guardare un film al cinema o dal divano – che sono rimasti a casa; e sugli introiti – mancati – che in alcuni casi hanno dato il colpo di grazia a spazi che dopo l’emergenza hanno deciso di chiudere definitivamente i battenti.

Un momento di totale immobilismo che ha investito indistintamente piccole e grandi realtà, e che porta fisiologicamente a riflettere sullo status di cultura e spettacolo in Italia, un ambito al quale mancano certamente a livello istituzionale concreto supporto finanziario, tutele ad hoc per i suoi lavoratori al pari di quelli di altri settori e considerazione in termini di valore per la persona, ma in cui anche al suo interno ci sono delle grosse falle nella coesione e collaborazione tra gli stessi operatori e nelle dinamiche gestionali-organizzative.

Per far prendere consapevolezza al pubblico che dietro a un qualsiasi spettacolo c’è una squadra, una produzione di tante persone che con la musica pagano le bollette al pari di chi si esibisce sul palco; perché ci si accorgesse che la cultura in Italia non è una priorità e che non è strutturata e organizzata in maniera sana; tantomeno per realizzare che se non siamo noi utenti per primi a supportare gli spazi che ci offrono stimoli mentali e svago, non ci voleva certamente il Covid-19.

Certamente il virus, portando all’estrema ribalta tutto ciò che non funziona dell’intrattenimento, ci sta dando anche in questo contesto un’opportunità, quella di riformare e di ripensare – ad alto livello o nel nostro piccolo – un settore tanto bistrattato quanto fondamentale per la crescita, lo sviluppo e il benessere di ognuno di noi. Un aspetto quest’ultimo da non sottovalutare, in particolar modo di questi tempi: sarà anche grazie ai film dei Drive-in e nei cinema, agli spettacoli teatrali, ai concerti, alle performance artistiche e alle mostre, che smetteremo, mantenendo l’opportuna prudenza, di avere paura del prossimo, di ammalarci, di uscire di casa e reinserirci nel mondo; che riprenderemo a relazionarci con gli altri, ad avere fiducia, a stare insieme.

Di questo, di come ha impattato l’emergenza sanitaria sulle loro attività, dei provvedimenti ad oggi presi ma anche di come la ripresa si stia rendendo fattibile, ne abbiamo parlato con Alfredo “Kappa” Cappello, da più di vent’anni nel mondo della musica e attualmente responsabile della programmazione live dei Magazzini Generali di Milano; Antonio Altini, direttore artistico del Mikasa Club di Bologna e owner di Altini Cose; Andrea Leonardi di Degustazioni Musicali, Wakeupandream, Fat Art Club; Franz Barcella, gestore di Edoné Bergamo, cofondatore e gestore di Otis Tours, organizzatore del Punk Rock Raduno; Giulio Castronovo, Music Manager – GoMad Concert; Mattia Cominotto, produttore, fonico, musicista, parte del collettivo del Cane di Genova; Teo Motta, tecnico del suono, musicista, owner di Progetto Cervo Booking e direttore artistico del Bloom di Mezzago (MB). Un viaggio per l’Italia per capire, da chi di musica vive e lavora, come sta andando.

Sono stati tre mesi che hanno spezzato la schiena, e da un punto di vista lavorativo il settore cultura e spettacolo è stato tra i più colpiti: quali danni conti?

Alfredo “Kappa” Cappello: I danni sono ingenti, soprattutto nell’attività concertistica e delle serate. Pur sperando di recuperare tutti i concerti, sicuramente tenere chiuso un locale sei mesi è uno sforzo veramente arduo da superare. Molti locali finiscono la programmazione a maggio/giugno, e per tutti vuol dire almeno riaprire a settembre. Dal punto di vista discografico sicuramente c’è un danno sulla vendita del fisico tramite i negozi, ma fortunatamente il digitale ha retto il colpo, anche se le aspettative di grandi ascolti a causa della quarantena sono state disattese: credo ne abbiano beneficiato soprattutto i servizi di streaming video, più che quelli audio. Nel globale comunque avere il segmento che tira la corsa a tutti chiuso (i concerti) avrà ripercussioni immediate e anche a lungo termine.

Andrea Leonardi: Beh, allo stato attuale delle cose è difficile da percepire. Il danno economico è grande ed è trasversale, a tutti i livelli, dai musicisti (anche se magari i “grandi nomi” avevano un paracadute più ampio) agli addetti ai lavori. Dovremo secondo me aspettare ancora un po’ di tempo per percepire la reale portata del danno, ma sicuramente non va escluso nemmeno che il modo di ripartire conterà molto per contenere o espandere la dimensione dello stesso.

Antonio Altini: Tantissimi concerti saltati da promoter, diversi da booker, due dischi a cui non è stato possibile far seguire un tour: spesso la vendita di dischi e concerti a livello medio piccolo dipende dai concerti. Nel settore della musica è davvero stata una bella legnata, ma il pubblico si è fatto ed è stato di grande supporto per diversi posti che hanno attivato campagne di sostentamento. Alcuni posti purtroppo non ce l’hanno fatta ma spero abbiano l’opportunità di rinascere sotto altre forme.

Franz Barcella: Per quanto riguarda Edoné tutta la programmazione è stata cancellata, idem il decennale a cui avevamo lavorato tanto, quello su cui si è lavorato si è perso, e ovviamente siamo rimasti chiusi. Fortunatamente negli scorsi anni abbiamo sviluppato Pony Burger e il delivery che durante il lockdown abbiamo ampliato al delivery dei drink, e queste due iniziative ci hanno fatto rimanere attivi mandando avanti anche la nostra mission, avviando raccolte fondi a sostegno di diverse realtà. Per quanto riguarda Otis Tours abbiamo visto andare in fumo tutto il nostro lavoro, non sappiamo peraltro quando ripartiremo. I concerti di medio e piccolo lignaggio sono quelli più colpiti, dove ci sono meno risorse e strutture e dove le modalità di lavoro poco si sposano con l’emergenza sanitaria. Con l’etichetta sono andato avanti anche durante il lockdown, ho continuato a pubblicare dischi, con il focus anche qui di dare supporto alla situazione. In questo periodo le persone hanno avuto ancora più bisogno del solito di cultura: io per primo necessitavo di ascoltare dischi e ho avuto più tempo per farlo. Come dicevo, i progetti che abbiamo avviato in questo periodo sono stati lanciati sempre in relazione all’emergenza, adattandoci al momento: questo ci ha aiutato anche a coinvolgere persone nuove che non ci conoscevano, a diffondere il concetto che anche senza tour, senza live, la musica è sempre fruibile e ancor più di prima, a far del bene.

Giulio Castronovo: Inizialmente è stata molto dura, cancellare e riprogrammare tutte le date, i tour e le release: una perdita di soldi, di tempo ed energie senza precedenti. Inoltre l’incertezza della situazione, con uno sviluppo giornaliero delle novità sanitarie e delle disposizioni, ha rallentato di tantissimo la riprogrammazione, ancora ad oggi poco certa. Oltre alla perdita dal lato eventi live, abbiamo vissuto un calo degli stream di Spotify, che per fortuna è durato un mese o poco più. Per fortuna lavorare sempre a stretto contatto con dei creativi, quali sono i musicisti, agevola il nostro lavoro e ci fa riorganizzare come se fossimo dei camaleonti: i camaleonti della pandemia. I danni sono tanti, ma io sono sempre un eterno ottimista.

Mattia Cominotto: I danni che conto riguardano il mio studio, il Greenfog, il Cane – che è il circolo sotto lo studio – ed il Balena Festival che dall’anno scorso organizzavamo in centro a Genova. Il Cane ha sospeso le attività fino a data da destinarsi, il Balena ha saltato l’edizione, forse recuperiamo a ottobre ma ancora non sappiamo. In studio ho continuato abbastanza con l’attività: essendo un fonico, posso lavorare senza persone presenti, soprattutto in fase di mix e di mastering, ma anche di sound design. Ma, se il settore live non riprende, le persone non saranno incentivate a venire in studio a registrare.

Teo Motta: Sono stati tre mesi duri come non mai. Il settore spettacoli e cultura è stato duramente colpito e credo che ci porteremo dietro queste ferite per un bel po’ di tempo. Ora che si sta lentamente tornando alla normalità però è anche tempo di fare un bilancio e da una prima analisi vedo molte attività che non ce l’hanno fatta a ripartire, molte che zoppicano e altre che sembrano uscite da questo periodo di lockdown con una carica e una positività nuova. In molti hanno colto l’occasione per dare una “rinfrescata” ai propri spazi, altri hanno lavorato portando avanti quegli interventi – anche strutturali – che avevano in cantiere da tempo così da farsi trovare nuovamente pronti per la riapertura. Di certo il danno economico per locali, artisti e personale della cultura e dello spettacolo non ha precedenti.

Umanamente per quanto possa essere negato o non percepito, il lockdown ha avuto un impatto su ognuno di noi. La riapertura degli spazi di aggregazione diventa così centrale per il ritorno al senso di comunità, per trovare conforto e al contempo riabituarci “agli altri”. Parallelamente ritornare a frequentare gli spazi può essere una fonte di comprensibile preoccupazione a causa della paura di nuovi contagi. Percepisci anche tu questo dualismo? Se sì, come lo vivi personalmente? E da organizzatore di eventi come ti rapporti a questo tema?

Alfredo “Kappa” Cappello: Chi avrà paura o non se la sentirà starà sicuramente a casa, e questo è più che lecito. Credo che la soluzione si avrà solo quando ci sarà una garanzia per ritornare a vivere gli spazi serenamente. Nel frattempo sono certo che la voglia più che umana di frequentarsi si adatterà alle mascherine e a qualche controllo maggiore. Quindi sicuramente la prudenza è d’obbligo e bisognerà adeguarsi alle richieste delle istituzioni, sia noi organizzatori che il pubblico. Per quanto mi riguarda, se a qualcuno non andranno bene le norme imposte dal Governo può tranquillamente stare a casa. Ai Magazzini Generali siamo stati i primi a fermarci posticipando il Milano Headbanging Fest, quando ancora non era in atto il decreto del 23 Febbraio: alle volte ci vuole solo buon senso, alle volte elasticità.

Andrea Leonardi: È talmente soggettivo l’impatto che il lockdown ha avuto su di noi che credo sia impossibile trovare una linea che accomuni tutte le realtà coinvolte. Credo vada fatta una riflessione a cappello, riguardante gli spazi che si hanno a disposizione. Nel mio caso la prima ripresa delle attività è stata la riattivazione del locale che gestisco, che essendo anche ristorante oltre che live club, ha permesso a me e ai miei soci di fare delle campagne di comunicazione mirate alla possibilità di una riapertura dell’attività di ristorazione. Avendo in gestione uno spazio molto grande (Fat Art Club Terni) e attenendoci alle normative vigenti, siamo riusciti a rispettare le regole e ripartire in sicurezza. Rispetto all’organizzazione di eventi, è ancora presto per potersi esprimere: questo non vuol dire che non ci sia preoccupazioni, anzi. Sarà un percorso difficile, soprattutto perché le direttive in merito non sono mai del tutto chiare. Il problema più grande è sicuramente l’avere a che fare con una classe politica che spesso mi dà la percezione che non sappia assolutamente di cosa si stia parlando.

Antonio Altini: La gente ha voglia di uscire ma non a caso, responsabilmente. Vedo molta voglia di tornare a una normalità contenuta, ma il pubblico deve essere collaborativo così che non si vengano a creare situazioni pericolose.

Franz Barcella: Ho affrontato tutti gli stadi del ventaglio di emozioni che questo periodo ha generato: ho avuto il virus, sono stato in quarantena da solo, ho sofferto del fatto che mi sono dovuto adattare alla situazione di stare sempre a casa quando io sono sempre in giro, ma allo stesso tempo dopo sei settimane sono stato uno di quelli che ha ripreso a lavorare, prima con Pony Burger e poi anche nella distribuzione di beni alimentari, riscoprendo la socialità. Durante il lockdown ho sentito tante persone, riallacciato contatti e questo è un aspetto positivo di quello che abbiamo vissuto. Per quanto riguarda l’aspetto lavorativo, sì, c’è un dualismo e si sente, ci sono tante persone che hanno estrema voglia di uscire, vivere, sperimentare e con la riapertura di Edoné la stiamo vivendo. Al contempo c’è chi invece sta soffrendo il ritorno all’aperto, il riadattarsi, il trovare lo stimolo per ritornare alla propria socialità. Ognuno di noi ha il suo percorso personale e posti come i nostri devono secondo me dare la certezza di poter uscire in sicurezza e godere della socialità in modo rassicurante, tranquillo, al di là delle norme da seguire, c’è un compito etico che abbiamo: ospitare tutti e mettere tutti nelle condizioni di stare sereni per ricostruire la propria socialità.

Giulio Castronovo: Ci reputiamo portatori sani di assembramenti, quindi al gong della riapertura ci siamo fiondati alla ricerca di socialità. Dove viviamo e lavoriamo, in provincia di Palermo, la pandemia sembra lontana, la voglia di socialità è più forte della paura di nuovi contagi. Anche i dati sanitari hanno aiutato tantissimo per una veloce ripresa della normalità. Dal punto di vista dell’organizzazione eventi, ci stiamo già muovendo da un paio di settimane per proporre degli spettacoli, che vanno dalla proiezione di film all’aperto ai medi e grandi concerti, sperando che a lungo andare ci sia una minore restrizione sulle norme di accesso, stazionamento, capienza degli spazi e somministrazione bevande durante gli eventi. Percepisco una gran voglia di attività di intrattenimento da parte del pubblico, così come quella di socialità. Aspettiamo solo un passo in avanti della pubblica amministrazione siciliana.

Mattia Cominotto: Sull’apertura degli spazi che sono stati chiusi, faccio fatica ad avere una percezione concreta di quello che può essere questo dualismo. Di certo dobbiamo rapportarci con le norme e la loro interpretazione. C’è molta confusione. La preoccupazione insieme alla voglia di riprendere vanno a braccetto: nel nostro ambiente la voglia di riprendere per superare la paura c’è, ma è difficile, come lo è il valutare la riapertura di uno spazio rispetto a quella che sarà l’affluenza della gente. Dobbiamo provare e vedere come le persone reagiranno.

Teo Motta: La gente ha una gran voglia di uscire e lo si vede, l’ho visto io in prima persona questo weekend nelle vie di Milano. Locali non affollati come una volta ma un bel movimento, sì. Tuttavia molte persone sembrano preoccupate per questa situazione che alla fine non è ancora stata risolta, perché un vaccino o una cura comunque ancora non esistono, e in molti mi hanno scritto dicendomi che non si sentono ancora sicuri a uscire, che non è ancora giunto il tempo per loro di tornare alla normalità. Credo che per aiutare queste persone a vincere questa paura ci si debbano mettere in prima linea anche i locali assicurando che gli avventori rispettino le distanze di sicurezza e controllando il più possibile che queste norme vengano rispettate. Sarà una cosa graduale, ma credo sia importante tornare a vivere gli spazi per come lo facevamo fino a qualche mese fa.

A inizio lockdown parlavamo di quali misure sarebbe stato necessario prendere per contenere le perdite e il tracollo del settore cultura/intrattenimento. Ad oggi delle misure sono state adottate: cosa è bene e cosa invece manca nei provvedimenti presi?

Alfredo “Kappa” Cappello: Per ora direi che siamo abbastanza distanti dal supportare il sistema cultura/intrattenimento. Non saranno 600€ ogni tanto a sostenere i tanti professionisti che fanno parte del sistema, ma sicuramente avere riduzioni o delazioni sui pagamenti di tasse e mutui, e agevolazioni nel futuro immediato potrebbe portare un po’ di ossigeno. Parlando di discografia mettere l’IVA al 4% come con i libri sarebbe un buono spunto, ma mi sembra che ci sia ancora troppa confusione. Leggo spesso i gestori dei locali invocare l’esenzione dal pagamento della SIAE per le serate, dimenticandosi che gli autori e compositori delle canzoni sono il motivo per cui la gente viene ai concerti e a ballare in discoteca.

Andrea Leonardi: Sono state adottate misure economiche relativamente soddisfacenti, soprattutto per quanto riguarda le realtà più piccole. Ma ciò che manca davvero, a mio avviso, è un’idea di fondo, una linea guida che non ci porti a dover ricadere negli errori del passato. Credo che il lockdown sia anche un po’ servito a tante piccole realtà a farsi sentire, a dire “Hey Stato, ciao! Esistiamo anche noi! Andiamo tutelati”.

Antonio Altini: Chi prova a ripartire oggi è un eroe. Nei primi tempi si tratterà quasi di una sperimentazione, sperando che non ci siano troppe conseguenze a livello di numeri. Se tutto viene fatto a regola con distanza e sanificazioni e il pubblico ne ha rispetto, penso ci sia la possibilità di tornare quanto prima al prima.

Franz Barcella: Non sono un economista, non mi piace parlare del settore altrui e sicuramente sono dell’idea si possa fare qualcosa di più, ma non so dirti cosa in un Paese in cui si pensa che non pagare le tasse sia una cosa furba anziché un’opportunità di avere delle risorse. Non so dirti se l’Italia avesse potuto permettersi dei sostegni come è avvenuto in Germania, anche se sarebbe stato bello. Siamo stati come Edoné sempre molto ligi alle regole, e in questo periodo siamo riusciti anche grazie a questo a metterci in cassa integrazione. Dove la cassa integrazione non è arrivata, siamo arrivati coi nostri risparmi in modo da garantire a tutti almeno il minimo. Siamo molto fieri di ciò, nel nostro piccolo: non abbiamo lasciato indietro nessuno.

Giulio Castronovo: Ad ora in Italia il lavoratore del mondo culturale e dell’intrattenimento non è riconosciuto cosi come un qualsiasi lavoratore, non ha gli stessi diritti e viene ascoltato poco. Difatti nei vari decreti di rilancio, molto poco è stato fatto per il settore culturale, che è stato uno dei più colpiti da questa inaspettata crisi. Come stiamo ripetendo da tempo, siamo stati i primi a chiudere e saremo gli ultimi a riaprire (senza restrizioni). Abbiamo bisogno di più certezze. Se mettiamo a confronto le politiche culturali e i provvedimenti presi dagli altri Stati europei, l’Italia è tra quei Paesi che sta ancora indietro rispetto ai riconoscimenti dei diritti del lavoratore culturale. Anche l’arretratezza e lentezza burocratica italiana non aiutano: per esempio, solo oltre tre mesi dall’inizio dell’emergenza, l’INPS ha attivato sul suo portale la possibilità di richiedere le indennità per marzo, aprile e maggio anche per i lavoratori intermittenti dello spettacolo che non hanno potuto accedere agli ammortizzatori ordinari come cassa integrazione in deroga o FIS. Speriamo tutti che questa volta la politica non ignori le proposte di emendamento al DL Rilancio che ci riguardano. Tutti i lavoratori dello spettacolo hanno bisogno di più dignità e di aver riconosciuto ufficialmente il proprio importantissimo ruolo, quello di CREARE Cultura.

Mattia Cominotto: Ad oggi ci sono misure adottate nei confronti di lavoratori riconosciuti in quanto tali ma non aderenti a una categoria. Riaprono parrucchieri, le chiese, alcune attività, ma del riaprire i concerti non si parla, è un tema vago. Ci sono buchi da colmare nell’attività di chi lavora nel settore dello spettacolo. È un discorso lungo e complesso.

Teo Motta: Le perdite ci sono state eccome, ahimè, e stiamo parlando anche di grosse cifre purtroppo. Molti locali e piccole realtà hanno dovuto reinventarsi per non essere spazzati via dalla tempesta Covid, in molti si sono buttati sui concerti in streaming, altri hanno aperto il proprio shop online investendo su nuovi gadget e provando a smuovere qualcosa lavorando in questa direzione. Tutto questo però non basta e non basterà per il futuro. Per tutta la durata del periodo lockdown, abbiamo sentito tanti personaggi e visto tante iniziative gridare agli aiuti per i lavoratori dello spettacolo ma poi nel concreto ben poco è stato fatto per questa categoria di lavoratori. Dal mio punto di vista mancano ancora misure chiare che permettano a noi di tornare a lavorare in sicurezza tanto quanto ai nostri clienti di poter tornare a usufruire di servizi di intrattenimento quali concerti, dj set e spettacoli in generale, c’è ancora confusione. Il settore non ha mai avuto una rappresentanza e questa è colpa del settore stesso: la rappresentanza non ti viene data dall’alto ma nasce dal basso e in questo periodo sta nascendo qualcosa, anche se non potrà risolvere il problema in poco tempo. È una prima situazione in cui stiamo capendo che abbiamo sbagliato qualcosa a livello di settore.

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Alla luce delle nuove previsioni legislative, riparti con le attività? In che modo? Pensi sarà una soluzione sostenibile anche a lungo termine?

Alfredo “Kappa” Cappello: Così i locali di sicuro non ripartono, mi auguro che le norme divengano più elastiche. Non è immaginabile aprire un locale senza servire da bere e nemmeno aspettarsi un concerto rock con le persone sedute. Siamo a un buon punto, i contagi lentamente diminuiscono, è passato più di un mese dalla riapertura, e per fortuna non ci sono grossi focolai, inoltre fortunatamente la nostra Sanità ora è più preparata e sa combattere il virus meglio.

Andrea Leonardi: Mentre con la ristorazione si è ripartiti, con gli eventi – anche se le indicazioni governative parlano del 14 giugno come ripresa delle attività – non credo sia possibile capire l’andamento, soprattutto nel breve termine. Come si sa, quando ci si occupa di direzione artistica, i concerti si organizzano spesso con molto anticipo, cercando di pensare e calibrare le scelte in base a una serie di fattori estremamente variabili. Rimane difficile di conseguenza programmare a breve termine, considerando anche gli scarsi budget economici a disposizione. Anche in questo caso il vantaggio vero ce l’ha chi, sia geograficamente che economicamente, è messo meglio.

Antonio Altini: L’attività di manager non si è mai bloccata, come booking ho un bel po’ da fare, molti posti stanno per ripartire e sono carichi di poterlo fare, ciò mi fa molto felice. Per quanto riguarda lo spazio per cui mi occupo della direzione artistica ripartiremo, non appena si potrà partire a pieno regime.

Franz Barcella: Con Edoné abbiamo riaperto lo scorso sabato, in una nuova formula, diversa da quella storica che si basa su sicurezza e il rispetto delle norme vigenti. È un Edoné trasformato, adattato alle esigenze attuali ma fedele al suo progetto, al suo spirito e alla sua idea: la forma è mutata ma siamo sempre noi e la capacità di evolversi, capire i tempi, modificare le modalità è un punto di forza dei progetti che durano nel tempo. Per noi il Covid-19 è stata una sfida, un gradino per fare un salto in avanti e che ci ha portati a migliorare: vedi per esempio l’applicazione che abbiamo sviluppato per prenotare i tavoli e che sarà utilizzata anche superata l’emergenza. Diciamo sempre che Edoné deve essere come l’acqua, che è impossibile da fermare, che sorpassa gli ostacoli, che spezza ma non divide, e che si mantiene uguale nella sua essenza adattandosi. Abbiamo sempre voluto diffondere cultura e seminare passione, anche se i modi e i tempi cambiano, il nostro obiettivo sarà sempre questo. Poi che non si possano fare i concerti sudati che piacciono a me è un altro conto, ma l’essenza di quello che facciamo è sempre la stessa e in ogni caso sono convinto che riprenderemo, un giorno, a fare anche quelli. In Edoné quest’anno siamo comunque attrezzati con il palco, e quando ci saranno le condizioni, riproporremo contenuti: è una sfida quella che stiamo vivendo, per continuare a portare avanti la nostra missione senza fermarci solo alla proposta di ristorazione.

Giulio Castronovo: Ripartiremo sicuramente, anche se con le restrizioni, cercando di garantire il lavoro ai ragazzi che collaborano nella nostra agenzia e nelle varie attività che gestiamo. Lo faremo a piccoli passi, calcolando bene il rischio, molto alto in questo momento, ma non possiamo star fermi ad aspettare una svolta dall’alto. A lungo termine sicuramente non sarà sostenibile, tranne che il settore stesso non si riformi del tutto o dalla politica arrivino grossi aiuti. Quindi ci toccherà rimboccarci le maniche e inventare, cosi come abbiamo sempre fatto. Con la nostra agenzia lavoriamo moltissimo all’estero, soprattutto in UK, e da quelle parti per fortuna il mondo dell’entertainment è considerato un lavoro a tutti gli effetti (quante volte girovagando per l’Italia ti hanno chiesto “Che lavoro fai?”, e alla tua risposta la loro faccia non era convintissima?), quindi presumo che torneremo alla normale attività prima oltremanica e poi in Italia.

Mattia Cominotto: Credo ripartiremo come Cane a settembre, d’estate ci siamo sempre fermati. Il Balena non è possibile riprenderlo, proveremo in autunno. Ma mi sento di dire che nella condizione di oggi i provvedimenti sono insufficienti. Ad oggi il nostro spazio ha bisogno di prerogative per aprire che non ci permettono l’apertura: lo spazio è piccolo, la distanza non può essere mantenuta né la presenza delle persone alternata come avviene nei negozi, le spese della sanificazione pesano sulla già difficile situazione.

Teo Motta: Sebbene locali, ristoranti e bar abbiano ormai riaperto i battenti, la cosa che ancora non funziona e non sappiamo ancora per quanto è la questione eventi. Siamo ancora in questa fase dove è difficile fare previsioni perché le norme alle quali bisogna attenersi al momento sono norme estremamente limitative. Io posso organizzare un concerto con al massimo tot persone, tutte distanziate e in sicurezza, ok, ma se non mi permetti di poter fare somministrazione di cibi e bevande allora non mi stai incentivando, anzi! Per un locale piccolo è ancora peggio perché magari mancano addirittura gli spazi, figuriamoci se devo anche curarmi di avere la “sala bar” staccata dalla “sala concerto”. Al momento si riparte con quello che si può, se hai modo di fare ristorazione e hai tanto spazio (soprattutto all’aperto), hai ancora qualche chance di andare avanti e di provare a ripartire facendo leva sulla ristorazione, altrimenti è molto difficile. Speriamo in un nuovo decreto che allenti un po’ la stretta attorno agli eventi musicali che qui c’è gran voglia di ripartire, la gente ha voglia di andare ai concerti.

In questi giorni, stiamo assistendo alle forti richieste di aiuto – se non addirittura alla chiusura – di spazi culturali messi in crisi dallo stop forzato, ai quali il Covid-19 ha dato la batosta finale, aggravando situazioni difficili preesistenti: quanto è vero che durante il Covid-19 affitti/utenze/spese di gestione sono state sostenute anche se agevolate, tanto lo è il fatto che le realtà, soprattutto più piccole, già pre-pandemia non se la spassavano nell’oro. Cosa – secondo te – gli utenti, quanto gli artisti, oltre a indignarsi sui social, condividere link di campagne di sostentamento, e abbandonarsi a commemorazioni romantiche possono e devono fare ora e in generale per sostenere questi spazi? Cosa a partire dal nostro piccolo possiamo fare per aiutare il settore?

Alfredo “Kappa” Cappello: Le strutture piccole difficilmente possono reggere un blocco delle attività così lungo, e a quelle, che magari erano in difficoltà pre-quarantena, il Covid19 ha dato il colpo di grazia. C’è chi lo ha ammesso, chi magari ha colto la palla al balzo per mollare, ma anche chi reggerà il colpo farà molta fatica alla riapertura. Non credo che tutti torneranno nei locali con serenità, almeno in tempi veloci, ed è più che comprensibile. Io nel mio piccolo ho sostenuto le campagne dei locali piccoli che hanno fatto raccolta fondi, l’ho immaginato come l’acquisto di un biglietto per un concerto immaginario, che mi permetterà di vederne tanti altri, ho acquistato album di etichette indipendenti direttamente dai loro store online. Sulle commemorazioni e sui post strappa lacrime con improbabili hashtag sono un pelo meno entusiasta. Con tutto il rispetto dei tantissimi miei colleghi del mondo del professionismo, quelli che ora ci devono mettere la faccia per tutti sono i Big: loro sono gli unici che possono sensibilizzare il pubblico su questa problematica. Ed è evidente che ancora non l’hanno capito. Da questo punto di vista la sconfitta è abbastanza pesante, quello che da noi manca è un Bono Vox che va a parlare con i politici. Gli artisti italiani devono capire che è ora di uscire dalla loro comfort zone e alzare la voce. Non credo che basti pubblicare una foto sui social per ottenere delle risposte e sensibilizzare il Governo.

Andrea Leonardi: Rispondo molto semplicemente a questa domanda: lavorare, lavorare, lavorare e non mollare mai. Credo che questa pandemia abbia un po’ fatto da giro di boa. Forse anche questo può essere preso da spunto come un impulso a rimboccarsi le maniche e rivolgersi con le vele spiegate in favore di un cambio di direzione.

Antonio Altini: Sicuramente bisogna invogliare le persone ad andare ai concerti, partecipare: la nostalgia è stata tanta e quindi ora è tempo di andare a vederli questi live che ripartiranno, anche per supportare quei posti che “dall’alto” sono stati abbandonati. Bisogna passare da un sostegno virtuale a uno fisico: l’entusiasmo che c’è stato sui social deve essere trasformato in realtà.

Franz Barcella: Cosa si può fare? C’è una bella grafica che con Wild Honey abbiamo sviluppato con Mary Blout (un’artista di New York) che lo riassume bene, per supportare le realtà con soldi e senza soldi. Bisogna però prima di tutto sforzarci di essere sempre più consapevoli, in quello che stiamo facendo: dove andiamo a spendere soldi, cosa supportiamo, cosa facciamo. Se bevi una birra all’Ink, se mangi un hamburger in Edoné, non è stato solo comprato un prodotto, ma si è supportato un progetto, un concerto, altri ragazzi della tua città che lavorano. Più agiamo consapevolmente più miglioriamo le attività etiche e supportare un determinato tipo di produzione culturale, e tutto cambia. Spesso invece questo aspetto non viene percepito mentre invece è la chiave, tanto spesso quanto non ci accorgiamo dei luoghi che abbiamo e di quanto siano preziosi: quante volte siamo stanchi, non abbiamo voglia di uscire o non partecipiamo abbastanza al tenere in vita queste realtà.

Giulio Castronovo: Ci vorrebbe un riassetto del sistema a cascata, partendo dagli artisti passando per i management e i booking, di quello che dovrebbe essere un aiuto iniziale, un taglio di commissioni, richieste economiche. Spesso c’è un distacco potente tra i piccoli e medi artisti e quelli più grossi. Si potrebbero ridurre le produzioni “a meno cambio”, riducendo i costi. Pensiamo poi all’aspetto della regolamentazione dei pagamenti, del pagamento dei contributi, del riconoscimento dallo Stato degli artisti, dei tecnici, che spesso non è possibile perché non hanno numero di giornate annuali. Anche la sostenibilità degli eventi legata all’ambiente è una cosa sulla quale lavorare soprattutto per quanto riguarda i Festival e i grossi eventi: è una cosa che costa ma che è molto importante. Se tutti lo facessero i costi andrebbero a diminuire, così come avviene in altri Paesi. Il supporto degli utenti dovrebbe essere quello di andare ai concerti, anche di artisti poco conosciuti come avviene in UK, supportare il mondo della musica cercando di capire cosa c’è dietro: quando ascolti una canzone non c’è solo un click su Spotify o un cantante ma un lavoro di squadra di mesi.

Mattia Cominotto: Agli artisti come partecipazione attiva si può chiedere poco, sono una categoria non tutelata alla quale già si chiede tanto. Al pubblico si può chiedere di uscire di casa, più di prima, e di cercare di capire che dietro al prezzo di un biglietto di un concerto c’è un’attività, che a volte ci perde pure. Il pubblico dovrebbe cercare di capire gli spazi, di essere più comprensivo. Un’attività che propone musica, impegna persone, tempo, denaro, una struttura che è importante le persone si rendono conto esiste.

Teo Motta: Molti locali che fino a qualche tempo fa erano un punto di riferimento per i giovani della città si sono trovati in forte difficoltà, alcuni di questi sono stati costretti a chiudere, distrutti dal peso del costo di utenze e affitti. Ora le cose devono cambiare e per far sì che questo succeda è fondamentale la collaborazione di tutti. Parlo di artisti, parlo delle agenzie, parlo di chi vende spettacoli. Mi rivolgo a queste figure nella speranza che venga tutto ridimensionato a livello di costi, più che altro perché al momento sarebbe impensabile potersi permettere di fare le cose che si facevano prima ai costi di prima. Da direttore artistico, la stragrande maggioranza dei concerti e degli eventi che prima avrei potuto permettermi di comprare a determinati prezzi ora non sono assolutamente più fattibili. Confido nella collaborazione di tutta la filiera, solo in questo modo si potrà ripartire come si deve.

Foto: Luca Ash Settantuno & José A. Albertos

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