Articolo di Giulia Tamborrino
Cosa intende oggi la nostra società – così grande e variegata – quando parla di una ribelle? L’accezione legata al termine è istintivamente negativa. Nessuno si sognerebbe mai di riporre fiducia in qualcuno di loro, né tantomeno si lascerebbe guidare.
Il ribelle è il nemico dell’ordine sociale, ostile a qualunque forma di controllo. Come viene chiamato un figlio che disubbidisce ai genitori? Un ribelle. Come viene additato il ragazzino del quartiere che imbratta i muri con i suoi murales? Un ribelle. Ma soprattutto, come viene definita ancora una donna che si scosta dal ruolo stereotipato che le è stato imposto, che non si sottomette e che ricerca la propria individualità a discapito delle regole sociali che la indirizzano verso un determinato destino? Una ribelle.
Sono proprio loro le protagoniste di questo racconto: quattro meravigliose donne troppo spesso dimenticate che hanno fatto del Novecento il loro campo di battaglia, rifiutando di essere ricordate in quanto femmine disobbedienti rispetto al loro ruolo sociale, ma come vere e proprie eroine che hanno contribuito a fare la differenza in un secolo di cambiamenti e di evoluzione.
Parlerò per prima della donna che ha ispirato il titolo dell’articolo, Virginia Bolten.
Ciò che colpisce maggiormente riguardo la storia di questa straordinaria militante anarchica attiva in Uruguay e Argentina di cui purtroppo sono rimaste pochissime informazioni è quanto le attività svolte da una ragazza siano il barometro del mutamento dei valori di un’epoca: se al giorno d’oggi una ventenne è generalmente iscritta all’università, esce con gli amici, ha diversi hobby e si trova un fidanzato, più di un secolo fa, il primo maggio 1890, Virginia Bolten appena ventenne diventa la prima donna oratrice del movimento operaio della città di Rosario, in Uruguay, atto che la condannerà all’arresto immediato. Sarà qualche anno più tardi, tra il 1896 e il 1897, che lancerà il suo slogan sulla rivista anarco-femminista da lei fondata La voz de la mujer: “Né Dio, né padrone, né marito”.
Un’altra grande esponente che contribuì alla diffusione dello spirito ribelle – questa volta nel regno capitalistico degli Stati Uniti di inizio Novecento – è la purtroppo poco nota Emma Goldman.

Di origini lituane ma spostatasi nel Nuovo Continente a soli quindici anni, dedica la sua vita all’instancabile attività di oratrice e conferenziera di pensiero anarchico e femminista, sostenendo scioperi e comizi ovunque si diffondesse la ribellione al sistema. In seguito ad un arresto con l’accusa di aver “incitato alla sovversione”, verrà arrestata e la stampa la soprannominerà Red Emma per sottolineare il suo spirito combattivo che non la abbandonerà mai durante le sue battaglie.
Tornando nel Vecchio Continente, non posso non citare uno dei personaggi più controversi e affascinanti della letteratura italiana novecentesca. Sibilla Aleramo fu una poetessa e una scrittrice formidabile, dalle enormi capacità, ma fu anche una grande pacifista e femminista, convinta della propria individualità e indipendenza.
Lontana dal ruolo e dall’immagine femminili tradizionali, è nota anche per la sua relazione con l’attrice Eleonora Duse (sì, la stessa ispiratrice di Gabriele D’Annunzio!) dal momento che non ha mai fatto segreto del suo orientamento bisessuale, nonostante appaia assurdo considerato che la Aleramo ha vissuto nella prima metà del Novecento.
Come ultimo esempio, ma decisamente non meno importante, ci tengo a citare una donna che dovrebbe ispirare ed essere un modello per ognuno di noi, a prescindere dal proprio genere. Non a caso, è lei l’autrice della celebre citazione “L’umanità è fatta di uomini e donne e deve essere rappresentata da entrambi i sessi”.
Rita Lévi-Montalcini non è stata solo una neurologa Premio Nobel per la Medicina, ma un esempio di donna combattente, che non ha lasciato mai che la società patriarcale dove è cresciuta la frenasse nel suo lungo percorso di studio e di vita.
Pur avendo rinunciato alla creazione di una propria famiglia, si è dedicata con impegno alla scienza e si è battuta per i diritti delle donne, considerandole una grande potenzialità per l’umanità, ma sempre al pari degli uomini: il punto non è quindi la supremazia di un sesso sopra l’altro, ma semplicemente la ricerca di una parità tra i due che permetta a entrambi di esprimersi nel miglior modo possibile.
Non serve dire che molte altre donne come le quattro appena presentate abbiano sconvolto il secolo scorso e ne abbiano spinto altre ad ispirarsi e portare avanti la loro azione rivoluzionaria, da ribelli. In fondo, “Siamo come nani sulle spalle dei giganti” (Bernardo di Chartres).
Ovunque nel mondo ragazze e donne si ribellano quotidianamente a sistemi ingiusti che limitano la loro libertà. C’è chi si batte con coraggio, chi con tenacia, chi con la retorica e chi con pacatezza. Eppure, nella maggior parte dei casi, una donna che apre bocca senza ridacchiare o senza essere seducente viene immediatamente catalogata come pericolosa, scomoda, ribelle.
Ribellione ha perso completamente la sua accezione positiva, di qualcosa che rompe le regole per crearne di migliori, che si batte contro l’ingiusto per riportare a galla il giusto. Al giorno d’oggi, una ribelle non è altro che una povera stupida che grida assurdità in un microfono e, per questo, le spetterebbe una punizione – un fischio, un insulto, una risata, fino a giungere a minacce, violenza fisica, omicidio.
Basti pensare che una donna musulmana che prova ad emanciparsi viene automaticamente condannata a morte: l’esempio più celebre è certamente Malala Yousafzai, che a diciotto anni è una delle maggiori attiviste nel campo dell’emancipazione femminile, ma che, purtroppo, si trova anche nei mirini talebani a causa del suo coraggio nelle dichiarazioni e nelle accuse.

Un secondo caso che mi sento di citare è il gruppo punk rock russo delle Pussy Riot, condannate con un pretesto insulso (aver suonato in una cattedrale non era sicuramente la ragione per cui il governo di Putin le volesse mettere fuori gioco) a scontare una pena carceraria per le loro canzoni dai testi sfrontati, che condannano la società arretrata e fortemente maschilista del loro paese.
Per ultime, come non parlare delle Femen, movimento di protesta femminista ucraino che non si è mai posto limiti nelle sue manifestazioni, lottando ogni giorno per la parità dei sessi.
Fortunatamente, come durante il secolo scorso, anche gli anni correnti sono caratterizzati dalla presenza di molte ribelli.
Ma ritengo che sia un errore considerare queste donne, seppure magnifiche nel loro coraggio e nella loro tenacia, fuori dalla nostra portata: non sono un élite da celebrare dal basso, ma esempi da seguire anche nella propria vita quotidiana.
Infatti, episodi di sessismo e di ingiustizia succedono a qualunque ragazza, purtroppo. Dal fischio di approvazione che proviene da una macchina fino alla tragicità del subire una violenza, una donna vive ogni giorno vive la sua personale battaglia.
Per questo motivo ritengo che sia necessario che le ribelli di ieri e oggi non ispirino solo grandi discussioni astratte, ma azioni concrete.
Una ragazza che si sente schiacciata dalla piccola realtà di paese dove ha sempre vissuto dovrebbe fare di tutto per spostarsi verso centri più grandi che le permettano di esprimere la propria individualità senza limiti? Sì, certo.
Una donna frustrata dal proprio matrimonio, stanca di una relazione inesistente, dovrebbe lasciare il marito, per quanto possa sembrare sconveniente agli occhi degli altri? Sì, certo.
Una ragazza dovrebbe poter scegliere il proprio futuro, nonostante appaia stravagante o decisamente poco appropriato a lei, come fare la calciatrice o la scienziata? Sì, certo.
Una giovane donna non dovrebbe andare a convivere con la persona che ama, che questa sia un uomo o un’altra donna, senza la paura di venire giudicata male in quanto contraria a principi religiosi? Sì, certo.
Una ragazza dovrebbe sviluppare i suoi pensieri e le sue opinioni senza la paura che questi vengano derisi perché detti da una femmina? Sì, certo.
Ogni donna dovrebbe mantenere in sé una fiamma ribelle, mantenuta viva dagli esempi del passato e dalle azioni del presente. Infatti, poco interessa da dove si viene o dove si è dirette: è fare valere la propria individualità perché è importante quanto le altre, non perché superiore o inferiore, l’obiettivo finale.
Essere fiere e, perché no, ribelli.
Fonte: donne ribelli