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Reinventare il sé: Anna Piaggi
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Reinventare il sé: Anna Piaggi

Articolo di Nicola Brajato

Reinventarsi. Cosa difficile a dirsi, figuriamoci a farsi. Quante volte limitiamo le possibilità di trasformarci in qualcosa o qualcuno che vorremmo per paura del giudizio altrui? Pensiero che inquina le più piccole scelte della nostra quotidianità, ma anche le più decisive che possono influenzare il nostro percorso di vita.
Mettersi in dubbio, interrogarsi sulla propria integrità è un bellissimo esercizio, che aiuta ad andare al di là delle apparenze e delle possibilità. Ebbene, maestra indiscussa di questa abilità, sfila davanti a noi una figura fluida, a tratti grottesca. Un ondulato ciuffo blu, che si estende fino a svelare quello sguardo aperto verso l’infinito, che viaggia, un occhio di vreelandiana memoria. Gote color arancio e labbra autoritarie. C’è chi la ricorda per le sue D.P. (Doppie Pagine), chi per la sua spiazzante estetica e chi ancora come incarnazione del concetto più sublime di stile. Mesdames e messieurs: Anna Piaggi (1931-2012).

Anna Piaggi

Giornalista, editor e stylist dagli anni ’50, collabora e scrive per diverse riviste nazionali e internazionali, tra le quali L’Espresso, Panorama e Vogue Italia, dove a partire dal 1988 collabora con l’audace e visionaria editor-in-chief Franca Sozzani. Nel suo periodo presso Vogue, la Piaggi ha modo di sperimentare una nuova forma di giornalismo. Con un approccio dal sapore postmoderno, racconta la moda in maniera evocativa attraverso giochi di parole e grafiche accattivanti con le sue Doppie Pagine (D.P. di Anna Piaggi). Ma perché dedicare un articolo a questa figura del panorama giornalistico italiano? Perché Bossy, e tutti noi, dovremmo celebrare e ricordare Anna Piaggi? Cercherò di spiegarvelo nelle prossime righe, introducendovi una delle figure più affascinanti della cultura della moda italiana.

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Di origini milanesi, la Piaggi non inizia subito la sua carriera nel mondo della moda, anche se scopre questo feticismo spassionato per la superficie tessile molto presto. Aveva quattro anni quando, per un Carnevale, la madre la veste con un costume da olandesina. In quel momento scopre che quello era ciò che voleva. La stessa Anna sostiene che quell’abito le cambiò la vita. Dopo aver lavorato come segretaria, sente di aver bisogno di evadere da quel mondo fatto di automatismi e noia. Si inventa così un lavoro che possa unire le sue due grandi passioni: la moda e la scrittura. Fuori dagli uffici, si rifugia poi al Bar Giamaica insieme al compagno fotografo Alfa Castaldi, dove frequenta l’avanguardia artistica milanese.
Ma anche Milano inizia ad essere stretta per lo spirito ribelle della Piaggi. Decide così di approdare a Londra, dove incontra un’altra figura molto importante della sua vita: il gallerista Vern Lambert. La capitale inglese rappresenta sicuramente un punto di svolta nell’approccio stilistico di Anna. Nel contesto di quegli anni, dove tradizione e sovversione si mescolano in un’atmosfera unica, la Piaggi è in grado di trovare un’attitudine diversa da applicare al suo giornalismo. Lei e la sua scrittura possono diventare ciò che vogliono, e perché non portare questa filosofia anche nell’editoria italiana? Di lì a poco diventa anche la musa di alcuni tra i più celebri fashion designer, tra i quali possiamo sicuramente individuare Manolo Blahnik e Karl Lagerfeld, quest’ultimo suo grande amico e autore dell’opera Anna-chronique. Un diario di moda del 1986.

Mi piace pensare ad Anna Piaggi come uno squarcio culturale. Molto spesso parlo di corpo e abito come Manifesto per sovvertire quelle che sono le norme che costruiscono le nostre identità, quelle fastidiose leggi non scritte che indossiamo, consciamente o non. Ma basta guardare una foto di Anna per capire che anche solo la sua immobilità permetteva una messa in discussione di queste regole estetiche. Era più di un Manifesto. Era un palcoscenico vivente dove continuava a reinventare sé stessa con meravigliose creazioni, ma mai in modo banale, sempre con un filo logico e sapiente.
Continuando la riflessione sul corpo rivestito, vorrei riprendere la definizione di stile del semiologo Roland Barthes, ovvero l’opposizione tra la norma e lo scarto, perfettamente applicabile al caso Anna Piaggi. La moda in questo contesto si pone dunque come sistema aperto, di adesione o denuncia di quelle che sono le norme estetiche che definiscono l’individuo intelligibile o inintelligibile, la norma o l’abietto.

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Anna Piaggi

Anna Piaggi con il suo stile strappa le convenzioni che girano attorno alla costruzione estetica dell’identità e crea nuove possibilità. Anna è un ricordo lucido nelle prime file delle sfilate: tutti la desideravano, in mezzo a quei corvi neri, giornalisti in total black. Con la sua presenza incarnava l’elemento perturbante, destabilizzando tutto ciò che la circondava. La sua era un’indagine su come uscire dai limiti corporei, dalle barriere che ci definiscono, contaminando il mondo attorno a sé. Viveva e percepiva il suo corpo in modo punk, senza confini invalicabili. Nella sua illimitatezza corporea, congiunta a scelte stilistiche estreme e surrealiste, troviamo quel principio in grado di provocare uno spiazzamento visivo che fa emergere la frattura tra contesto “artificiale” e contesto “naturale”. Ma, in fin dei conti, la moda rimane pur sempre la più raffinata delle forme artificiali di adornamento del corpo. L’abito cambia con la storia, con le culture, con le rivoluzioni. Non vi è nulla di “naturale” in questo fenomeno. E la Piaggi, con eccezionale maestria, ce ne dà la prova, approfittando di quest’anima culturale per sperimentare, esprimere un’identità pittorica, per reinventarsi.

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Mesdames e Messieurs… dovrei dunque continuare con “cala qui il sipario”, ma scrivendo di Anna Piaggi preferisco lasciare la formula in sospeso. Il sipario lo voglio lasciare sollevato di modo che tutti la possano ammirare nella sua stupefacente libertà. Anna è una di quelle icone che resterà per sempre nella memoria collettiva, per ricordarci che non c’è nulla di più affascinante dell’abbracciare il lato vivace della sperimentazione, del possibile, del plurale. È stata in grado di utilizzare l’effimero per mettere in discussione i limiti culturali del quotidiano, a volte un po’ troppo stretti e giudicanti. Perché la sovversione può partire anche da un piccolo gesto, come una scelta estetica. E la moda è stata l’arma principale della Piaggi, capace di sovvertire gli stereotipi estetici in modo unico, concettuale, ma soprattutto reale.

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