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Performatività di genere: Gender Trouble di Judith Butler

Performatività di genere: Gender Trouble di Judith Butler

Quando si parla di genere, capita spesso di imbattersi in definizioni sbagliate e usi impropri del termine, e altrettante volte emerge invece la confusione circa il suo significato. Iniziamo, quindi, a chiarire i punti più semplici e ampiamente dibattuti: innanzitutto, la teoria del gender o ideologia gender non esiste. Non si tratta, infatti, di un termine inventato dalle correnti femministe e dalla comunità LGBTQIA+ per creare un nuovo ordine mondiale all’insegna della promiscuità, dell’assenza di moralità e della perversione sessuale. E no, sesso e genere non sono la stessa cosa. Mentre il sesso è una categorizzazione biologica (spoiler: femmina/maschio non sono le due sole opzioni possibili. Mai sentito parlare di intersessualità?), il genere è la sua elaborazione sociale, che si estende a contesti e domini in cui le differenze biologiche sono del tutto irrilevanti. Per fare un esempio semplice e chiaro, sicuramente il corredo cromosomico, ormonale e l’apparato riproduttivo di una persona non determinano in alcun modo la sua conoscenza della terminologia inerente i colori o l’uso di un determinato linguaggio. Come sappiamo, inoltre, sesso e genere possono non corrispondere, ed è ciò che accade quando l’identità di genere è diversa da quella biologica.

Ma, quindi, che cos’è il genere? Sicuramente dare una definizione univoca e precisa non è un compito facile. Si può partire da ciò che non è: il genere non è qualcosa con cui nasciamo, qualcosa che possediamo, un insieme di tratti e caratteristiche; al contrario è qualcosa che ognunə di noi fa. Il genere è un concetto ideologico, costruito dalla società, un conseguimento ricorrente, ripetitivo e socialmente organizzato, ma talmente radicato nelle istituzioni, nelle nostre azioni e pensieri da sembrare del tutto naturale.
Tale concetto si è evoluto e modificato nel tempo, di pari passo allo sviluppo degli studi accademici. Inizialmente, infatti, il genere era visto in un’ottica essenzialista che considerava le categorie donna/uomo come fisse, stabili e contrapposte l’una l’altra, piuttosto che come entità variabili. L’idea viene capovolta con l’avvento del costruzionismo sociale, che mette in dubbio la nozione di genere come categoria sociale. Secondo questo movimento, l’identità di genere è un costrutto che sorge dalla relazione reciproca con ə altrə. Il genere non è più considerato, quindi, una categoria sociale stabile e fissa, bensì diviene il prodotto dell’interazione, un aspetto dinamico, un conseguimento attivo e interattivo.

Un importante punto di svolta negli studi di genere si ha nel 1990, quando Judith Butler pubblica Gender Trouble (tradotto in italiano con il titolo Questione di Genere), considerato uno dei testi fondanti della teoria queer, in cui la filosofa mette in crisi il concetto di genere che aveva caratterizzato i lavori precedenti. Nel suo lavoro Butler critica gli assunti eterosessuali della teoria letteraria femminista che ha come proprio soggetto politico le donne intese come una categoria coerente, unificata e stabile. Secondo l’autrice, infatti, la teoria femminista attribuisce al genere femminile un’identità comune, che di fatto non tiene conto delle variabili politiche, culturali e sociali di classe ed etnicità, producendo in tal modo esclusioni e gerarchizzazioni all’interno del femminismo stesso. La restrizione del concetto di genere a un’identità fissa e condivisa comporta la reiterazione del binarismo femminilità/mascolinità. Tale binarismo legittima e giustifica la battaglia politica femminista contro il patriarcato, in questo caso universalmente inteso, e il dominio maschile, e implica l’eterosessualizzazione del desiderio.

Butler ritiene che il concetto d’identità alla base della politica femminista ne limiti e restringa le possibilità culturali, per cui ribalta il concetto stesso d’identità di genere, introducendo quello di performatività. Secondo la scrittrice, infatti, non si può dire che una persona sia o abbia un genere, poiché il genere è costruito e ricostruito nelle interazioni, fluido e frammentato. Il genere, quindi, non è un’identità stabile, pre-discorsiva e posseduta dalle persone fin dalla nascita, ma è costituita nel tempo attraverso la ripetizione di atti, gesti e desideri, in una cornice rigida di regolamentazione, che creano l’illusione di un genere interiore, una sostanza interna e naturale, allo scopo di perpetuare il dominio dell’eterosessualità riproduttiva.

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Secondo la studiosa americana, gli attributi di genere, ovvero la produzione della propria significazione culturale, sono da considerarsi come performativi piuttosto che espressivi. Di conseguenza, non può esistere alcuna identità preesistente, alcuna femminilità o mascolinità vera e costante, sulle quali misurare tali atti o attributi, poiché essi costituirebbero solo l’identità che esprimono. Il concetto di performatività di genere teorizzato da Butler, quindi, ha permesso agli studi di genere di allontanarsi dalla visione essenzialista, che considera le donne e gli uomini come appartenenti a due gruppi opposti e omogenei, e da un’idea monolitica del genere. Il capovolgimento di una visione binaria ha prodotto, infatti, la decostruzione della nozione di una singola femminilità e mascolinità, che vanno ora intese come plurali.
Perciò, sebbene la scelta sia sempre limitata e regolata da norme sociali e da una forma egemonica della concezione generale (ed improria) di tali termini, ogni persona ha a disposizione una gamma di diverse femminilità e mascolinità tra cui scegliere. Il genere, quindi, non si acquisisce mai in modo definitivo, ma è costantemente riaffermato e manifestato pubblicamente attraverso la performance di determinati atti, che permettono a ognuno di noi di rappresentare persone e identità diverse in base alle situazioni, al pubblico e al ruolo che vogliamo svolgere nell’interazione.

Bibliografia:
Judith Butler, Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity, Routledge, New York, 1999 [1990].

 

Credits
Immagine cove sito – illustrazione di Gea Testi
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Foto di Ronê Ferreira: https://www.pexels.com/it-it/foto/persona-che-indossa-occhiali-da-sole-rosa-2577901/