Altro giro, altra corsa. Anche oggi facciamo la conoscenza di quattro donne che hanno segnato e segnano tuttora la storia del femminismo dai più disparati angoli del globo. Impariamo dal passato per migliorare il presente. Impariamo che vale la pena lottare.
Kimberlé Crenshaw
Considerata la fondatrice del femminismo intersezionale, Kimberlé Crenshaw è nata in Ohio nel 1959 ed è una giurista e professoressa statunitense. Il paradigma dell’intersezionalità descrive come diverse forme strutturali di discriminazione possano sovrapporsi, per esempio in base al genere, alla classe sociale di appartenenza, alle caratteristiche fisiche o all’attribuzione di un’origine etnica. Nella loro sovrapposizione, queste categorie conducono a un tipo di emarginazione molto specifico: nel mondo del lavoro, per esempio, le donne nere non solo sono discriminate come donne, ma anche perché non sono bianche. Questo aspetto viene concretamente illustrato nel famoso saggio di Kimberlé Crenshaw “Demarginalizing the Intersection of Race and Sex” del 1989, nel quale l’autrice discute vari casi di pratica legale: in un caso, per esempio, cinque donne nere negli anni ’70 citano in giudizio la casa automobilistica statunitense General Motors per non aver assunto donne nere fino alla metà degli anni ’60 e quelle che hanno in seguito ottenuto un posto di lavoro sono state poi minacciate dalla possibilità di licenziamento durante una crisi aziendale. Tuttavia, il tribunale ritiene che le querelanti non siano in grado di dimostrare perché, in quanto gruppo di donne di colore, debbano essere protette in modo particolare da qualsivoglia discriminazione. Afferma, inoltre, che gli uomini neri non sono stati interessati dai licenziamenti e che non è pertanto possibile che sia avvenuta alcuna discriminazione sulla base del colore della pelle. E nemmeno delle forme di discriminazione sulla base del sesso, dato che le donne bianche in azienda non hanno perso il loro lavoro. Usando questo e altri esempi, Kimberlé Crenshaw critica l’incapacità dei tribunali di riconoscere la discriminazione intersezionale e specifica delle donne nere, ma anche quella di non accettarle come rappresentanti delle donne bianche. Il femminismo intersezionale estende questa critica al movimento femminista e vuole rinegoziare queste domande: chi può parlare a nome del movimento? Quali realtà sono rilevanti per le istanze femministe? La risposta? Tutte!
Judith Butler
Sebbene Simone de Beauvoir avesse già sottolineato l’esistenza di un genere modellato a livello sociale da norme e sanzioni, Judith Butler ha fatto un ulteriore passo avanti. Lei è una delle più importanti pensatrici e filosofe contemporanee e vive e insegna negli Stati Uniti e sostiene che il genere, specialmente nella sua divisione binaria in uomo e donna, sia un costrutto esclusivamente sociale. Una distinzione tra genere biologico e sociale diventa così non valida perché il genere non è qualcosa che viene definito dalla biologia. Secondo Butler, le categorie di genere in quanto tali sono servite solo a consolidare i rapporti di potere all’interno della società. Contrariamente a molte accuse da parte dei suoi critici, Judith Butler non ignora la realtà dei prerequisiti fisici delle persone, quali gli organi riproduttivi, ma si interroga molto più a fondo: perché queste caratteristiche sono così cariche di significato in quanto categorie e considerate come maschere sociali che hanno strutturato la nostra società, il nostro pensiero e le nostre azioni per secoli?
Marielle Franco
Decine di migliaia di persone in Brasile scendono in strada nel marzo 2018 guidate dalla collera, dal dolore e dall’esigenza di trovare una risposta alla domanda: “Quem matou Marielle?”, ossia “Chi ha ucciso Marielle?”. Il 14 marzo dello scorso anno la politica Marielle Franco viene uccisa a Rio de Janeiro da nove colpi di pistola che la colpiscono mentre è in macchina sulla via di casa. Muore anche il suo autista e uno dei suoi dipendenti rimane gravemente ferito. Nella metropoli brasiliana, la trentottenne Marielle Franco lavorava come consigliere comunale e aveva diretto la commissione femminile del parlamento cittadino. In quanto donna nera e queer cresciuta in una favela, si è battuta contro il razzismo e per i diritti delle donne, in particolare delle donne trans, emarginate e vittime di violenza da parte dei militari e delle forze di polizia. Proprio quest’ultimo aspetto, in particolare, ne ha probabilmente fatto un bersaglio: Marielle Franco aveva criticato aspramente il tentativo di militarizzazione del Paese messo in atto dal Presidente Michel Temer e, poco prima della sua morte, aveva condannato i militari per l’omicidio del giovane Matheus Melo. In molti sono certi che l’omicidio di Franco sia stato commesso da milizie composte da ex poliziotti e ufficiali militari. Secondo gli esperti, le munizioni che hanno ucciso l’attivista provenivano dall’arsenale della polizia federale. Nel dicembre 2018 sono stati arrestati i primi sospetti, tra cui un capo della milizia e un ex agente di polizia.
Demet Demir
Demet Demir, la prima attivista turca trans, è a tutti gli effetti un’istituzione del femminismo turco. Il suo attivismo ha origini fin dai tempi della scuola e Demir è diventata presto un bersaglio politico. Tra gli anni ’70 e gli anni ’80 la Turchia ha affrontato un periodo politicamente tumultuoso: i militari hanno realizzato per ben due volte un colpo di Stato e migliaia di attivisti politici, curdi e membri dell’opposizione sono stati rapiti e uccisi. Dopo il colpo di Stato militare del 1980, Demet Demir è stata più volte arrestata e torturata e nel 1982 ha trascorso otto mesi in prigione. Ma Demir non si è arresa e ha continuato a lottare manifestando per strada (e talvolta in tribunale) per i diritti delle persone trans, dei/delle sex worker e contro gli omicidi motivati dall’odio nei confronti delle donne e delle persone queer. Secondo una ricerca della rete Transgender Europe, tra il 2008 e il 2016 la Turchia è stato il Paese con il più alto tasso di omicidi di persone trans o di terzo genere nel contesto europeo. Quarantatré persone hanno perso così la vita e il numero stimato di casi non segnalati è ben più elevato. Demet Demir è stata la prima candidata della comunità LGBT+ a partecipare alle elezioni locali per il Partito della Libertà e della Solidarietà (ÖDP) nel 1999 e alle elezioni parlamentari nel 2007. Purtroppo senza successo. Finora.
Credo sia importante conoscere queste biografie vicine a noi dal punto di vista temporale. Perché troppo spesso si dice che la nostra società non abbia più bisogno del femminismo, perché troppo spesso dimentichiamo le realtà geograficamente lontane dalla nostra. E per tutte le Marielle Franco la cui vita è stata strappata via in nome di questa battaglia.