Gli Stella Maris sono un progetto di Umberto Maria Giardini, Gianluca Bartolo de Il Pan del Diavolo, e Ugo Cappadonia, accompagnati dalla sezione ritmica di Paolo Narduzzo di Universal Sex Arena ed Emanuele Alosi.
A novembre 2017 è uscito per La Tempesta Dischi il loro disco d’esordio: un gioiello che rievoca gli anni Ottanta con sprazzi di punk e psichedelia, interamente incentrato sull’amore omosessuale.
Umberto Maria Giardini ci ha raccontato di come l’album abbia preso forma e del suo modo di scrivere d’amore e non solo.
Gli Stella Maris sono quello che viene generalmente chiamato un super gruppo: musicisti già navigati, con loro progetti attivi, che iniziano a suonare insieme e pubblicano un disco. Come vi siete “trovati”?
Bene. Ovviamente eravamo e siamo cinque teste che pensano e suonano in modo diverso, quindi essendo il più rodato e anziano del progetto ho dovuto dettare alcuni schemi di indottrinamento e di manierismo pratico per accelerare i tempi, sia in fase di pre-produzione che nella gestione del lavoro. Ma alla fine ci siamo divertiti e ne siamo venuti fuori in modo elegante e dignitoso.
Quali sono state le dinamiche di produzione delle canzoni? Chi si è occupato di scrivere cosa (testi, parti strumentali)?
Fondamentalmente la mente di Stella Maris è stato Cappadonia, anche se mi sono occupato prevalentemente di tutto io. Le musiche le abbiamo scritte assieme, mentre i testi sono farina del mio sacco. Come è giusto che sia del resto, considerato che canto e sono il front man della band. È anche vero però che tutti gli altri hanno dato un determinante contributo al risultato finale. I giri perfetti di basso di Paolo Narduzzo, i stupendi riff di Gianluca Bartolo e le precise sezioni ritmiche di Alosi. Tutti hanno determinato il suono e la fisionomia di Stella Maris.
Il disco è incentrato su un’unica tematica, l’amore. Vi siete focalizzati, oltre ogni stereotipo, sull’amore omosessuale, come mai questa scelta?
Perché l’amore gay oltre che essere strumentalizzato spesso in modo negativo non è compreso che in maniera marginale, superficiale. Tutti amiamo, tutti soffriamo in amore, ma a volte l’omosessualità riserva pene e sofferenze maggiori legate alla società all’interno del quale si sviluppano e sono costrette a vivere. La famiglia, l’ambiente lavorativo, gli amici, la nostra società e la sua cultura non agevola l’amore gay, questo è un dato di fatto. Ho e abbiamo cercato di rendere l’argomento satellitare alla realtà e al sentimento gay.
Fare musica è per te – inteso come Umberto Maria Giardini e i suoi progetti, ma anche per te come membro degli Stella Maris – arrivare al cuore e alla testa delle persone per far riflettere, stimolare, lasciare un messaggio o è una semplice espressione di ciò che ti porti dentro a livello di emozioni e pensieri, ai quali dai vita suonando, scrivendo?
Non ho mai e poi mai pensato né di arrivare alla testa di chi mi ascolta, tanto meno di inviare messaggi che possano cambiare la testa degli altri. Ho sempre e semplicemente mirato a fare le cose fatte bene. Ho sempre ricercato la perfezione pur essendo cosciente di non averla mai né sfiorata né tanto meno raggiunta. Mi piace molto leggere e mi piace tradurre i miei pensieri e ideali nella scrittura, anche quando scrivo cose apparentemente semplici e di facile comprensione. Ho sempre mirato all’obiettivo di cercare una sorta di armonia, dalla quale faccio poi molta difficoltà a distaccarmi, ma allo stesso tempo sono cosciente che scrivere bene serve a me, e non agli altri. Tutti dimenticano velocemente tutto e tutti sorvolano anche quando la bellezza è a portata di mano. Quello che faccio lo faccio per me, non per gli altri.
Come cambia – sempre che cambi – il tuo modo di scrivere, come ti approcci alle liriche di una canzone quando racconti storie altrui e quando invece parli di te?
Difficilmente scrivo di storie altrui. Qualche volte mi capita anche di vaneggiare, di essere cioè visionario raccontando del nulla. Non a caso sono sempre stato un grosso fruitore di musica psichedelica poiché riconosco in certe sonorità, in certi approcci un mondo vicino al mio. La mia è una vera e propria visione della vita. Le droghe pesanti consumate in giovinezza mi hanno lasciato un segno a mio avviso totalmente benevolo, forse per la fortuna di aver smesso preventivamente non appena ho cominciato a soffrirne l’abuso, tuttavia sono rimasto segnato da queste esperienze legate alla vita sospesa tra il reale e il sogno. Spesso questa sensazione la traduco nei miei testi, che sono riconoscibilissimi, sempre sul filo del rasoio tra realtà oggettiva e visione.
L’album degli Stella Maris nasce sotto l’influenza degli Smiths, e poi? Quali dischi stavate ascoltando, quali libri stavate leggendo, quali storie/notizie/fatti di cronaca vi hanno colpito, mentre lo stavate scrivendo?
Non lo so, non chiedo mai ai miei collaboratori cosa ascoltano, cosa leggono o da cosa sono influenzati in determinati momenti. L’influenza dell’esperienza Smiths è stata determinante. Come raccogliere un testimone dimenticato da tutti e riproporlo in maniera semplice, originale e diversa. Morrissey, Rufus Wainwright, Roy Orbison, Jeff Buckley, Dulce Pontes, Maria Callas sono da sempre i miei riferimenti legati a come il canto a mio avviso andrebbe espresso. È normale che quando canto assomigli a molti di loro. Chiunque assomiglia a qualcuno, ed è bellissimo.
Quale brano degli Stella Maris rappresenta maggiormente ciò che volevate realizzare con questo progetto?
Non lo so. Ogni brano rappresenta un po’ di noi e del progetto. È un discorso molto soggettivo, chiunque di noi potrebbe rispondere in modo diverso. Io personalmente amo il brano Rifletti e rimandi poiché mi ricorda tantissimo Elvis e quel rock’n’roll col retrogusto folk rockabilly che ho sempre amato.