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“Stonewall”: come cancellare le leader trans in 129 minuti
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“Stonewall”: come cancellare le leader trans in 129 minuti

Articolo di Angelo Serio

Il mondo gay, o almeno la sua parte movie-addicted, è in trepidazione per l’anteprima mondiale dell’ultima opera cinematografica del regista tedesco Roland Emmerich. Non tanto perché il film è diretto da lui, quanto per l’argomento che tratta: i moti di Stonewall.

Benché appartenenti ormai ad un mondo lontano, tanto per cronologia quanto per il coraggio che ha mosso i rivoltosi a ribellarsi all’ordine costituito, Stonewall è ancora una ferita aperta nel cuore della comunità lgbtq. Erano anni in cui la violenza psicologica, che poi era violenza sociale, afferrabile e concreta, faceva compagnia alle percosse fisiche -calci, pugni, sputi, arresti, vessazioni, torture; erano anni in cui per la democrazia era probabilmente un vanto quello di emarginare un minoranza; erano anni in cui se eri omosessuale, lesbica o transessuale dovevi ringraziare il cielo se tornavi a casa viv*. Ed è immaginabile quanto fosse stato difficile, per quei ragazzi e per quelle ragazze, proiettarsi in un mondo dove finalmente si poteva arrivare a casa senza avere il fiatone dopo la corsa fatta per non farsi pestare.

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Perché per certe cose ci vuole l’ardire non solo di agire, ma soprattutto di pensare ad un’alternativa: l’uomo è un essere che vive nella società la quale lo costituisce culturalmente. Se non vi è la comprensione di uno stato di minorità, non vi potrà essere una volontà agente. E non solo: la subordinazione a cui si è sottoposti in quanto comunità o gruppo sociale, è spesso informale e privata, il che rende il sottrarsi al volere del gruppo maggioritario un’impresa ancora più ardua.

Si discute molto, tra i teorici sociali, se l’appartenenza culturale sia una scelta: i rivoltosi di Stonewall scelsero di ribellarsi in quanto appartenenti a quella cultura e scelsero di esserne i riformatori. Se oggi, 46 anni dopo, la comunità lgbtqi chiede (e ottiene) spazi è perché loro glielo hanno concesso. E se è importante ricordare Stonewall è perché esso è la data di fondazione della storia contemporanea lgbtqi.
Questo è il motivo per cui sono in tanti, nel mondo, ad attendere il film di Emmerich. Opera che, tuttavia, è passata alle cronache per aver estromesso, volutamente o no ma non è questo il punto, alcuni importanti protagonisti del movimento. Su diversi siti americani si parla addirittura della possibilità di boicottare il film proprio perché se da un lato ricorda un momento storico di resistenza, dall’altro cancella la memoria delle persone che erano li.
“È solo un film!”, certo. “I personaggi possono essere anche inventati”, sicuramente. “L’importante è che narri i fatti”, ma ci mancherebbe altro. Ma per i motivi elencati sopra è anche opportuno palesare gli artefici di quelle gesta eroiche, gli iniziatori della riforma liberatrice sessuale. Soprattutto se queste persone erano quelle transessuali di colore che spesso vengono considerate come l’ultima ruota del carro dalla comunità lgbtqi. Molte di loro nel film sono assenti o comunque, essendo il film non ancora nelle sale, non sono accreditate nel cast da IMDb.
Proprio perché si tratta di una storia vera, con persone reali, perché non raccontarla con loro?

Il punto non è il dare risalto a queste persone per ripagarle del contributo che hanno dato al movimento, non ne hanno bisogno: alcune di loro sono morte da anni, altre sono già appagate dai successi del movimento per l’uguaglianza. Il punto è un altro: è una questione di concetto. Non si può raccontare qualcosa e pretendere di farlo bene, se si tagliano le radici. Non si può dire alla comunità gay e gay-friendly “ecco questi sono i vostri padri e le vostre madri”, se sono proprio quelli a mancare.

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È allora fondamentale raccontare della quasi diciottenne trans, Sylvia Rivera, passata alla storia per aver lanciato il suo tacco a spillo contro la polizia. È necessario dire della trans di colore, Marsha P. Johnson, che era lì fin dall’inizio a incitare lo Stonewall Inn, dove si trovava per festeggiare il suo compleanno. È importante parlare di Miss Major che, in quanto leader dei disordini, venne arrestata e seviziata dalle forze di polizia. È importante ricordare queste donne che parteciparono ai riots, che si alzarono in piedi per i diritti di tutte le persone LGBTQ solo per essere, successivamente, quasi cancellate dagli annali del movimento.

Bisogna ricordare di aver avuto donne come loro, ignorate e ostracizzate anche, addirittura, dalla comunità gay. Per loro si deve lottare oggi: per i loro diritti, per la loro uguaglianza, per la loro parità.

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