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“Il corpo elettrico”: intervista alla scrittrice e giornalista Jennifer Guerra
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“Il corpo elettrico”: intervista alla scrittrice e giornalista Jennifer Guerra

Il libro di Sinossy di settembre è “Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà” (edizioni Tlon), scritto dalla giornalista femminista Jennifer Guerra. “Il corpo elettrico” è un libro diviso per argomenti che sembrano luoghi di scontro ma che invece alla lettura si scoprono essere luoghi di meraviglia. “Il personale è politico”, “Contenuti e contenitori”, “Lo si diventa”, “Dalla parte delle bambine”, “Questo è il mio sangue”, “Una buona eroina è un’eroina morta”: i capitoli sono slogan, titoli di altri libri, citazioni che aprono porte e diventano stimoli. All’autrice abbiamo chiesto di raccontarci come e quando è nato questo libro e di aiutarci a entrare nei suoi luoghi.

La copertina di “Il corpo elettrico” è molto suggestiva e insieme al titolo, tratto da una poesia di Walt Whitman, sembra voler evocare il pubblico al quale si rivolge: donne desiderose di un femminismo nuovo e diverso da quello che di solito s’incontra. È una prima impressione corretta? E per chi hai scritto questo libro, a quale lettrice o lettore pensavi di rivolgerti?

Correttissima, direi, tanto che la prima volta che mi è stato chiesto esplicitamente: “Ma anche un uomo lo può leggere?” mi sono ritrovata un po’ spiazzata, perché nello scrivere il libro ho pensato a un pubblico femminile. Ovviamente ciò non significa che non sia una lettura adatta a un uomo, anzi, forse può stimolare certe riflessioni che un discorso più “teorico” non solleverebbe. Credo che gran parte del libro si regga su un senso di “empatia” che deriva dall’esperienza del proprio genere in una società ancora molto normativa. Per questo uso molto la prima persona plurale e l’espressione “noi donne”, che tra l’altro è tipica della letteratura femminista degli anni Settanta, dove l’idea del self help e della coscienza condivisa era molto importante.

Al centro delle tue riflessioni c’è il tuo corpo di donna e il suo uso politico, attivo e passivo, e una evidente esigenza di parlarne come troppo spesso non accade. Ritieni che sia un argomento trascurato, mal conosciuto, poco diffuso, frainteso? Oppure, di quali problemi soffre il dibattito attuale riguardo il corpo delle donne?

La mia impressione generale è che, nel discorso mainstream, l’attenzione verso il corpo sia scemata a favore di altre questioni, importanti anch’esse, come quella della rappresentazione mediatica, politica e sociale delle donne. Il “rischio” di concentrarsi solo ed esclusivamente su questi problemi (che non voglio negare, ovviamente) è che le condizioni materiali delle donne vengano messe in secondo piano, quando la mia impressione è che il corpo, nella sua dimensione fisica, sia comunque al centro di tutto. Anche della rappresentazione. Basti pensare a quanto è importante per una donna leader lavorare sul suo aspetto fisico e trovare il giusto compromesso tra l’essere troppo “femminile” e l’essere troppo “mascolina”: stiamo parlando di corpo. Mi piacerebbe che in generale questo tema venga recuperato, soprattutto nella sua declinazione intersezionale, nel rispetto delle differenze e dell’autodeterminazione di ciascuno.

Sei molto esplicita, nel testo, sia a mettere in evidenza i limiti della tua indagine e la sua parzialità, sia a distanziarti da femminismi che non trovi adeguati a confrontarsi su questo argomento; e se ho compreso bene, questa parzialità ti pare un pregio e non un limite della tua analisi. In che senso?

Scrivendo il libro mi sono resa conto di quanto sia parziale la mia visione e di quanta strada debba ancora fare per allargare il mio sguardo. A distanza di tempo, ad esempio, mi sono accorta che nel testo ho usato espressioni abiliste che oggi eviterei, ma quando ho scritto il libro non mi ero ancora educata su questo tema. Credo sia normale, perché il femminismo è anche un percorso di crescita e scoperta inevitabilmente condizionato dal contesto in cui siamo nate e cresciute. Questa consapevolezza spesso è scambiata per auto-censura, ma credo sia importante riconoscere i propri limiti: è il primo passo per migliorarsi. Poi uno dei capisaldi de “Il corpo elettrico” è la celebrazione delle differenze che ci uniscono, a partire dalle esperienze e dai vissuti personali. Non è una gara di purezza.

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Il tuo libro è molto piacevole anche per i continui riferimenti ad ambiti culturali molto noti, per esempio nella letteratura, nel cinema, nelle serie TV. Credi sia sempre necessario un immaginario ricco e variegato per parlare adeguatamente del corpo, oppure è solo un mezzo per una divulgazione più immediata e fruibile? Riformulando: una ricchezza di riferimenti è necessaria oppure no alla comprensione della dimensione politica del corpo?

Mi sono resa conto, anche grazie al mio lavoro di giornalista che si occupa molto di diritti riproduttivi, che spesso le persone non si rendono davvero conto di quanto i meccanismi di potere siano pervasivi sul corpo. È molto difficile, per chi si occupa di fare informazione, far capire la gravità di certi meccanismi e trovo che la cultura pop sia molto utile in tal senso, perché è un riflesso della nostra società a cui tutti abbiamo accesso. Nell’ultimo periodo sto studiando le opere di bell hooks, una teorica femminista non molto conosciuta in Italia, che ha il grande merito di spiegare concetti estremamente complessi parlando di rap o dell’ultima uscita al cinema. Ed erano gli anni Novanta. La teoria è importante, ma ci si può sensibilizzare su molti temi anche in maniera più “leggera”.

Da uomo etero ho trovato il libro estremamente interessante proprio perché nei miei riferimenti culturali alcuni discorsi non li troverei mai formulati con questa completezza. Penso, per fare un esempio, al fenomeno delle mestruazioni sia come metafora sia come reale strumento di manipolazione politica. Pensi sia utile questo tipo di lettura, oppure sarebbe più necessario un confronto non “letterario” ma di pratica politica, per certi argomenti?

Credo che il problema stia nel fatto che gli uomini hanno a che fare quotidianamente con tutte queste tematiche, frequentando altre donne, che siano le loro compagne, amiche, o parenti, ma raramente hanno l’occasione di sperimentare una riflessione politica su di esse. Le mestruazioni sono un ottimo esempio di questa “contraddizione”: se un uomo vive con una donna, è coinvolto anche lui nel ciclo mestruale, anche se non lo sperimenta in prima persona. Ma davvero quel ciclo per lui ha la stessa importanza e rilevanza che ha per una donna? Credo sia diverso sentirne parlare nel quotidiano e farne un discorso politico. Mia mamma recentemente mi ha confidato che mio padre le ha detto di non aver mai pensato a quanto le mestruazioni fossero importanti per le donne prima di leggere il mio libro. Credo sia importante capire che certe cose, certi eventi, non “accadono e basta” nella vita di una donna, ma hanno una valenza più profonda, e penso che sia importante veicolarla anche con la cultura.

Artwork di Chiara Reggiani
Con immagini di: Jennifer Guerra.

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