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Cos’è (e cosa non è) il femminismo
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Cos’è (e cosa non è) il femminismo

Ci sono persone che credono che essere femministi sia una nuova forma di discriminazione di genere per cui, sempre sulla base di assunti sessisti, stavolta sarebbe il genere femminile a opprimere quello maschile. Questa però è una concezione errata, fuorviante, basata su pregiudizi e su una scarsa conoscenza del movimento del femminismo. Vediamo insieme perché.

Cosa non è il femminismo

Da qualcuno il femminismo viene presentato come un movimento volto al ribaltamento dei privilegi politici, sociali, giuridici, economici, civili e culturali di cui per secoli gli uomini hanno goduto. Una rivoluzione che, lungi dall’essere antisessista, muoverebbe dagli stessi presupposti del maschilismo, per giungere alla conclusione che “le donne non sono inferiori agli uomini, anzi sono (o devono essere) a essi superiori”. Secondo questa logica, i privilegi non vengono annientati o rimossi: semplicemente passano di mano. Dalle mani maschili a quelle femminili, per dar vita a una nuova forma di oppressione di genere, portata avanti con la stessa consapevolezza e la stessa volontà. Questa rappresentazione del femminismo – che è errata e che non corrisponde per nulla a ciò che il femminismo è – rende, com’è ovvio, il movimento dei diritti delle donne inviso a molti.

Ci sono anche i casi in cui il femminismo è invece considerato una piccola e trascurabile espressione personale di sé: la lotta per la parità di genere viene, in questo caso, ad assumere la stessa portata della fede calcistica, delle preferenze alimentari, musicali, culturali. Diventa un’opzione: come se essere e non essere femministi fossero due alternative pari per la loro dignità. Come se fosse possibile ed eticamente giusto scegliere se esserlo o meno.

No, non lo è. Il femminismo non dovrebbe essere considerato una libera scelta e definirsi e agire in modo femminista non dovrebbe essere in discussione. E a dirlo non è l’opinione di una persona, ma la storia e il diritto.

Cos’è il femminismo

Il femminismo crede “nell’uguaglianza sociale, politica ed economica dei sessi”, crede nella parità. Il femminismo intersezionale ritiene che le persone debbano avere pari diritti e dignità a prescindere dal genere, dall’etnia, dal culto, dalla provenienza. Pari diritti in ogni ambito: in campo giuridico ed economico, sociale e civile, pubblico e privato, personale e politico. Questa concezione, a cui nessuna persona antisessista può sottrarsi, come tutte le idee che si sono sviluppate nella storia dell’umanità, si radica in un determinato contesto e da questo prende le mosse. Il femminismo nasce dall’oppressione secolare del genere femminile da parte di quello maschile. È la reazione alla subalternità della donna rispetto all’uomo; rivendicazione dell’uguaglianza di genere che si afferma a seguito di una storia lunghissima fatta di discriminazione, umiliazione, emarginazione, penalizzazione del femminile.

Di questa repressione non possiamo fare altro che prenderne atto. Anche se non c’eravamo, anche se non ne siamo responsabili in prima persona, anche se non l’abbiamo vissuta, anche se non è dipesa da noi: è un fatto storico. E l’unica storia che si può cambiare è quella futura. L’unica storia diversa che possiamo scrivere è quella del domani, il resto è negazionismo.

La specificità del femminismo

È proprio la storia a spiegare e raccontare l’etimologia del termine. Non possiamo infatti parlare semplicemente di parità perché il femminismo è un movimento sociale, culturale e politico che fa luce su un problema specifico, quello di genere: non si può prescindere da questo. Non si può fingere che non ci sia mai stato un problema di genere da risolvere, che il genere non sia mai stato parte in causa. Che le donne per secoli non siano state oppresse e gli uomini non siano stati oppressori. Vorrebbe dire negare un’evidenza, una realtà ben delineata e sedimentata nella storia e nella cultura.

Il termine “femminismo” non è neutro, il femminismo stesso non nasce neutro, perché ciò a cui si oppone non lo è. Non si tratta dell’emancipazione di alcune persone non ben specificate rispetto ad altre: si tratta dell’emancipazione delle donne in quanto donne rispetto agli uomini in quanto uomini. Se neghiamo questo, neghiamo la storia.

Femminismo o Maschilismo

A questo punto possiamo affermare che il femminismo è il contrario del maschilismo. Ma non per il riferimento al genere che le due parole suggeriscono: non è un derby in cui ogni parte in causa combatte per un obiettivo parziale e fazioso. Per il femminismo, il maschile e il femminile si equivalgono in termini di dignità e, in virtù di questo, si lotta per l’uguaglianza di genere. Per il maschilismo, invece, il maschile è superiore al femminile e si lotta per la conservazione della disparità di genere. Per il femminismo tutte le persone, qualunque sia la loro identità di genere, hanno pari dignità ed è necessario attuare una trasposizione sul piano pratico dell’uguaglianza teorica e ideologica. Per il maschilismo, il genere maschile surclassa tutti gli altri che devono pagare la loro subalternità di principio in termini di subalternità di fatto. Il femminismo muove da un’esigenza di cambiamento, di rivoluzione; il maschilismo è una riaffermazione continua di uno status quo pregresso. Il femminismo vuole dare la voce a chi non ne ha mai avuta una; il maschilismo continua a far parlare solo alcuni uomini per tutti gli uomini, per tutte le donne e per tutte le persone non binarie e a-gender.

Misoginia e Misandria

Ne consegue che, mentre il maschilismo trae linfa vitale dalla misoginia, si esprime in termini misogini e si manifesta sotto forma di atteggiamenti misogini, il femminismo si oppone tanto alla misoginia quanto alla misandria. Il femminismo non vuole cancellare le differenze tra individui in senso assoluto, ma non considera come discriminanti le differenze di genere. Il femminismo non ama (o odia) a prescindere tutto e tutti, non annulla i generi in partenza, ma sicuramente non è portatore nel mondo di avversione nei confronti di un genere. Per di più, il femminismo non riduce le persone al loro genere per poi distinguerle in individui di serie A e individui di serie B. Semplicemente, non guarda al genere come una questione decisiva per il valore della persona. Il valore della persona prescinde dal genere.

Il femminismo reagisce alle discriminazioni di genere, non per rimpiazzarle con altre, ma per superarle definitivamente. Se sei misogin*, sei maschilista; se sei misandric* (al momento il termine non è ancora entrato ufficialmente nel vocabolario italiano) non sei e, soprattutto, non puoi essere femminista. È vero, esistono alcune realtà che si definiscono femministe e portano avanti messaggi misandrici, ma non basta definirsi realtà femministe per esserlo. Anzi, bisognerebbe fare ben attenzione a chi si sceglie di dare spazio per farsi l’idea di cosa sia un movimento.

Questione di responsabilità

Il femminismo oggi vuole dare spazio alle persone che finora non sono state ancora ascoltate, interpellate e considerate; a gruppi non rappresentati, come le minoranze etniche, sociali, religiose all’interno di maggioranze spesso divisive; agli individui che non rientrano in nessuna categoria preesistente o che, rispetto a queste, si trovano in una posizione borderline; a chi sfugge da etichette pensate per altri e a loro attribuite da terzi, loro malgrado; a coloro che, pur facendo parte di strutture precise, non si rispecchiano completamente in esse e vorrebbero che la propria identità fosse riconosciuta al di là di quella specifica appartenenza.

Insomma, il femminismo oggi non può non essere intersezionale e non guardare alle persone come un insieme di identità, diverse e tutte di pari dignità. Il femminismo oggi fa in modo che siano le persone a raccontarsi e a dire di sé quello che reputano importante.

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Dovremmo essere infatti noi stess* a decidere quali sono le caratteristiche che ci rendono ciò che siamo, e non la società a scegliere per noi e a definirci in un modo o nell’altro. I discorsi generalisti e generalizzanti, in cui tutti gli individui vengono ridotti a questo o a quello schema, non fanno parte del femminismo intersezionale. Tutte le volte che una persona viene ridotta a una delle sue infinite caratteristiche, non si sta portando avanti la causa femminista intersezionale. La parità non implica l’omologazione, anzi la rifugge. Per essere pari non dobbiamo per forza essere uguali: non vi è eguaglianza senza la libertà di poter essere diversi.

Dovremmo essere liberi di essere altro. Di essere l’altro. Di esprimere e rappresentare l’alterità. Di restare diversi. Dovremmo tutt* avere l’opportunità di essere chi vogliamo essere, sempre.

Femminismo e libertà di essere

Grazie al femminismo intersezionale, non mi bastano poche etichette per definirmi, non posso e non voglio definirmi in poche parole. Questa molteplicità di termini che servono per raccontarmi esprime al meglio la pluralità della mia persona. Rende giustizia della complessità della mia identità. Sono tutto ciò che voglio essere e a cui non voglio rinunciare e, soprattutto, la mia identità non è fissata nel tempo. Sono libera di cambiare.

Grazie al femminismo intersezionale però – e a differenza di chi femminista intersezionale non è – riconosco anche agli altri il diritto di essere liberamente ciò che vogliono e di identificarsi in ciò che più rappresenta loro, nei limiti della legalità e del rispetto del prossimo, anche una volta per tutte se lo desiderano o solo per il momento.

Tra i tanti elementi che mi caratterizzano, di sicuro posso definirmi femminista e, in quanto tale, non lascerò che il genere o qualunque altra caratteristica della mia persona (e delle altre) costituisca motivo di discriminazione.

E voi chi siete?

Immagine di copertina: fauxels 
View Comments (4)
  • Grazie per dare voce a quel bisogno di umanità che da troppo tempo cerco e che solo rare volte trovo in queste società.
    La parità, l’uguaglianza, l’accettazione di se stessi e del prossimo mi sembrano requisiti basilari per una civiltà sviluppata; eppure si capisce l’importanza di queste cose quando si deve lottare per ottenerle, perché tutto attorno, ovunque ci si giri a guardare, c’è odio, violenza e giudizi.

    Grazie, per credere in un mondo migliore, per mantenere attiva l’attenzione su questi temi e per ampliare la consapevolezza in chi ancora, purtroppo, non vede o fa finta di non vedere.

  • Trovo questo articolo chiarissimo (complimenti), utile, ma soprattutto NECESSARIO: purtroppo, il solo termine “femminismo” non riesce ad esprimere l’intera ideologia, portando spesso a fraintendimenti e rendendo indispensabili tutte queste specificazioni.

  • Ok, ma a questo punto non potremmo chiamarlo antisessismo e basta? Penso darebbe meno problemi, non serve che ogni volta che voglio esprimermi per la parità debba ricordare che sono stati gli uomini a opprimere e non viceversa, poi si risulta antipatici

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