Articolo di Nicola Brajato
Il 28 aprile del 1870, Miss Stella Boulton e Mrs Fanny Graham furono accusate di oltraggio alla morale pubblica, barbaramente arrestate e incarcerate.
In piena epoca vittoriana, le due amiche e “sorelle mancate” si aggiravano per le strade della città indossando abiti degni di una lady borghese e toilette che nascondevano qualsiasi segno d’imperfezione, elevandole così alla sfera del sublime. Un’aura che non aveva nulla da invidiare all’arte stessa, ma che, come tutte le perfezioni, nascondeva sacrifici e segreti.
Dietro Fanny e Stella, infatti, si nascondevano due rampolli della borghesia londinese: Frederick Park ed Ernest Boulton.
Ma quello che a noi interessa è tutto ciò che accadde dopo l’evento del 28 aprile.
Infatti, nell’arco di un anno seguirono tre sentenze che chiamarono in causa istituzioni quali la legge, la medicina e la polizia, rappresentante del controllo dell’ordine sociale. Analisi mediche furono svolte da una troupe composta di sei medici. Detective e poliziotti svolsero indagini approfondite inglobando nel caso altre ladies e gentiluomini londinesi, portando a galla una delle ansie principali che stava portando l’epoca vittoriana e la tanto cara rispettabilità sull’orlo del tracollo: la sodomia.
Siamo in presenza di un reato, e l’arma del crimine è ovviamente l’abito. Ma la non corrispondenza tra sesso dell’individuo e abbigliamento può davvero stravolgere l’ordine sociale creando paura e angoscia? A quanto pare sì, e il caso Fanny & Stella ne è la dimostrazione.
Questa storia ci accompagna in un contesto dove l’apparire doveva essere segno di “normalità”, e tutto ciò che si discostava dal binomio normale/rispettabile veniva severamente ripudiato e nascosto.
La ricostruzione storica di questo caso è stata affrontata in modo dettagliato dal giornalista Neil McKenna nel romanzo Fanny & Stella. The Young Men Who Schocked Victorian England grazie alle trascrizioni e alle deposizioni delle sentenze, custodite all’Archivio Nazionale. Un racconto che percorre le storie delle due protagoniste, dall’infanzia fino all’arresto.
Vite segnate da quella Rispettabilità tanto cara alla cultura vittoriana, definita da usi e costumi “decenti e corretti”, quanto dal vero e proprio atteggiamento nei confronti della sessualità.
Lo storico George Mosse sostiene che «la distinzione tra normale e anormale sta alla base della moderna rispettabilità; è il meccanismo che rafforza il controllo e fornisce sicurezza». Distinzione che veniva applicata severamente soprattutto nell’ambito della sessualità. La differenziazione sessuale non doveva assolutamente essere modificata, comportando così una chiara distinzione dei ruoli da ricoprire all’interno della società. E proprio il caso Fanny & Stella fu l’ultima goccia che fece traboccare il vaso, rivelando quella realtà contra ordinationem Creatoris et natura e ordinem: l’omosessualità. Le due amiche rendevano visibile ciò che la società voleva reprimere.
Ma torniamo al ruolo dell’abito, in questo caso la vera “arma del crimine”. Era giovedì 28 aprile 1870 quando i detective Frederick Kerley e William Chamberlain fermarono Miss Stella Boulton e Mrs Fanny Graham davanti lo Strand Theatre di Londra con l’accusa di travestitismo. Con il trucco rovinato dalle lacrime e dal sudore, si ritrovarono nel giro di pochi minuti alla stazione di polizia di Bow Street, dove furono sottoposte all’interrogatorio dell’ispettore James Thompson. «Will you give me some explanation for appearing in this dress?» (“Siete in grado di darmi una spiegazione sul perché indossiate questo vestito?”).
Davanti a tale domanda, Fanny e Stella non furono in grado di negare l’evidenza e ammisero la loro “colpa”. Iniziò così l’incubo. L’arma del crimine era stata individuata e, come in tutti i casi, la procedura legale prevedeva l’analisi dell’arma stessa. Furono così obbligate a spogliarsi per consegnare il protagonista del reato: l’abito. La svestizione fu un lento e doloroso processo posto sotto l’attenzione di una folla di poliziotti che scrutavano attenti con uno sguardo che era a metà tra il fascino e il disgusto. Tra fischi, prese in giro e ululati di disprezzo, le crinoline di Fanny e Stella caddero a terra mostrando la loro biancheria intima. Le due protagoniste furono lasciate nel buio della loro cella tra le lacrime e il freddo della notte.
Fu concesso soltanto di tenere la biancheria e, disperatamente, le due ladies cercarono in tutti i modi di ricomporsi con la speranza di ritornare ad un’apparenza normale. Tra pianti e singhiozzi, pregavano e speravano che qualcuno le procurasse degli abiti da uomo per non presentarsi davanti alla corte con la mise della notte precedente. Ma ogni tentativo esterno da parte di amici o conoscenti, che si precipitarono in Bow Street dopo l’accaduto, venne bloccato dalla polizia.
La mattina seguente prese atto la prima sentenza dedicata al caso, seguita da quella del 6 maggio 1870, durante la quale i detective resero pubblico l’inventario del guardaroba di Fanny e Stella, stilato durante un’ispezione presso le camere delle due protagoniste. Il giudice, dopo averla velocemente iniziata, prese un respiro e iniziò a leggerla davanti a tutta la corte: abiti, crinoline, pizzi, merletti, sete, passamanerie, parrucche, gingilli vari e così via. La lista era davvero carica ed estenuante, ma dopo un altro respiro riprese la lettura.
L’attenzione e la minuziosa descrizione dedicata agli abiti durante questa sentenza fanno emergere l’enorme peso della moda all’interno del caso. Il crimine e l’arma erano ormai noti a tutti, ora bisognava portare il tutto alla luce del sole. Ma l’arsenale delle giovani “colpevoli” era infinito: in quelle losche camere venne trovata una distesa di parrucche, denti finti, imbottiture e seni fasulli.
Proprio il seno era uno dei particolari al quale bisognava porre più attenzione. A giudicare dall’enorme quantità di ovatta trovata nella loro stanza, doveva essere proprio quella la materia prima della loro trasformazione (oltre all’utilizzo di polmoni di pecora bolliti, pratica importata dalla Francia, spesso vittima di attacchi di felini affamati).
Tutti elementi che facevano pensare ad un vero e proprio iter di modificazione corporea, che consentiva alle giovani amiche di celare il loro vero corpo. Ma non sempre ciò che ricopre il nostro corpo serve a nascondere qualcosa. A volte queste maschere estetiche diventano un modo per far emergere il nostro io, e in questo caso era l’unico mezzo per far sentire le nostre protagoniste come davvero desideravano. Private dei loro abiti furono disfatte. Nel riconquistarli resuscitarono.
Quella delle due amiche è una storia affascinante, piena di colpi di scena e di relazioni avvincenti, e purtroppo ci vorrebbero molti articoli per raccontarla nei minimi dettagli. Ciononostante, credo che questo caso sia un’interessante riflessione sul corpo rivestito e su quella che possiamo definire politica della superficie corporea.
Il caso Fanny & Stella porta alla luce l’importanza e il valore che l’abito ricopre all’interno della società. Ma soprattutto dimostra come la divisione tra moda maschile e femminile venga intesa come una conseguenza logica delle differenziazioni biologiche e giustificata mediante una “naturalità” artificialmente costruita. In un’ottica eteronormativa, dove la divisione tra i generi dev’essere mantenuta e la sessualità controllata, il cross-dressing, ovvero l’utilizzo di abiti appartenenti al sesso opposto, rappresenta la mise en scène e l’incarnazione di tutto ciò che doveva essere abolito e represso. L’abito diventa così un arbitro sociale in grado di decretare l’inclusione o l’esclusione dell’individuo, potere frutto di applicazione di strati su strati di valori culturali che si nascondono tra cuciture, bottoni, tasche e parrucche.
Letture consigliate:
N. McKenna (2014), Fanny & Stella. The young men who shocked Victorian England, Faber&Faber, Londra.
G.L.Mosse (2011), Sessualità e Nazionalismo, Laterza, Bari.