Un figlio non è la Baby Mia.
Un figlio non è obbligatorio farlo a una certa età.
Un figlio può non essere programmato.
Un figlio, se non hai gli strumenti o non puoi garantirgli un futuro, visti i tempi – sembra un luogo comune, forse lo è, ma l’economia e la società stanno come stanno, quindi non si può che prenderne atto e scendere dal pero rotolando – ci sono i modi per fare in modo che non “capiti” (che peraltro, ogni volta che ti trovi davanti a qualcuno che pronuncia il fatidico “è capitato”, sanguinano occhi, orecchie e cervello).
Un figlio non ti fa donna. Può fare parte dell’essere donna. Ma non è la conditio sine qua non per esserlo.
Allo stesso modo, per quanto sia ridicolo nel duemilaesedici perseverare con la discriminazione – perché di questo si parla, discriminazione, aka diversificare, trattare in modo differenziato, giudicare e in questo caso sottostimare – delle donne che un figlio non lo vogliono, non possono permetterselo, non hanno in programma di farlo nell’età stabilità dalla prassi e dalla tradizione, per mille motivi e ragioni, forse è ancora più becero, sempre nel duemilaesedici, criticare quelle donne che la parte di scienza che permette di averlo, un figlio, decidono di abbracciarla.
Nel periodo in cui Gianna Nannini era in gravidanza fino a che non ha partorito, non ho fatto altro che leggere e sentire parlare di gravidanza a tutti costi.
A dirla tutta, ogni volta che si parla di donne incinte over quarantacinque, nonostante siamo nel duemilaesedici e i cosiddetti limiti naturali possono essere superati, si sente sempre fastidiosamente parlare di gravidanza a tutti costi.
Gianna Nannini me la ricordo a Superclassifica Show, al Festivalbar.
Era fisiologico, nascendo negli Ottanta, che incappassi in lei.
È LA rocker italiana per eccellenza.
L’unica a rispondere a quelli che sono i canoni della rockettara.
Cerco di individuare, sfogliando l’album del cervello delle cantanti italiane della nuova o vecchia guardia, qualcuna più raffigurativa di lei nel genere rock, ma non ci riesco.
Divertente, naive, provocatoria.
Più che una ribelle, proprio quella che si è sempre concessa di fare quel cazzo che le pareva.
E lo ammette candidamente.
Con semplicità e naturalezza disarmanti, ti racconta delle sue scorribande.
È l’amica che tutte abbiamo.
Quella con la quale vai alle feste, ci organizzi i viaggi.
Quella che ti fa passare come niente di serio la volta che è finita in galera in Grecia e poi doveva aprire il concerto di Guccini e quindi è arrivato il console.
Gianna, nata nella contrada dell’Oca a Siena sul finire degli anni Cinquanta da uno storico pasticcere, autodidatta nel canto, con sette anni di conservatorio sulle spalle durante i quali ha studiato pianoforte, scappa appena può dalla Toscana per rincorrere il suo sogno, la musica.
I suoi esordi nel panorama musicale risalgono infatti agli anni Settanta, e nel 1979, con il singolo America ottiene il suo primo successo.
Da quel momento fino ai giorni nostri è stato un continuo sfornare dischi, brani di successo, e alcuni forse un po’ meno di successo.
Costante, in questi quasi quarant’anni di carriera, la sua straordinaria voce sporca, graffiante, calda, quanto il piglio dissidente.
E l’amore. L’amore che trapela da ogni sua canzone.
Quell’amore, come spesso ha ribadito negli anni, inteso come sentimento di valore assoluto, e non soltanto liquidato ad un legame affettivo tra due persone.
Gianna, oltre a essere una musicista, è una donna impegnata, laureata in filosofia con la tesi Il corpo nella voce. Relazioni corpo-voce in una prospettiva di antropologia musicale, facente parte, durante gli anni dell’Università Statale a Milano, del movimento Lotta Femminista, più volte a supporto di Greenpeace ed Amnesty International.
Chiaramente, quando di fronte trovi un tipo come il suo, energico, dirompente e sopra le righe, tutta pantaloni-giacca-di-pelle-capello-corto – eppure da ragazzina, prima che per ripicca al padre, che le tagliò una minigonna, smise di metterle, avoja se le portava, le gonne – è un attimo sentire l’esigenza di farsi i fatti suoi, di cercare di capire se effettivamente se la fa con gli uomini e/o con le donne, chi si porta a casa insomma.
La solita storia di voler/dover indagare cosa ci sia dietro a un personaggio pubblico.
Dimenticandoci che l’artista è l’artista, e la persona che ci sta dietro, oltre a non essere obbligati a conoscerla, potrebbe deludere le nostre aspettative o non conformarsi al nostro modo di vedere le cose.
Peraltro Gianna, tra una battuta in un senso e in un altro, sul tema sessualità è sempre stata molto open minded.
E per la stampa, che si sa, è golosa più del pettegolezzo che dell’arte, un po’ è stata lesbica, un po’ bisessuale, un po’ tombeuse des hommes.
Lei, sul tema, nel 2006, ha semplicemente dichiarato di ritenersi una persona, e che non ha bisogno di entrare in una categoria.
Senza smentire, confermare, puntualizzare.
Della serie: pensate alle vostre, di lenzuola.
Ma il giallo, quando ha annunciato di essere incinta, a cinquanta e rotti anni, si è ovviamente infittito.
E alla domanda, “chi è il padre del bambino?”, anzi, bambina?
“Sono fatti miei”, ha gentilmente risposto.
Una gravidanza oltre i quarantacinque anni stupisce sempre.
Anche se siamo negli anni duemila.
Sì, mi piace, ripetere in che epoca stiamo vivendo.
Ammettiamo l’esistenza di robot che ci rimbocchino le coperte, ma non riusciamo ad adattarci all’idea che la moralità, l’etica e i sentimenti possano essere puri ed eterei anche se ci abbandoniamo a nuove pratiche scientifico-tecnologiche che sovvertono tradizioni radicate e migliorano il nostro modo di vivere, ampliando le possibilità e il numero di persone che ne possono godere.
Come rimanere incinta dopo una certa età sfidando la natura.
Non parliamo, poi, di quando la natura la si sfida prima di una certa età, per problematiche, malattie e tutto quanto segue.
Figurarsi se a rimanere incinta dopo i quarantacinque anni è una donna single che ha sempre dato l’impressione di quella che, come disse Andrea Mirò, «voi fate i figli che al resto ci penso io» (chissà se è vero, peraltro, visto Gianna, incinta, c’era già rimasta qualche anno prima, ma i bimbi che aveva in grembo li perse).
Che impressione ogni volta sentire quell’“a tutti i costi” seguire la parola “gravidanza” ogni volta che si parla di chi un figlio lo sta per avere sfidando l’età o una condizione della propria fisicità.
Quale connotazione di miracolo viene consegnato alla maternità, quale privilegio riservato alle poche che colgono il momento giusto o che devono essere “predisposte per” senza dover ricorrere ad aiuto!
Che senso di disprezzo verso chi, invece, il desiderio di fare la mamma e le condizioni per esserlo, li scopre o li trova in un momento più avanzato della sua vita.
Un figlio non è un paio di scarpe che compri quando vuoi.
Un figlio non è un trofeo.
Un figlio, il desiderio di averlo o la sua presenza, non è la bilancia per pesare quanto una persona di sesso femminile nel pieno della sua maturità possa considerarsi donna.
Gianna parla di Amore, come valore assoluto, non solo in una coppia.
Un sentimento forte, che dovrebbe muovere i nostri gesti, le nostre considerazioni cercando di contestualizzare ciò che vediamo prima di giudicarlo.
Discriminare, a qualsiasi livello, non è un gesto di amore.
Non lo è neanche biasimare chi la maternità sceglie di affrontarla senza un compagno accanto, ad una certa età o semplicemente sceglie di non affrontarla.
Seppur si possa non essere d’accordo con le scelte altrui.
Ma la tolleranza e la comprensione significano amore.
Chiederci solo se quel bambino starà bene in quella famiglia – e per famiglia intendiamo chi lo terrà per mano mentre diventerà grande.
O se quella donna, senza figli per scelta, si senta felicemente completa.
Continuare a vivere la nostra vita senza impedire al prossimo di realizzarsi nella sua.
Pur discostandosi dalla nostra concezione.
Questo, è amare.
Il prossimo.