A proposito di quel titolo.
Felicità obbligatoria.
(scritto da Laura Jane Grace per Noisey)
Ultimamente di notte sono rimasta sveglia a lungo, ben oltre l’ora di andare a dormire, a causa del terrore esistenziale che mi attanaglia perché non conosco alcun modo per impedire a mia madre di leggere la mia autobiografia in uscita a breve, e nessun modo di nasconderle il titolo, stampato a caratteri cubitali sulla copertina proprio sopra la mia faccia: TRANNY (in italiano il termine è soggetto a varianti regionali quali travone/tranvione/travello, NdR).
Ho pensato a lungo se rivelarle o meno il titolo in anteprima, e alla fine ho deciso di non farlo. In realtà, non l’ho detto a nessuno oltre a Dan Ozzi, il mio co-scrittore, agli altri componenti della band, al manager e, ovviamente, all’editore al momento dell’approvazione. Non ero sicura che una delle più grandi case editrici, la Hachette, avrebbe approvato un titolo generalmente non commerciale quale è TRANNY, ma sono grata del loro supporto e del fatto che lo abbiano accettato. È stato strano dover chiedere a delle persone non trans o non gender queer il permesso di chiamare me stessa, una persona trans, “tranny”.
Ma il titolo del libro calza a pennello. Dopo averci lavorato per mesi, e averci riversato migliaia e migliaia di parole, ho detto a Dan come volevo intitolarlo. “Ora che me l’hai detto, non riesco a immaginare nessun altro titolo”, mi ha detto. Certo, il titolo suona un po’ offensivo, ma non l’ho scelto con l’intento di suscitare scalpore. Non sto tentando di pubblicare un libro in cui do troppa importanza a me stessa. TRANNY è uno sguardo indietro nella mia vita estremamente aspro. Tratta temi dall’odio all’aggressione da parte delle altre persone nei miei confronti, ma soprattutto da parte mia. Mi hanno insultato con nomi orribili durante la mia carriera, e la reazione ad alcuni di questi episodi mi ha portato in carcere, come è noto. Ma ho imparato ad adeguarmi affrontandoli e usandoli come corazza, come è evidente dal sottotitolo Confessions of Punk Rock’s Most Infamous Anarchist Sellout (Confessioni dell’anarchica più malfamata e venduta del Punk Rock, NdR).

Mettiamola così: il mio braccio è completamente tatuato di nero. Se vedete qualcuno che ha un’appendice completamente oscurata, quella persona ha sicuramente preso delle decisioni opinabili nella sua vita. Sono talmente onesta e aperta riguardo i miei limiti da indossarli sulla mia pelle. Così, al momento di scrivere di loro, mi è sembrato giusto indossarli tra le pagine al di sotto di una copertina che porta questo titolo provocatorio.
Quella parola è potente, molto potente. Probabilmente una delle parole più usate negli omicidi dei transgender in tutto il mondo. È universalmente riconosciuta come una parola d’odio. Rabbrividisco solo a sentirla. Odio quella parola del cazzo tanto quanto odio la persona che ero. Ma amo l’arte, amo la libertà di parola e amo le parole. Nell’arte, la libertà di parola e d’espressione si devono completare a vicenda.
Quando nel 2012 ho fatto coming out, ero completamente preparata alle parole di ostilità che mi avrebbero rivolto. Addirittura già sapevo esattamente come avrei risposto a quelle parole. Dovevo solo dimostrarmi calma e indifferente, farmele scivolare addosso e continuare la mia vita. Ma, stranamente, la prima persona che mi ha dato della “tranny” non era un transfobico violento, ma un’altra persona trans. L’offesa non fu detta con sentimenti di odio, queste persone non erano arrabbiate con me, lo stavano solo dicendo in maniera colloquiale. Parlavano “da tranny a tranny”, mi dissero.
La notizia della scorsa settimana circa il titolo del mio libro ha diviso la comunità trans. Ogni passo che ho fatto nella mia carriera ha generato polemiche sia da parte dei fan che della critica, per cui sono abituata e me lo aspettavo. Nella maggior parte dei casi, la reazione è stata positiva e la gente ha capito e supportato la mia scelta di rivendicare una parola che voleva deumanizzarmi. Ma alcuni hanno mostrato dispiacere, sostenendo che in questo modo io stessi andando contro tutto ciò che ha dovuto fare la comunità trans per cancellare questa parola. Ho ascoltato tutte le opinioni, e le rispetto.
Secondo le critiche più estreme la scelta del titolo avrebbe “chiaramente arrecato danno alle persone trans”. Una coppia di fan in collera mi ha detto che non potranno mai più rispettarmi. Sebbene io capisca le reazioni istintive, la maggior parte di queste si basano su ipotesi sbagliate su di me o sul motivo per cui ho scelto quel titolo. Dopotutto, si tratta di un libro che non ha ancora letto nessuno.
Nel mio ultimo album, Transgender Dysphoria Blues, ho usato la parola “frocio” in una canzone. Sembra che non abbia dato fastidio a nessuno perché hanno ascoltato la parola in un contesto e hanno capito che non era usata in senso omofobo, ma per richiamare l’omofobia. Allo stesso modo io sto usando “tranny” non perché sono transfobica, ma per richiamare la transfobia. Ma un libro è meno immediato di una canzone per cui il contesto non può essere capito subito.
Ho pensato molto a come sarà il rapporto della mia bimba di 6 anni con questo termine. Spesso mi chiedo quando e come lo sentirà per la prima volta. Chi glielo dirà? Un altro bambino a scuola? No, cazzo. Sarò io a dirglielo. Voglio essere io quella che si siederà con lei a dirglielo.
Evelyn, esiste questa parola, “tranny”, che è la parola più brutta di ogni parolaccia che si possa dire a qualcuno, peggiore di “vaffanculo” o “cazzo”. Ma amore, devi anche capire che alcune persone – persino alcuni miei amici a cui voglio bene – dicono quella parola liberamente riferendosi a se stessi e non se ne fanno un problema, per loro va benissimo così e non c’è niente di sbagliato.”
Poi le direi che io personalmente non voglio essere chiamata tranny perché mi farebbe male. Le dovrò anche spiegare che ho scritto un libro, che l’ho intitolato TRANNY e che al suo interno ci sono molte cose su di me che potrebbero essere difficili da capire. Potrebbero essere tristi o brutte, ma non posso cambiare il passato, posso solo provare oggi ad essere la versione migliore di me. Dopo questo, starà a lei decidere che rapporto avere con questa parola, come sentirsi nell’usarla e come reagire nel sentirla dalle altre persone.
Quando a scuola di Evelyn un altro genitore mi chiederà che lavoro faccio, gli dirò che sono una musicista e una scrittrice. Quando mi chiederanno il titolo del mio libro, risponderò con orgoglio TRANNY.
Mia figlia assisterà a momenti del genere e dovrà capire qual è la differenza nell’uso della parola in base al contesto. La sentirà molte volte nel corso della sua vita: quando i miei amici si riferiranno a me, come parola di odio diretta a me dagli sconosciuti e, beh, la sentirà anche se mai dovesse venire con me in un auto garage (mi dilettavo con la meccanica prima di cominciare con tour e cose varie, è scritto tutto nel libro!). Spero che tutti gli usi di questa parola la aiutino a sviluppare una reazione paragonabile all’emoji con gli occhiali da sole, facendosi scivolare tutto addosso e continuando a vivere la sua vita.
In sostanza, ognuno può scegliere l’accezione che preferisce e l’uso da farne. È la scelta di mia figlia, e la tua, e la mia. Per quanto mi riguarda, non voglio che questa parola abbia alcun potere. Non voglio chiedere il permesso per usarla. Non voglio avere paura di sentirla. E che cazzo!
Mentre scrivevo il libro, ho pensato molto a Dick Gregory, un attivista per i diritti dei neri che ha dato alla sua biografia un titolo altrettanto provocatorio. Così mi rifaccio a lui quando dico che quando io e mia figlia cammineremo insieme per strada e qualcuno mi griderà “Tranny!”, mi inginocchierò e, sorridendole, le dirò “Hai visto, hanno letto il mio libro!”
Laura Jane Grace è la cantante degli Against Me! e autrice del libro in uscita TRANNY.