In Italia una donna su tre si ammala di cancro. Di queste quasi il 30% viene colpita dal tumore alla mammella. Nel mese dedicato alla prevenzione contro il cancro al seno, proviamo ad approfondire quali difficoltà – non relative alla salute – molte di queste donne si trovano a dover affrontare nel loro percorso verso la guarigione.
Il volto della malattia
La chemio è una delle terapie sistemiche maggiormente utilizzate nella lotta contro il tumore. Questa terapia ha un potente impatto sul paziente sia dal punto di vista fisico che mentale.
Il tratto più detestabile della chemioterapia consiste nel rendere evidente la malattia. Gli effetti sul corpo del paziente sono talmente visibili da non poter nascondere a nessuno, né agli altri né a se stessi, l’esistenza di un tumore.
Questo aspetto è così peculiare che, al di là del tipo di cancro e dell’organo da esso colpito, noi identifichiamo il paziente che ne è affetto dalla diversa immagine che egli offre di sé durante la cura: una persona che si sottopone a chemioterapia è, nell’immaginario collettivo, glabra e insolitamente gonfia oppure deperita.
L’identificazione tra persona e malattia
Il primo effetto della perdita repentina di capelli e peluria è che improvvisamente la persona che ci sta di fronte, che sia allo specchio o per strada, diviene ai nostri occhi un malato. Avviene cioè una riduzione della persona alla sua malattia. Il rischio è quindi di focalizzare tutta l’attenzione sul cancro e di far sì che questo, lungi dall’essere esorcizzato, finisca per accrescere la sua temibilità.
È importante comprendere che nessun tumore, nemmeno il più aggressivo, esaurisce la persona. La persona e la sua dignità sono un bene inalienabile ed irriducibile. Nessuna persona è il proprio cancro.
L’immagine degli altri
Molte persone durante la chemioterapia tendono a isolarsi non per una reale volontà di essere sole, ma per non voler affrontare le conseguenze sociali della propria malattia. Nel caso delle donne questi effetti sono enfatizzati dalla maggiore pressione sociale a cui il genere femminile è quotidianamente sottoposto.
Agli occhi degli altri, intesi non come questi o quei reali conoscenti, ma come esponenti generici della società attuale, una donna calva e senza sopracciglia è meno femminile delle altre. Per il rapporto tra la bellezza e un determinato modo di intendere la femminilità, queste donne – oltre che meno femminili – tendono ad essere considerate meno attraenti e desiderabili.
Le ricadute psicologiche di una logica così stringente e spietata sono facilmente intuibili. Una persona convinta che gli altri la vedano brutta è una persona che può sviluppare insicurezze, che difficilmente riuscirà a godere di momenti di socializzazione. Molte donne sperimentano il disagio sociale della non-accettazione, anche laddove nessuno effettivamente le rifiuti. Così, anche quelle che, nella privacy e nella sicurezza della propria casa, riescono a vedersi con una testa nuda, finiscono col rinunciare ad uscire senza foulard o parrucca.
Il desiderio di essere simili alle altre e di passare inosservate è il principale motivo per cui le donne sottoposte a chemioterapia nascondono la loro calvizie. L’anonimato diviene una difesa contro sguardi indiscreti e domande indesiderate, ma anche contro il quotidiano rapporto con il tumore. Se nessuno si accorge della loro malattia finalmente queste donne, in qualche piccolo istante della loro giornata, possono dimenticare di essere malate.
L’immagine di sé
Al di là e al di qua della volontà di riservatezza c’è poi tutto ciò che la persona percepisce di se stessa. Non si indossano parrucche e foulard come armi di seduzione o tentativi di mascheramento, ma come strumenti di sopravvivenza.
Siamo abituati a esercitare un controllo sul nostro corpo: l’idea che questo cambi improvvisamente contro il nostro volere provoca uno stato di profonda soggezione. Per quanto riguarda l’aspetto fisico, durante la chemioterapia ci si sente privati del proprio diritto all’autodeterminazione e di disporre del proprio corpo.
La chemioterapia modifica, di solito negativamente, il rapporto delle donne con lo specchio e, in generale, con il proprio fisico. Quel corpo malato e a rischio è così anche motivo di insoddisfazione e di insofferenza. Quel corpo da curare per essere sereni diventa esso stesso un ostacolo alla serenità. Occorre ricordare a tutte le donne e a tutti gli uomini, sani o malati che siano, che nessun corpo è sbagliato o nocivo.
Nella lotta contro il tumore l’unico nemico è il tumore stesso. La chemioterapia è una delle armi più potenti che abbiamo per sconfiggerlo e il nostro corpo è il soldato migliore che possiamo schierare in campo. In lui dobbiamo credere e per lui dobbiamo fare il tifo.
Diamoci un taglio!
È vero, non si sceglie di ammalarsi e non si scelgono gli effetti collaterali della cura necessaria. Ma questo non è tutto. C’è un modo per far valere il proprio diritto all’autodeterminazione anche in circostanze al di fuori del nostro potere. Si tratta di assumersi la responsabilità del proprio diritto alla vita e alla salute e le conseguenze che da essi derivano.
Questi diritti sono imprescindibili e il loro valore è incommensurabile rispetto a qualunque altro. Questi diritti sono irrinunciabili per noi e per la società in cui viviamo. Fanno parte della nostra cultura e, pur derivando direttamente dalla natura dell’essere umano, non sono sempre stati riconosciuti come tali. Altre persone hanno lottato con coraggio per essi.
Le donne che popolano i reparti di oncologia possono combattere altrettanto coraggiosamente, perché la lotta non è solo per la sopravvivenza, ma anche e soprattutto per l’autodeterminazione.
Il simbolo di questa battaglia è il rasoio con il quale le donne si radono la testa prima che i capelli cadano da soli. Nel gesto della rasatura vi è l’affermazione della libertà del soggetto e l’assunzione della responsabilità del proprio diritto all’esistenza.
Ogni donna che sceglie di sottoporsi alla chemioterapia, è una donna libera.
Ogni donna che si rade la testa, è una donna libera.
Ogni donna che compra una parrucca, un foulard, un cappello o nessun copricapo, è una donna libera.
Ogni donna che combatte per la propria salute, è una donna libera.
Ogni donna che lotta per la propria libertà, lotta per la libertà di tutte e di tutti.
non è questione di pressioni. Salvo malattie gravi le donne non diventano calve di natura quindi una donna calva esattamente come una barbuta è per forza di cose meno attraente di chi è in salute, certo che merita rispetto ma non si può mentire dicendo che è attraente, nessuno deve offenderla certo. E mettere una parrucca o un foulard o non metterla è una libera scelta