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Leave fangirls alone: in difesa degli interessi e delle passioni contro ogni stereotipo di genere
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Leave fangirls alone: in difesa degli interessi e delle passioni contro ogni stereotipo di genere

Articolo di Benedetta Geddo

Da più o meno tre anni sono una grande fan della band BTS e, tramite loro, di tutto il mondo del K-Pop. Un hobby, come tanti altri, che mi rende felice e che mi ha permesso di conoscere, in giro per il mondo, tante persone che condividono la mia passione. Se non fosse che questo mio hobby diventa molto spesso un marchio che mi porto in fronte e che discredita me, la mia intelligenza e il mio senso critico. “Ma non pensavo ti piacessero quei bambolotti di plastica, sembravi così preparata”; “Quella è musica veramente orribile, ma davvero ti piace? Ma allora ha dei gusti orribili”; “Chiaramente ti piacciono solo perché sono belli, ma io li trovo brutti quindi vuol dire che hai qualcosa che non va”: queste e tante altre frasi simpatiche di questo genere me le sono sentita dire da gente sconosciuta che però chiaramente aveva già capito tutto di me in base alla musica che ascolto.

La mia prima reazione è chiedermi, ma perché ascoltare una boy band ed essere intelligente e competente dovrebbero essere due cose indirettamente proporzionali? Posso benissimo andare a ballare e cantare ai concerti assieme ad altr* 80.000 fan come me e poi marciare per i Fridays for Future o esprimere le mie opinioni informate sulla politica e la società attuali, perché ascoltare una boy band (o la musica pop in generale) non è sinonimo di sacrificare neuroni all’altare dei tuoi faves.

Quest’idea però è difficile da far passare. Scardinare il pregiudizio che i fan (ma soprattutto le fan, ed è proprio qui che voglio andare a parare) di boy band e girl group e musica pop non siano una massa di pecore urlanti senza cervello è proprio tosta. Perché? Per rispondere farò un esempio che mi sembra lampante e molto chiaro, sempre però tenendo a mente che ciò non riguarda tutt* e non è valido sempre (in questo esempio ma anche nel resto dell’articolo) e soprattutto che stiamo parlando non delle passioni in sé ma di come siamo abituat* a guardare e considerare certi interessi.

Che differenza c’è tra un* fan di una boy band che segue i suoi cantanti preferiti, sa tutto di loro, compra il loro merchandising e viaggia per andare ai loro concerti e un* fan di calcio che conosce tutte le statistiche dei calciatori della sua squadra, colleziona le magliette ufficiali e segue le partite anche all’estero? In teoria nessuna, perché sono entrambe persone appassionate che hanno scelto di investire tempo, soldi e cuore nel loro hobby. Alla fine né la musica pop né il calcio sono classificate come “cose serie”: certo, danno di che vivere alle persone che ci lavorano direttamente (cantanti come calciatori fino agli addetti alla sicurezza degli stadi, per dire), ma sono intrattenimento e l’intrattenimento non è sempre valutato come essenziale. Quindi che differenza c’è? Che uno dei due hobby è stereotipicamente femminile, mentre l’altro è stereotipicamente maschile. Le ragazze e le giovani donne che viaggiano per andare al concerto della loro boy band preferita sono oggetto di ridicolo, mentre chi tifa e segue il calcio e non perde una partita della propria squadra è  tendenzialmente – del tutto accettabile e accettato.

In un articolo su Pitchfork, la giornalista Sandra Song scrive: “La continua derisione della ‘fangirl’ è dannosa, perché porta avanti l’idea che le ragazze si comportano in un modo e i ragazzi in un altro. Dentro a tutto questo sono in atto stereotipi sessisti e ‘ageisti’, una visione denigratoria delle ragazze adolescenti […]. Rimanda all’idea vittoriana della donna isterica: quella impulsiva e quasi psicotica che manca di razionalità e pensa solo con le sue emozioni. È la radice di uno stereotipo che è ancora usato contro senatrici, avvocate e candidate presidenziali per impedire loro di arrivare a posizioni di potere e prestigio. Dopotutto, ‘pazza’ è sempre l’aggettivo che va a braccetto con ‘fangirl’, fino ad esserne diventato quasi un sinonimo. È un comportamento che ha permesso a molte persone di non curarsi di valide passioni, il tutto con un bel tocco di sessismo. È un modo per dire alle ragazze giovani che dovrebbero vergognarsi delle cose che ritengono importanti“.

E continua: “A fare da sfondo a questo sentimento c’è l’idea che l’unica cosa ad attirare queste ragazze sia l’aspetto fisico degli idoli pop maschi, che le ragazze non siano in grado di apprezzare invece le loro abilità musicali o la loro discografia. Il termine ‘fangirl’ è quindi stato buttato assieme all’idea di un entusiasmo irrazionale, sciocco e isterico, che alla meglio è riduttivo e alla peggio è proprio misogino. Rende troppo facile screditare le donne come false entusiaste senza alcun tipo di prospettiva critica o impatto nella musica stessa, nonostante il fatto che le donne ne sono le compratrici e consumatrici numero uno”.

Questo problema è diffuso a tutti gli interessi che sono mirati a o apprezzati da un largo pubblico a maggioranza femminile, soprattutto se giovane. Gli interessi delle donne e delle ragazze sono sempre sminuiti e ritenuti come meno importanti, meno seri, molto più sciocchi (oppure falsi interessi se si parla, per esempio, del calcio o di altri hobby che invece sono apprezzati da un pubblico a larga maggioranza maschile). E spesso questo giudizio si riflette anche sul pubblico che le consuma — motivo per cui, per esempio, quando “Twilight” andava forte durante gli anni della mia adolescenza c’erano tante ragazze che tenevano nascosta la loro passione per la saga oppure si autonegavano una lettura che poteva anche essere piacevole, per il terrore di essere accomunate “a tutte le altre ochette che leggevano di Edward e Bella e no, io non sono come le altre ragazze, io sono più intelligente e infatti quella robaccia non la leggo”.

Ora, con questo non voglio dire che allora non bisogna più criticare oggettivamente prodotti destinati a un pubblico femminile e che non sono il massimo della qualità (penso subito a cose tipo la saga di “Cinquanta Sfumature” o quella di “After”, che passano proprio messaggi dannosi), ma del resto anche l’intrattenimento dedicato principalmente a un pubblico maschile è pieno di prodotti di qualità scadente (tipo “Transformers”, tanto per dirne una) che però non vengono demonizzati come le loro controparti. Quando un prodotto creato e rivolto principalmente a un pubblico maschile non è di alta qualità, le critiche diranno che “è un po’ mediocre, poteva andare meglio”; quando invece a non essere il massimo è un prodotto realizzato con in mente il pubblico femminile allora parte subito una tirata infinita su quanto questa cosa sia “la cosa peggiore che fosse mai potuta capitare al mondo dell’intrattenimento, non c’è più il buon gusto, dove andremo a finire”. Capite bene che ci sono due pesi e due misure (come per ogni singola altra cosa in questo nostro mondo patriarcale, peraltro).

Eppure, storicamente, l’apporto del pubblico femminile e delle creatrici donne ha contribuito enormemente allo sviluppo di interessi che oggi sono invece stereotipicamente considerati maschili. Qual è l’opera capostipite del filone che poi sarebbe diventato la fantascienza? “Frankenstein o il moderno Prometeo”, scritto da Mary Shelley, che peraltro aveva solo diciannove anni quando completò una delle opere letterarie più influenti della storia. Emma Orczy invece ha praticamente inventato il genere del vigilante mascherato e dello spionaggio con i suoi romanzi basati sul personaggio della Primula Rossa.

E anche Star Wars deve alcuni dei suoi elementi più iconici alla sua montatrice, Marcia Lucas, che ha creato la sequenza dell’attacco alla Morte Nera rendendola la scena immortale che è adesso ma che viene spesso dimenticata. Ancora, dopo la seconda stagione della serie originale di Star Trek, il network su cui era andata in onda pensava di cancellarlo. Furono le fan, e tra queste soprattutto Bjo Trimble, a mandare avanti una campagna per assicurarsi che invece la produzione continuasse. Peraltro, la persona che diede l’approvazione al primo pilot di Star Trek e pure al secondo (dopo un clamoroso flop del primo) fu Lucille Ball, che ha così regalato al mondo una delle saghe di fantascienza più iconiche di sempre. L’apporto femminile al successo di Star Trek è immenso, eppure quando nel 2015 è venuto a mancare Leonard Nimoy ho comunque dovuto leggere di un deejay americano che aveva detto: “Oggi è un giorno molto triste per noi. Voi ragazze probabilmente non sapete nemmeno di cosa stiamo parlando, ma fidatevi che è una cosa grave”. Ogni volta che ci penso, mi sale un eyeroll così potente che ancora un po’ mi vedo il cervello.

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Il problema però è che Frankenstein o Star Trek sono diventati validi e “seri” solo dopo aver ottenuto attenzione maschile: se l’attenzione femminile sminuisce, quella maschile nobilita. E una volta ottenuta l’attenzione maschile si genera anche il fenomeno del gatekeeping, ossia il “pattugliare la soglia” per tenere fuori quelli che vengono definiti finti fan: un fenomeno, questo, che fa nascere tutte quelle belle frasi alla “Se non conosci ogni singolo personaggio minore di ogni singolo fumetto Marvel, allora non ti piace veramente e non ti puoi definire fan” e che è spesso rivolto alle donne dagli uomini per tenerle fuori da spazi che si credono essere prevalentemente maschili, quando magari in realtà sono stati originati o salvati o stabiliti da fanbase femminili.

Per tornare all’esempio iniziale della musica, un cantante che ha iniziato come idolo pop diventa un “artista” solo quando gli uomini cominciano a criticare positivamente la sua musica. Sempre in un articolo di Pitchfork, il giornalista Brodie Lancaster scrive che “gli artisti pop si guadagnano rispetto solo quando smettono di essere apprezzati da fan adolescenti. […] Le boy band e i girl group, senza contare i loro fan appassionati che hanno reso famosi questi artisti, hanno valore apparentemente solo in quanto trampolini di lancio per arrivare al prossimo gruppo di ascoltatori, quello migliore. Si insegna che abbandonando le caste canzoni pop sull’amore non corrisposto e il tenersi per mano potranno finalmente arrivare ai fan giusti: adulti, uomini. È così che si diventa un artista, no?”

Forse l’esempio più eclatante di questa cosa (anche se comunque ce ne sono diversi in tempi recenti, tipo Justin Timberlake ma anche Harry Styles) sono i Beatles. Inizialmente i Beatles erano accolti, ovunque andassero, da folle di ragazze in visibilio che lanciavano loro i reggiseni, li seguivano di concerto in concerto e sapevano tutto di loro. Dopo l’arrivo dell’attenzione maschile e del gatekeeping sono diventati e sono adesso considerati “musica vera”, che bisogna proteggere da tutta questa “musicaccia moderna”.

Non c’è più grave crimine culturale per una ragazza giovane che amare la musica pop senza alcuna vergogna.
Brodie Lancaster

Le passioni non hanno genere né tantomeno possiamo attribuire loro un valore, sono un fatto personale e in quanto tali vanno rispettate e non sminuite in base al genere di chi le ha o le sostiene. Per questo motivo, le fan donne e le ragazze giovani in generale meriterebbero più credito per i loro interessi e le loro passioni che non una costante demonizzazione e un continuo svilimento. Non bisogna passare all’estremo opposto, certo, e quindi adorare ciecamente qualsiasi prodotto d’intrattenimento senza evidenziarne i punti critici e/o deboli, ma nemmeno chiudersi a riccio contro qualcosa solo perché supportato da una grande fanbase femminile. Le ragazze e le donne consumano i loro film, libri e musica preferiti con giudizio, riflettendoci sopra e discutendone con altre fan. E il giorno dopo non hanno nessun problema a mettere da parte i loro fandom e parlare invece di quanto sia urgente una riforma climatica che sia intersezionale e inclusiva.

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