Articolo di Marika Ambrosio
Pierpaolo Mandetta, classe 1987 e una vita divisa tra due paesi geograficamente e culturalmente agli antipodi. Da un lato abbiamo Paestum, paesello del Sud Italia, dall’altro troviamo Milano, il centro economico del nostro stivale. Paestum è simbolo della bellezza dei paesaggi e della genuinità che caratterizza il suo animo; Milano è il luogo in cui è riuscito ad affermare se stesso e ad avere la sua rivincita. Sotto la sua prorompente allegria e il suo immancabile “PAZZESCO!”, si nascondono le sofferenze che accomunano tutti quelli che, come lui, devono fare i conti con un paese retrogrado e con quel velo di ipocrisia sotto cui si nasconde la famiglia. Un padre assente e una madre attenta alle apparenze: “Cosa penserà la gente?”.
Per anni Pierpaolo ha dovuto fare i conti con la sua insicurezza e con le sue paure. A sedici anni la prima caduta emotiva, perché il ragazzo di cui si era perdutamente innamorato aveva baciato una sua amica in gita scolastica. Ma i segni della sua insofferenza e della sua ansia risalgono a molto prima. Infatti, a soli dodici anni, tentò in tutti i modi di convincere la professoressa di essere sul punto di un infarto e di chiamare i genitori e un’ambulanza.
La scrittura è il suo mondo sicuro, il luogo in cui tutto può essere o non essere, il luogo in cui, se qualcosa non va, la si può cambiare senza troppi problemi. Ma la scrittura è anche ciò che gli ha fatto acquisire sicurezza in se stesso. Autonomamente ha lanciato la collana di racconti erotici gay “Aperti di Notte”, l’Urban fantasy “La legge dei Lupi Nobili”, e il romance “Cuore Satellite”. Gestisce il blog “Vagamente Suscettibile” e la sua pagina facebook , per esprimere con le parole i sentimenti che sono duri ad uscire. Le sue tematiche preferite sono il sesso, il tradimento, la libertà personale, le tematiche LGBT e la solitudine. Accanto a queste tematiche impegnate, Pierpaolo si dedica anche alla narrazione di scenette comiche che vedono protagoniste la mamma, la nonna, l’amatissima sorella Chiara e il suo compagno Max.
A che età hai confessato ai tuoi di essere gay?
Non l’ho confessato. Con mio padre non ho mai avuto alcun tipo di rapporto emotivo, e mia madre era troppo ansiosa e preoccupata del giudizio della gente, degli amici. Ma sono sempre stato testardo e concentrato su ciò che volevo vivermi senza compromessi. Quindi, non potendomi dichiarare, ho pensato di “dirlo” coi fatti. Tutti i giorni mi portavo il mio fidanzatino delle superiori in camera e ci chiudevamo a chiave. Era impossibile fraintendere, ecco.
Come l’hanno presa quando se ne sono resi conto?
Mia madre è stata incapace di viverla serenamente per troppo. Poi qualche settimana fa abbiamo mezzo litigato e finalmente, dopo una vita, le ho detto quanto mi facesse soffrire non poterla avere accanto nella sfera privata, nelle piccole grandi cose che mi accadono, nelle gioie che appartengono al “figlio gay” e che in famiglia nessuno ha mai voluto vedere. Allora lei ha avuto paura di perdermi, suppongo, ha realizzato cosa stava rischiando e aperto gli occhi. Ha avuto il coraggio di una vera madre, ha teso la mano e si è presentata a Max. Credo le sia costato tanto, ma la ringrazierò per sempre di questo. Ne sono davvero felice e orgoglioso. Mio padre, invece, sa di me, mi accetta, ma non vuole saperne ancora nulla. Appartiene a una generazione incapace di gestire ciò che non conosce, sentimentalmente analfabeta. Ma ho la sensazione che sia solo una questione di tempo.
La tua verso Milano è stata una fuga o una necessità?
Ho rifiutato Milano per molto tempo. Mia sorella vive qui da sei anni e ogni sei mesi strillava “vieni, stronzo!”. Solo che io sono un tipo di campagna, mi piacciono le abitudini, i rituali quotidiani e forse noiosi. Mi piace percorrere le stesse strade, avere le montagne alle spalle, il profumo di sterco delle masserie vicine trascinato dal vento. Ma sapevo che prima o poi Milano sarebbe stata una tappa obbligatoria, per allargare i miei orizzonti letterari e le opportunità. Il caffè, però, fa davvero schifo ovunque, e presto o tardi riuscirò a tornare nel mio Cilento.
Perché Milano?
Come dicevo, qui ho mia sorella, e quando poi ho conosciuto il mio attuale compagno ho capito che il destino non ne poteva più di farmi intendere che era ora di muovere il culo. E poi, detto tra noi, lui ha in casa un box doccia che convincerebbe chiunque a trasferirsi. Io cucino, innaffio i gerani e scrivo sul balcone, lui lavora e nel weekend andiamo a zonzo.
Quanto c’è di tuo nei tuoi libri e nel tuo blog?
I post del blog sono tutti ispirati alla mia vita e nella maggior parte dei casi sono anche tratti da episodi accaduti così come li si legge. Credo sia questa la loro forza. Nei romanzi, invece, è un cinquanta e cinquanta. Direi che la parte veritiera è quella dei pensieri e delle emozioni, mentre i fatti sono romanzati, inventati, sognati. Anche perché, Cuore Satellite a parte, gli altri sono un Urban fantasy e dei racconti erotici, quindi dovrei dichiararmi o mentecatto o totalmente licenzioso.
Quale libro ti rappresenta maggiormente?
Cuore Satellite, come chiunque ha subito intuito leggendolo. Ma il bello è che rappresenta tanta gente grazie alla famiglia che vede protagonista, che è un po’ la famiglia che qui al Sud abbiamo subito in tanti. Di quelle che sì, che bello, famiglia grossa, folclore, trallallà, ma poi sotto sotto è un delirio e una matassa di sentimenti malsani o morbosi.
Quando ti sei reso conto di essere gay?
A tredici anni. Era estate, girovagavo davanti casa con la bici e la maglietta sudata, e vidi un ragazzo passeggiare. Aveva diciotto anni e non sapevo che vivesse dall’altro lato della strada. M’innamorai perdutamente di lui solo fissandolo per qualche istante. Se solo fossi stato suo coetaneo, chissà. Invece ero grasso, coi dentoni e sciocco.
Quanto ha inciso sulle tue scelte il fatto di vivere in un piccolo paesino?
La vita di paese mi ha fatto molto male e la ringrazio, perché nei dolori e nelle negazioni mi ha dato tantissimo. Soprattutto la capacità di cogliere le piccole cose, di sorridere per le prime gemme appese agli alberi in primavera, o per le signore che si scambiano le uova fresche e i calzoni fritti appena fatti. Se fossi nato in città forse oggi non sarei così ansioso e sensibile.
Hai in programma altri libri?
Sì, ho diversi romanzi a cui vorrei lavorare, ma adesso sono concentrato sulla storia che troverete prossimamente in libreria.
Quante persone hai incontrato che nascondono la loro sessualità dietro un velo di eterosessualità?
Infinite, ma bene o male hanno tutti delle motivazioni per nascondersi, su cui è facile ridere, ma che sono reali, sempre complesse e spesso sofferte.
Ti hanno mai accusato di essere troppo sfrontato? Se sì, come hai risposto?
Sì, soprattutto all’inizio, quando mostravo solo la parte più sfacciata della mia scrittura. Era per fare colpo, per stupire, perché ero molto insicuro. Poi mi sono calmato e ho donato ai lettori e ai fan della pagina anche tutte le altre sfumature, scrivendo pezzi più dolci e riflessivi, più pacati. E così capita raramente, ormai, che qualcuno mi dia dello sfrontato.
Quando c’è stata la svolta della tua vita?
A un certo punto mi rotto il cazzo di me stesso. Non ho avuto la pretesa di cambiare, perché oh, sono gay, non bevo, detesto i peperoni al forno, e di cose che restano quelle che sono ne so qualcosa. Ma ho deciso che mi sarei conquistato il mio riscatto. Perciò ho cominciato a fare l’unica cosa che mi riuscisse bene, e cioè creare storie che fossero migliori della mia. Mi sono iscritto alla scuola Holden di Torino, ho abitato in un bilocale con un gay ancora vergine e ho rubato per un anno il Wi-Fi ai vicini. Sono stato un dilettante per molto, ma è stato bello e, da passione, scrivere è diventato il mio mondo sicuro, che ha poi portato alla pubblicazione con alcuni piccoli editori.
Oggi ho una pagina tutta mia, un blog molto seguito e un romanzo che pubblicherò con Rizzoli.
Pierpaolo si è dimostrato disponibile ed è stato felice di rispondere alle nostre domande. Non possiamo far altro che fargli un grosso in bocca al lupo. Non vediamo l’ora di leggerlo e urlare “PAZZESCO!”